CAPITOLO TRENTUNESIMO

La luce bianca del corridoio accompagnava i loro passi perfettamente sincronizzati.

Fiero e sicuro si sé, il corpo snello e scattante di Gregory, si muoveva deciso nel camice svolazzante: «Malattie neurodegenerative?»

«Analisi di tipo elettrofisiologico, test sul liquor cerebro-spinale e indagini con risonanza magnetico-nucleare, tutti negativi.»

«Bipolarismo?»

«Nessun disturbo di quel genere in passato.»

I passi svelti nello scendere le scale rimbombarono nel silenzio ostile e inospitale della clinica.

«Schizofrenia» affermò deciso Gregory.

«Ma sei impazzito, o cosa?» Michael chiese basito.

«Potrebbe essere. Perché no?»

«Stai scherzando, Gregory?» Lo guardò perplesso fermandosi di colpo sul pianerottolo. «È solo una ragazza in forte stato di shock!»

Uno squarcio di sole filtrò dall’enorme vetrata e scaldò le due figure. Finalmente Michael provò conforto.

«Greg... quando aveva sedici anni il fratello di tredici moriva accidentalmente precipitando da un dirupo. E sotto ai suoi occhi!»

L'espressione di Gregory restò impercettibilmente confusa. «E quando pensavi di dirmelo?» Chiese ancor più dubbioso.

«Ora! Ora te l’ho detto.» Chiuse la palpebra strizzandola in un occhiolino lasciando il resto del volto immobile e esente da qualsiasi altra espressione. «È la tua paziente. Dovresti saperlo.»

Gregory scosse la testa mentre lo trascinava di nuovo in corsa.

«Credevo di poter agire io personalmente, ma a questo punto...» Michael abbassò il volto rammaricato.

Il reparto dei nuovi arrivati era davanti a loro. La stanza numero 27 spiccò in fondo al corridoio.
Le urla della ragazza in preda al delirio arrivarono forti, mentre gli infermieri tentavano di tamponare il sangue che scorreva da sotto il caschetto protettivo. Era agitata, angosciata, in preda ad allucinazioni e a idee deliranti.
Un infermiere arrivò con una dose di tranquillante pronta per essere iniettata.

«Cazzo...!»

Michael affrettò il passo e arrivato nella stanza cercò di sbarazzarsi di tutto quel via vai.

«Chi le ha detto che può somministrare farmaci alla paziente!» affermò duro fermando l’infermiere con la siringa in mano.

«Ma non stava ferma, e…»

«Fuori! Fuori da qui!» Soffocò l'urlo. «Ma non è finita!»

Michael restò impalato davanti alla porta a osservarla. Le urla si erano interrotte di colpo.
Appoggiata al muro era in stato catatonico: non si muoveva, non proferiva alcuna parola e restava inespressiva. Solo un leggero tremore muscolare.
Cercò di fare del tutto per evitare di agitarla ulteriormente.

«Sara...» Provò a parlarle dolcemente restando immobile. «Io e Gregory siamo qui ora.»

«Michael. Michael... Michael.»

Una flebile voce uscì dalla bocca di Sara, una voce che ripeteva compulsivamente solo il nome del dottor Miller.

Iniziò a dondolare sul posto e a martellarsi il caschetto con i polpastrelli della mano. Alzò gli occhi al soffitto: «Michael... Michael... Michael».

«Sono qui Sara.»

Istintivamente Michael fece per avvicinarsi, ma il braccio fermo di Gregory lo immobilizzò.

«Meglio non toccarla. Ricordi il protocollo?» Gli sussurrò. «E non fissarla.»

Michael distolse lo sguardo da Sara e prese una sedia posizionandola al centro della stanza, badando bene a non stargli troppo vicino.
Lasciò la porta aperta alle sue spalle per evitare che si sentisse costretta  e minacciata dal luogo chiuso, tenendo bene a mente le sue vecchie fobie.

«Che c’è che non va Sara?» chiese empaticamente lo psichiatra.

Adesso era tutto perduto. Tutto, senza eccezioni. Una parte di lei avrebbe voluto essere davvero pazza, essersi inventata e immaginata tutto quanto. Ora che era seduta in quella stanza angusta, isolata dal mondo esterno che era diventato irreale e incomprensibile, e leggeva nello sguardo del dottore i dubbi sulle sue facoltà mentali, anche a lei sembrava tutto incredibile. Le voci, e ciò che era accaduto... ciò che Lincoln aveva detto... erano solo allucinazioni?
La Sara precedente ne sarebbe stata convinta. La Sara di ora, no.

Il suo movimento si fece più ritmico.

«È qui! È qui! Per Sara!»

Il suo sguardo era sul pavimento. La mano destra cominciò a premere l’orecchio. Si percosse il volto violentemente.

«Di nuovo. Di nuovo! Silenzio!»

«Hai paura, Sara?» Commentò Greg in formula semplice, senza cercare di elaborare nessun discorso.

«Sì. Sara ha paura! Vuole Sara!»

«Chi è?» Chiese Michael serenamente per non destabilizzarla. «A noi puoi dirlo.»

«Non posso. Uccide Sara... Uccide Sara.»

Il tremore del corpo divenne spasmo. Dell’urina bagnò i suoi pantaloni ma lei continuò a farfugliare parole divenute quasi incomprensibili.

Stretto dalla morsa del dolore nel trovarsi di fronte una situazione simile, Michael cercò di riequilibrare anche la sua di mente mettendo insieme parole più o meno sensate: «Qui sei al sicuro Sara».

Gli occhi velati di rosso e il volto infuocato di rabbia, trasformarono la donna in un essere estraneo a quello visto fino a pochi istanti prima.

«Sara muore,» la frase uscì biasciata dalla bocca, «questo è il prezzo da pagare.»

Michael guardò il suo collega, mentre la paziente iniziò a dimenarsi violentemente. Il gesto costrinse i due a tuffarsi verso di lei per cercare di fermarla.
Sara oppose resistenza come poté, imponendo una forza ben al di sopra del corpo rinsecchito e malandato.
In preda ad allucinazioni uditive, urlava a squarciagola e implorava quella presenza di lasciarla in pace, di andare via, di svuotargli la mente.
Di colpo s’arrestò. Di nuovo restò apatica.

Michael l'afferrò dalle spalle e la strinse fra le braccia. La scostò di nuovo da lui e amareggiato restò a osservarla per un attimo.

«Vuole uccidere Sara» bisbigliò di nuovo.

«Chi? Chi è che vuole ucciderti?» incalzò Gregory.

«Michael...»

I suoi occhi incolleriti e furibondi fissarono quelli del dottor Miller.
Quest'ultimo non ebbe il tempo di distogliere lo sguardo e di realizzare i suoi movimenti che le arcate dentarie di Sara affondarono nell'avambraccio sinistro.
Una morsa di dolore lo costrinse a urlare a piena voce.
Cercò di dimenarsi dalla stretta, ma i denti sembravano inseriti come chiodi nella carne.
Il sangue cominciò a imbrattare la carne. Chiuse gli occhi e non riuscì più a opporre resistenza.
D’improvviso la morsa si aprì e Sara cadde ai suoi piedi.

«Nehurozina,» disse Gregory mentre sfilava l’ago lentamente dalla coscia di Sara, «l’avevo nel taschino. Meglio essere previdenti.»

«Non è schizofrenia!» Michael latrò a denti stretti, sopraffatto dal dolore.

«No. Ma non lo escludo» affermò l'altro, mentre dopo essersi rialzato trascinava il suo collega con sé fuori dalla stanza, di nuovo ingombrata dal via vai degli infermieri.

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