CAPITOLO TERZO

14 Novembre 2007

Mio Diario!

Un incubo.
Cioè... non lo dovrebbe essere.
In fondo lui è il più bello del gruppo, e tutte gli sbavano dietro. Fa parte dei "più grandi" dell'ultimo anno.
Ma a me non piace!

Oggi ha cominciato con i suoi soliti complimenti: forse un po' troppo sfacciati, direi. Un paio di volte ha persino allungato la mano... ma Theodore è così, per me lo fa solo per spavalderia.
Non credo che io gli interessi veramente, e nemmeno me ne importa. A me non piace.
Tutte le mie compagne mi hanno presa per pazza perché mi sono rifiutata di uscire da sola con lui.
Gli ho detto che non mi interessa! Ma lui non demorde.
Si è presentato con una rosa, oggi.
Mi scoccia dover subire le sue lusinghe. Io non provo nulla per lui.
Alcune volte mi viene da pensare che lo faccia solo per un motivo ben preciso. Mi sento più un trofeo da ottenere, che una ragazza corteggiata. Credo di essere l'unica vergine carina di tutta la scuola.
Sarò forse malata, mio Diario?
Fra due giorni compirò sedici anni, e ancora non ho mai nemmeno baciato un ragazzo.
Molte ragazze della mia età hanno già fatto sesso!
Non lo so...
La mamma dice che non devo preoccuparmi: "In fondo l'amore arriva quando meno te l'aspetti".
Non è che ne senta molto il bisogno, a dire il vero.
E non mi importa se mi prendono in giro con frasi del tipo... "Ehi! Verginella! Hai tolto le mutande di Hello Kitty?"
"Sorella, oggi niente ritiro spirituale?"
So che scherzano... e se anche lo dicessero sul serio, non mi importa Diario!
Per me l'amore arriverà, forse... un giorno.

Comunque oggi a Theodore l'ho detto apertamente. Fra noi due non potrà mai esserci nulla, e spero che stavolta abbia capito.

Ora devo andare, è quasi pronta la cena.
Vado ad aiutare la mamma in cucina.
Ciao mio Diario... A presto!

Tua Sara.

Alzò le commessure delle labbra nello stesso momento che le conferme le apparvero nella mente.
Allora era troppo giovane, non poteva capire, sapere.
Il tempo le avrebbe dato risposte.

Dieci anni passati da quelle righe, ma a Sara sembrava un'eternità.
Se le avessero chiesto di descriversi, di descrivere quella ragazzina, Sara non avrebbe saputo rispondere un granché.
Vedeva solo una piccola anima fragile, chiusa dentro se stessa. Diffidente verso il prossimo, e verso i suoi stessi sentimenti ed emozioni. Aveva imparato a non ascoltarsi. Aveva compreso che il mondo era un posto nel quale sopravvivere, dove non c'era tempo per restare a pensare; bastava infilarsi nella mischia e sgomitare, laddove ce ne fosse stato bisogno.
Scelse di non tramutare, sempre, le sue risposte in cause o conseguenze. Scelse di non essere disposta a confrontarsi.
Preferì restare sola.

"Non sempre bisogna trovare per forza una giustificazione, trovare per forza una ragione... trovare risposte...", questo si ripeteva.

Probabilmente era per quello che si sentì così diversa, così distante da quella ragazzina. Forse non aveva la chiave, allora. I suoi dubbi non avrebbero preso forma se avesse saputo.

Il suo analista le aveva detto: "Se le cose nella vita si desiderano veramente, c'è più speranza di ottenerle.
Non bisogna chiudersi nello spazio stretto della propria testa, ma, ogni tanto, dobbiamo guardarci attorno. Non dobbiamo aspettare sempre che qualcuno o qualcosa arrivi e, quando arriva, dobbiamo apprezzare e accettare l'aiuto che noi stessi abbiamo chiesto con ampia consapevolezza o meno. La vita è fatta di scelte, scelte che a volte si possono cambiare, scelte che a volte non si vogliono cambiare. Dipende da cosa l'uomo voglia farne, della propria vita."

