CAPITOLO DECIMO

La serata era stata impegnativa quasi come di consueto, si sarebbe potuto dire. Il ristorante e i clienti che c'erano ogni giorno non l'avevano mai lasciata con le mani in mano, nemmeno una volta, giacché le fosse venuto in mente. Ma quella era trascorsa lenta e pesante. James era nuovo e toccava a Sara insegnargli le abitudini di quel posto e quantomeno quelle dei clienti fissi. In un certo senso non le dispiaceva affatto, avrebbe lavorato ininterrottamente se questo l'avrebbe aiutata a non pensare. Ma il fisico non sembrava essere molto d'accordo con la sua testa, superata la mezzanotte.

«Ho i piedi che vanno a fuoco.» Si voltò verso Veronica disperata.

«Lo so, immagino. Credo sia anche un po' colpa del nuovo arrivato. Vedrai che apprenderà presto, deve solo abituarsi.»

«Lo spero» asserì esausta.

Veronica l'abbracciò forte prima di salutarla: «Goditi il tuo giorno di riposo domani. Resta al letto e non alzarti per nessun motivo». Rise sapendo di aver detto una fesseria; per Sara le pantofole erano parte dell'arredamento. «Ci vediamo mercoledì, d'accordo? E se hai bisogno di me, in qualsiasi momento, chiama!»

«Grazie, lo farò» rispose, certa che non ne avrebbe avuto motivo.

Veronica uscì lasciando la porta socchiusa. Lo spicchio aperto intenerì il volto di Sara; la sua amica le aveva prestato attenzione, e aveva ricordato quanto Sara odiasse restare sola e chiusa lì dentro. Nonostante di tempo ne era passato da quando Sara non soffriva più di quei disagi, Veronica non aveva esitato a tenere bene in mente la conversazione avuta con lei qualche ora prima: i suoi timori si erano ripresentati e questo bastò a mettere anche lei in apprensione.

Sara non si trattenne ancora a lungo lì dentro. Indossò il suo giacchetto, prese la borsa, e poi uscì.

«Arrivederci Aldo!» Salutò il suo datore di lavoro intento a serrare le porte secondarie.

«Aspetta un momento tesoro.» La fermò Aldo. «Ho bisogno di parlarti. Aspettami fuori. Chiudo l'entrata e arrivo.»

«Oh... d'accordo.» Acconsentì alzando le spalle.

La nera notte, fuori, ingoiava avidamente la strada e tutto ciò che l'abitava. Un brivido di freddo le percorse la schiena. Non si sarebbe mai abituata fino in fondo al cambio di temperature tra giorno e notte a Flashy: a volte lo sbalzo termico toccava i quindici gradi centigradi, e in pochissimo tempo.
L'umidità si infiltrò nelle ossa nonostante il periodo invernale e rigido fosse alle spalle da un pezzo. Giugno era estate dichiarata e inoltrata ormai, ma il tempo sembrava avesse qualcosa da ridire ingrigendo il cielo con le sue nuvole colme.
Una pioggerella sottile cominciò a cadere, mentre Sara attendeva intrepida affinché Aldo si sbrigasse.

«Eccomi!» Sara trasalì. «Scusami se ti ho fatto attendere.» Il suono della voce accompagnò il tintinnio delle chiavi nella serratura.

«Non ti preoccupare. È solo questo maledetto tempo che...»

«Hai notato qualcosa di strano in mio figlio oggi?» La interruppe bruscamente. «Voglio dire... qualcosa di diverso dal suo essere stronzo?»

«N-no...» tentennò Sara.

«Rifletti bene» continuò a parlare, mentre a testa bassa proseguiva verso il parcheggio.

Sara lo seguì mesta. «Forse un tantino su di giri. Probabilmente aveva alzato un po' il gomito, ma non sono sicura...»

«Non avevo avuto modo di accertarmene,» la bloccò di nuovo, «è scappato via subito dopo Michael, ma ho avuto la netta sensazione che non fosse completamente lucido. In fondo avevo sperato che quegli ordini di superalcolici non previsti fossero stati un errore, ma a questo punto...»

Arrivato davanti all'auto Aldo si zittì. Prese le chiavi dalla tasca e l'aprì.

«Aldo, non per forza deve essere un vizio. Il fatto che oggi fosse un po' alticcio non vuol dire che...»

«Grazie Sara.»

Il volto rammaricato dell'uomo le tolse ogni parola da aggiungere. Fece un cenno di assenso e si diresse alla sua vettura parcheggiata tre o quattro posti dopo.

Non sapeva nemmeno lei perché avesse cercato di preservare quel tizio dalle congetture di suo padre, in realtà quelle idee avevano sfiorato anche la sua di testa.

«Ehilà! Signorina!»

