CAPITOLO TRENTADUESIMO
«Ecco fatto» concluse Gregory, mentre ancora era intento a chiudere la fasciatura sull'avambraccio dolente di Michael. L'impronta dentale di Sara giaceva sotto le garze sterili.
Restò in Silenzio per il tempo necessario alla sua testa per studiare l'idea formulata precedentemente. Quel tempo necessario per convincersi che Sara Keach mostrasse i segni di una schizofrenia paranoica. Sembravano dimostrarlo i disturbi percettivi e le voci che costantemente udiva, e la forte e efficace paura della convinzione che qualcuno avrebbe voluto ucciderla.
«Dobbiamo iniziare il vero protocollo farmaceutico.» Incrociò le braccia, seduto di fronte a Miller.
«Perché? Non la stai già ubriacano, forse?» Scosse la testa per poi continuare: «Per quello dobbiamo aspettare ancora...»
«Cosa? Cosa dobbiamo aspettare ancora, Michael?» Si alzò di scatto voltandogli le spalle.
Michael restò seduto con gli occhi fissi sulla sua figura impalata alla finestra.
«A lungo termine questi farmaci fanno comparire nella persona i sintomi caratteristici di altre malattie del sistema nervoso, Greg.» Michael provò a obiettare.
Si voltò furente e gesticolando gli andò incontro: «Siamo passati al decalogo degli effetti collaterali Michael? Come se non lo conoscessi».
Miller si alzo in piedi per tentare di affrontarlo: la sua convinzione di onnipotenza lo urtava profondamente. L'altro invece sembra essere partito automaticamente, chissà a causa di quale processo mentale, nella recitazione di tutte le possibili conseguenze dopo l'uso di questi farmaci.
«I malati acquistano col tempo una faccia inespressiva, marmorea, si muovono lentamente e con difficoltà, mentre le loro dita sono scosse da un tremore continuo. Altre volte provano l'insopprimibile bisogno di muovere di continuo le gambe che vengono avvertite come sofferenti, altre volte ancora i muscoli della bocca sono scossi da un movimento ininterrotto.» Fece una pausa, poi riprese. Michael lo lascio fare. «Ma i danni neurologici non sono tutti qui!» Il finto stupore accompagnò le sue parole. «In pratica... Con quale percentuale Miller?» chiese irriverente.
«Il dieci-venti per cento» rispose assecondandolo.
«Bene. Il dieci-venti per cento di tutti i malati da anni curati ripetutamente con questi farmaci presenta movimenti involontari di vario tipo, spesso gravemente invalidanti. Il dieci-venti per cento Mike!»
Quando sembrò quasi scarico Miller azzardò la domanda: «Hai finito?»
Si voltò e andò a prendere posto dietro la sua scrivania. Lui lo seguì accomodandosi di fronte.
«Possiamo somministrarle degli antipsicotici atipici piuttosto che dei neurolettici come quello che le hai iniettato oggi, Greg. Eviteremo gli effetti collaterali e la possibilità di riprodurre i sintomi caratteristici di malattie neurologiche.»
Il collega abbassò lo sguardo insoddisfatto: «Comunque, atipici o no, non riescono a migliorare efficacemente tutti i sintomi se non assunti a lungo termine e servono solo a evitarne il peggioramento».
«Appunto Greg!» Michael si protrasse in avanti poggiando le braccia sulla scrivania. «Tanto vale iniziare con quelli meno dannosi, no?»
«Se nel frattempo non stacca il braccio a qualcuno...» Accennò un sorriso ironico, dopodiché puntò la fasciatura dalla quale si intravedevano piccoli puntini rossi misti a liquido di colore marrone-giallastro della tintura di iodio.
«Smettila Greg» affermò Michael, fissando le pezze sporche.
«C'è un'altra cosa.» Riprese l'altro. «Quello che non riesco a spiegarmi è il perché abbia risposto Michael alla mia domanda.»
Miller si irrigidì ma non mostrò reazioni: «A quale domanda ti riferisci? Per tutto il tempo ha pronunciato solo il mio nome».
«Chi è che vuole ucciderti?» Gregory non aggiunse altro mentre con lo sguardo non lasciava il volto del suo collega.
Miller esitò un momento, sembrava stesse raccogliendo idee. Idee che in realtà aveva già ben impresse nella mente.
«Probabilmente si riferiva a suo fratello Lincoln. Il suo subconscio le ha dato il tormento almeno fino a che ha avuto fiato per parlare e rivelarmelo. Aveva allucinazioni, lo sentiva parlare, e non a caso l'evento tragico si è concluso su quel monte dove il fratello ha perso la vita.» Sospirò sotto lo sguardo di Gregory poi continuò. «Credo che abbia riportato alla luce i ricordi rimossi, Greg. Credo sia stata lei a uccidere suo fratello.»
«Ma non era stato un incidente?»
«Niente è come sembra Greg. Così ha scritto in quel diario.» Indicò il fascicolo sulla scrivania. «Te l'ho portato, cosicché tu abbia tutti gli elementi.»
Gregory lo raccolse dal tavolo e cominciò a sfogliarlo silente.
«Credo fermamente che il profondo rancore nei riguardi di suo fratello l'abbia spinta a compiere un gesto estremo, Greg, o almeno a non evitare che accadesse.»
Gregory alzò il cipiglio dubbioso: «Ma questo non spiega perché ripeta convulsivamente il tuo nome, Michael. C'è qualcosa che mi sfugge, e spero solo di riuscire ad arrivarci».
«Dottore!» Un'infermiera irruppe nella stanza interrompendo bruscamente il dialogo fra i due.
«Cosa c'è Céline?»
«Non ha voluto sentire ragioni. Si è infilato di prepotenza...»
«Dottor Miller,» Watson si infilò nello studio senza troppi convenevoli, «deve seguirmi in centrale. Devo farle alcune domande.»
Michael resto interdetto per poi biascicare poche parole sensate «Poul? In centrale? Perché dovrei...»
«Deve rispondere in merito al rapimento di Sara Keach. Ora vuole seguirmi per favore?»
«Rapimento? Poul, ti ha dato di volta il cervello? Io... Mio Dio! Che scherzo è questo?»
«Quella sera è stato l'ultimo a sentirla, non è vero?»
Michael non rispose.
Gregory restò a guardarsi la scena mentre con gli occhi fece cenno di assenso al Detective.
«Cos'hai da guardare Greg? Avanti, dimmelo!» Michael berciò rosso d'ira.
«Ha parlato, Mike.» Greg si levò dalla sedia. «Sara ha parlato nei suoi momenti di lucidità, e hai ragione tu. Niente è come sembra.» Abbassò il volto mentre Watson intimava Miller a seguirlo senza opporre resistenza.
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