CAPITOLO QUINTO
23 Giugno 2007
Perdonami mio Diario,
non sono ancora pronta.
È volato. E io con lui.
Tua Sara...
Le lacrime colarono fitte sulla pagina già sbiadita.
Singhiozzò in silenzio.
Il ricordo era talmente nitido che leggere quelle pagine sarebbe stato indifferente.
Posò il diario sulle gambe e si asciugò il volto. Sospirò, per poi continuare.
30 Giugno 2007
È colpa mia.
Se solo lo avessi ascoltato!
Se solo fossi stata con lui non sarebbe accaduto.
Non ce l'ho fatta.
Oh Dio, Diario... Scusami. Riesco solo a piangere.
Ho chiamato aiuto. Ma non hanno fatto in tempo.
Maledetta me!
Non sono riuscita a trattenerlo per le braccia.
Non avevo abbastanza forza!
Diario, non ce la faccio.
Perdonami.
Tua Sara.
10 Luglio 2007
Torno. Torno spesso lì.
Tu non ci sei più.
Ricordo.
Ricordo i nostri sorrisi, i nostri abbracci.
Lincoln... perdonami.
Non ho saputo proteggerti. Ma credimi, ho fatto di tutto!
Io ti volevo bene, e te ne voglio ancora.
Mi hai chiesto di giocare con te, ma io volevo leggere. Volevo leggere quel maledetto libro!
Ti sei allontanato da solo col tuo pallone. Dietro di noi, poco distante. Dietro quella fitta fila di abeti rossi.
Io ti tenevo d'occhio! Tra corteccia e foglie vedevo la tua ombra correre appresso alla palla.
Poi ho abbassato lo sguardo più del dovuto... Perdonami fratello mio.
Oh, Dio! Vorrei sparire dal mondo. Come hai fatto tu.
Non ti ho visto, non ti ho visto più.
Ho esitato qualche secondo prima di venire a vedere.
Poi le tue urla.
Corri... Corri Sara!
Ho corso Lincoln.
Papà ha cominciato a trascinarsi dietro di me. La sua gamba... Lui non poteva correre. Poi è caduto.
Corri... Corri Sara!
Ho corso papà, e anche tu, ma non abbiamo fatto in tempo!
Tu non hai fatto in tempo... Io non sono stata capace di salvarlo!
Mi sono diretta verso le tue urla.
Penzolavi nel vuoto con gli occhi sgranati. Ti eri aggrappato a un masso, ma non avresti resistito molto.
"Non ti agitare Linc. Stai calmo! Dammi la mano."
"Aiutami Sara! Aiutami!"
Urlavi e ti dimenavi senza sosta. Facevo una gran fatica a tenerti, a tirarti... Perdonami!
"Papà, sbrigati! Mio Dio! Linc, resisti! Papà!"
Papà non ce la faceva ad alzarsi senza il suo bastone.
Poi si è attaccato a un albero. Si è alzato, ma è caduto di nuovo!
Il masso che ti teneva ha ceduto e tu sei scivolato più in basso. Il mio polso andava a fuoco. Non lo sentivo più.
Sei scivolato. Oh, Dio!
Il tuo urlo si spense di colpo... E di colpo, prese vita il mio.
Sara.
«Tesoro! Tuo padre mi ha detto...» Le parole della madre si troncarono appena varcata la soglia.
Sara aveva messo ordine fra quegli oggetti caduti, ma la mensola pendeva ancora sconquassata al muro.
«Hanno ceduto i sostegni? Ti sarai presa un tremendo spavento.» Si avvicinò alla figlia per carezzarle il volto pallido. «Per fortuna ero fuori casa. Altrimenti sarei morta di crepacuore. Papà mi ha detto che ha sentito un boato assordante...»
Sara a quel punto non stette più ad ascoltare.
Ero fuori casa: quelle furono le ultime parole che udì.
«Che vuol dire? N-non c'eri?» Gli occhi della ragazza cercarono smarriti quelli di sua madre.
«No tesoro. Sono tornata proprio ora. Tempo di mettermi le pantofole.»
«Non è possibile, mamma. Prima. Sulla porta. Io... io ti ho...»
Sara si levò di scatto e si avventò allo spicchio d'aria che entrava dalla finestra socchiusa.
«Tesoro, ti ho detto mille volte di lasciar perdere questo dannato diario.» Sbracciò infuriata. «Lo vuoi capire che ti fai solo del male!»