Sara pensò che se avesse scelto di rimanere sola, tutto sarebbe stato più facile.
Non avrebbe avuto con chi misurarsi. Sarebbe stata meno esposta al giudizio altrui. Non avrebbe dovuto indossare maschere, perché fondamentalmente, in cuor suo, sentiva che a nessuno sarebbe importato di ciò che era.
Sarebbe vissuta esclusivamente per lei.
Ma solo dopo ne avrebbe valutato le conseguenze.

Si chiuse in una sorta di vittimismo nel quale il primo pensiero era che tutti l'avrebbero esclusa; nessuno l'avrebbe voluta.
E allora urlò, ma non era convinta di voler ascoltare ciò che gli altri le avrebbero detto, o magari consigliato. Scelse di chiudere la sua mente al prossimo riservandogli scarsa fiducia. Scelse di essere un'ombra.

"Il dolore non si sceglie, ma la strada per come reagire a esso sì", le tornarono ancora in mente le vecchie parole del dottore.
"Urlare serve per essere ascoltati. Confrontarti con gli altri ti aiuta a non sentirti vuota. Forse, tra quelle persone, hai la speranza di trovare chi possa farti credere che il mondo, poi, non fa così schifo. Qualcuno che sappia sostenere insieme a te il fardello che porti. E addirittura potrebbe sembrarti anche più leggero. Allora, forse, potresti trovare un motivo valido per alzarti al mattino senza pregare Dio di farti sparire dalla terra come ti ci ha fatto arrivare."

"Non lo possono fare tutti", rispose istantanea. "Dovrei essere pronta a prendere ancora calci in faccia. La vita,  alcune persone, mi deluderanno ancora. E io, stavolta, non posso permettermi di cadere, perché se cado stavolta, so che non mi rialzerò più."

Non era facile aprirsi alle persone e donare se stessa, senza maschere, pur sapendo che forse le sarebbe arrivato un altro colpo.
Allora non mise una maschera, ma una corazza.
Una corazza che avrebbe potuto togliere o lasciare: tutto sarebbe dipeso da chi le fosse andato vicino.

Ripensò a quelle mani protese in avanti. Avrebbe voluto ritirare le sue, ma non poté. Quelle mani erano ormai l'unica cosa che poteva ancora preservarla dalla caduta.

A volte, piccole cose cambiano la direzione della nostra vita; una circostanza, un momento accidentale che compare all’improvviso come un fulmine che ti colpisce al centro del petto.

"Fondamentalmente, nessuno è solo." Il dottore continuava a danzare fra i suoi pensieri. "Ci si convince di esserlo per la paura di dover soffrire ancora, ma così facendo diventiamo noi stessi il nostro male. Trovare un motivo per tirare avanti è ciò che si deve fare, e farlo da soli, a volte non basta. Qualcuno ci deve aiutare!
Usare gli occhi di un'altra persona per vedere. Usare le braccia di un'altra persona per sorreggersi. Usare le gambe di un'altra persona per camminare. Questo aiuta a riabilitare il proprio."

"Non esiste chi può farlo per me" asserì convinta.

"C'è sempre qualcuno! Tutto dipende da noi e da come scegliamo di vedere coi nostri occhi."

Fu quella volta, dopo quella seduta, che Sara scelse di provare. Tanto se non lo dovessi trovare, cosa cambierebbe? si era detta. Continuerò a essere ciò che sono, ma almeno potrò dire di aver tentato. Almeno avrò la possibilità di non sentirmi in colpa verso me stessa. Potrò dire di aver provato a scegliere il meglio per me, e per la mia vita...
E nel frattempo che rifletteva, quelle mani continuavano a bussare alla sua porta.

A volte la vita è come una gabbia dalla quale non si sa come uscire. Allora non rimane altro da fare che battersi e tentare di tutto per riacquistare la libertà.

Si strinse nelle spalle, divenne triste.
Non avrebbe avuto nemmeno il tempo di metabolizzare e capire.
Un'altra cosa avrebbe messo in pausa la sua vita. Il mondo le si sarebbe sconvolto al fianco.
Non avrebbe avuto tempo per pensare a quelle sciocchezze.
Tutto le si fermò accanto, travolgendo la sua esistenza.

A volte qualcosa ci spezza. Non sentiamo alcun rumore, e neppure ce ne accorgiamo. Eppure fa malissimo. È un dolore così violento che sembra non ci passerà mai. Nemmeno avessimo mille esistenze.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top