Una voce sospese i suoi pensieri e fece largo a un'altra considerazione: ci mancava solo questa. Credo di aver fatto il pieno per oggi.

«Gretchen...» L'accolse con poco entusiasmo senza nemmeno voltarsi.

Due braccia le cinsero la vita e un bacio le si infiltrò tra i capelli solleticandole il collo.

«Gretchen... per favore.» Si scostò delicatamente slacciandosi dall'abbraccio.

«Ehi, cos'hai?» La donna serrò i fianchi di Sara per poi voltarsela fra le mani.
La schiena colpì la fredda carrozzeria della macchina, e finalmente ottenne quello che desiderava: gli occhi di Sara nei suoi.

Nella penombra illuminata dalla luce fioca di qualche lampione la figura di Gretchen apparve ancor più buia.
I capelli neri lasciati sciolti su una giacca scura facevano sì che si confondesse perfettamente nello sfondo tenebroso della notte. Più alta di una spanna restò rigida e in piedi a osservare Sara, addolcendo lo sguardo turchese; l'unica cosa che rifletteva la sua reale presenza.

«Credevo che ti servisse per riflettere questo tempo. Invece ti sei già dimenticata di me?»

Sara si soffermò a pensare fra le iridi lucenti e le labbra floride. Qualche mese prima sarebbe rimasta col fiato sospeso e il cuore in subbuglio. Una morsa di rimpianto la colpì, ora che il vuoto la invadeva davanti a quella presenza. L'aria cominciò a scaldarsi e Sara fu colta da un refolo caldo al centro del ventre che salì fino a titillarle l'epidermide delle guance.
Gretchen era stata la sua vera droga, su questo non avrebbe mai avuto dubbi. Nemmeno per le cento vite avvenire, se ce ne fossero state. Ma se avesse dovuto descrivere le sue sensazioni negli ultimi tempi della loro relazione avrebbe detto di sentirsi camminare su una corda stretta e sottile, in bilico nel vuoto, e con un bel nodo scorsoio intorno al collo.

«Non avevo nulla su cui riflettere. Che la vita ti riservi ciò che desideri, Gretchen. Addio.»

Le mani della donna la tennero attaccata con forza sul freddo metallo.

«So che sei spaventata ma... chiudi gli occhi, siamo così vicine al paradiso. Lasciati andare.»

Le labbra si suggellarono con prepotenza alle sue, tuttavia per Sara quel paradiso era ormai distante. Era volata giù da quelle nuvole, aveva perso tutto quel tempo dietro alle manie e alle insicurezze della sua ex fidanzata. Avrebbe voluto imparare a volare, ma lassù, nel mezzo del nulla, avrebbe solo continuato a camminare su quel filo stretto rischiando di far morire la sua essenza.

Stavolta la respinse bruscamente: «Paradiso?» Rise sarcastica per poi tornare seria in un lampo. «Mi hai fatto vivere un inferno! La tua ossessione per me, mi ha devastata!»

«Dovresti essere lusingata se...»

«Lusingata?!» Calò le braccia lungo i fianchi. «Cazzo, Gretchen! La tua possessività, la tue fobie, la tua gelosia, i litigi per questo fottuto lavoro, per il telefono spento, persino per il mio analista!»

La fissò negli occhi: «Il bel dottore... già. Lui e tutta quella merda che ti ha ficcato nella testa».

«Fanculo Gretchen.» Sara si voltò e aprì la portiera dell'auto decisa ad andare.

«Ferma bambina.»
Una fresca sensazione si posò fra i seni, Gretchen aveva tirato fuori un coltello facendo scattare la lama scintillante nel nero della notte.

Esitò un momento prima di mostrarsi forte e non cedere alla paura. «Metti via quel coso, Gretchen. E rassegnati. Fra di noi è finita.»

D'improvviso la mano di Gretchen si strinse attorno alla bocca di Sara. Sempre più forte, finché l'ossigeno cominciò a mancare.

«Ehi! Tutto bene Sara?» La voce di Aldo arrivò per Sara come la manna dal cielo.

Gretchen la lasciò di scatto. «Sì! Tutto a posto, vecchio. Stavamo solo parlando» rispose prontamente.

«Sara?» insistette Aldo. Non avrebbe mollato se non prima di aver udito la voce della sua dipendente.

«Sì, Aldo. Tutto ok, » disse dopo aver ripreso fiato, «Gretchen stava andando via.» Si voltò a guardarla negli occhi lanciando lampi di ira e odio.

«Non ti libererai facilmente di me» le sussurrò nelle orecchie. «O me, o nessun'altra.»

Sara restò a guardare quell'ombra disperdersi nell'oscurità, mentre, acceso il motore, si avviava verso casa.

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