«Va bene,» rispose mesta, «ma adesso vorrei restare sola.»
Rimase immobile, mentre la madre, silente, abbandonava la stanza.
Si era fatta sera. Il sole declinava all'orizzonte morendo tra il rosso sbiadito e ornato di nuvole.
Sara osservava distratta l'enorme macchia verde fuori dalla finestra. Fusti legnosi componevano un intrico di rami e foglie; la vegetazione era pronta a inghiottire il giorno nell'abisso dell'oscurità.
Le maniche della maglia calate fin sopra le dita, erano ormai intrise di lacrime e muco. Le sfregò l'una su l'altra indifferente, e poi tornò a fissare il vuoto oltre la linea apparente che separa la terra dal cielo.
Era finito lì suo fratello? Incastrato tra il regno dei morti e quello dei vivi?
Oppure fluttuava nello spazio azzurro dell'aldilà?
Magari la sua anima risiedava accanto a lei, invece, come spesso si pensa in questi casi.
Era difficile per Sara credere a quest'ultima possibilità. Lei lo sentiva distante, sentiva il freddo, persino quando sfogliava l'album fotografico. Lo vedeva immortalato nella sua allegria, ma mai riusciva a distinguere un solo sorriso rivolto a lei.
Che fosse il senso di colpa, che fosse il rimorso di non avergli detto mai abbastanza ti voglio bene, che fosse il tormento, il cruccio di non essere riuscita a salvarlo... Sara era certa che Lincoln provasse rancore nei suoi confronti, ovunque si trovasse.
Congiunse le mani e vi affondò il volto dentro; un altro soffio d'amarezza andò a disperdersi nell'aria.
Scosse la testa per svuotare la mente invasa da quei pensieri, si rassegnò al tempo che scorreva e la richiamava alla realtà, alle sue cose, alla sua vita. Vita che Lincoln non avrebbe vissuto mai.
Si tirò dentro chiudendo le imposte. Una doccia, e sarebbe stata pronta per recarsi al lavoro.
Mise in ordine il diario nel solito cassetto e, raccolti i vestiti, si recò in bagno.
Aprì l'acqua nella doccia e presto il vapore generò un tepore confortevole nel quale Sara avrebbe oziato volentieri.
Si infilò sotto il getto d'acqua calda e si fece trascinare dalla sensazione di benessere, rilassandosi, e lasciandosi alle spalle tutto il tormento.
Nel silenzio, solo lo scrosciante rumore del flusso d'acqua.
Si abbandonò distendendo i muscoli, finché uno schiocco la colse di sprovvista facendola sobbalzare.
«Sono sotto la doccia!» Rispose al battere cadenzato alla porta, ma i colpi non cessarono. «Un attimo! Maledizione!» imprecò fra i denti.
Si avvolse il telo intorno al corpo bagnato e si diresse frettolosa nella stanza. Varcata la soglia, il rumore si fece più intenso. Si guardò attorno e comprese venisse dalla finestra.
Le ante, poggiate l'una sull'altra, continuavano a sbattere incessantemente spostate dal vento.
«Dannazione! Che freddo qui dentro.»
Di fronte all'infisso cercò di sbrigarsi a chiudere.
La maniglia scattò e il paletto si inserì deciso nel foro. Fece forza spingendo e tirando e stavolta sembrò sigillarsi bene.
«Brr!» Saltellò sul posto infreddolita.
Prese ad asciugarsi rapidamente per poi cominciare a vestirsi seduta sul letto.
Slip, t-shirt, e poi si fermò alle calze, quando vide di sottecchi la tenda muoversi proprio di fronte a lei.
Con lo sguardo percorse lentamente lo spazio che separava il pavimento dalla finestra, fino ad arrivare ai vetri ancora chiusi. Ma ciò che vide la paralizzò nel corpo e nella mente.
Un tremore irrefrenabile iniziò a colpire le gambe per poi arrampicarsi verso l'alto, dove Sara abbozzò dei movimenti involontari con la testa. Piccoli, precisi, rapidi. L'opposizione si concentrò nella faccia, tacendo le parole.
Un volto la fissava attraverso la lastra vetrata; storpiato e deturpato da tagli e squarci, dai quali sgorgava sangue che scendeva fino a disperdersi sulla maglia giallo citrino, anch'essa strappata e lacerata in più parti.
Capelli neri, occhi neri. Bianco come la morte.
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