Capitolo quattordici
Puntuale come l'arrivo dell'ora solare l'ultima domenica di Ottobre, alle venti Emis era davanti al suo portone, in trepidante attesa e con un sorriso talmente smagliante, da essere scritturato per la pubblicità di un dentifricio. Era in sella ad una due ruote da MotoGP, in attesa di Serena che, contrariamente ad ogni suo pronostico, aveva accettato un appuntamento con lui.
«E questa da dove salta fuori? Tuo padre ha voluto anticipare il regalo della tua laurea?»
«No, questa è di Gabe.»
«Generoso da parte sua prestartela». Serena s'infilò il casco e salì dietro di lui.
«Devi tenerti stretta a me». Emis si avvinghiò le braccia di lei intorno alla vita. La moto ringhiò e le gomme fischiarono sull'asfalto, Emis urlò qualcosa, ma le sue parole furono strappate via dal roboante frastuono del motore.
Scortati da un cielo stellato, raggiunsero il centro storico. Serena scese dalla moto e si guardò attorno. Poche macchine, luci sfocate e rassicuranti in lontananza. Alle spalle di piazza Unità, il maestoso cuore di Trieste, Emis la condusse in un vicolo pedonale, il cui silenzio era rotto soltanto dal guizzo di una fontanella. Lì, a pochi passi, era situata "La Chimera", una graziosa locanda a conduzione familiare. Oltrepassato l'ingresso, Serena fu abbagliata dal bianco sfavillante che dominava la location, interrotto solo dalla tinta glicine del tendaggio e delle poltrone. Lo stile provenzale era richiamato dal color lavanda delle candele, poste a ornamento dei tavoli e dal verde dei fiocchi che annodavano con eleganza i tovaglioli.
Furono accolti dalla calorosa ospitalità dello chef e della sua consorte, nonché proprietari della locanda. «Signor Furlan, ben arrivato.»
«Mi chiami pure Emiliano» rispose lui, con un sorrisetto nervoso.
«Come stai?»
«Bene, grazie. Lei è Serena» annunziò Emis, come se presentasse una creatura rara e preziosa.
«E' un piacere averti qui», risposero i coniugi all'unisono.
«Il piacere è mio» rispose lei, con lo stesso sorrisetto nervoso di Emis.
Dopo le presentazioni raggiunsero il tavolo, mentre i signori Colombin si avviavano verso la cucina. Un cameriere si avvicinò a loro, per ritirare le giacche.
Emis scostò la sedia di Serena, invitandola a sedersi. «Allora, cosa vuoi ordinare?»
«Sembra che tu sia di casa qui. Ti lascio carta bianca.»
«Bene, due porzioni di ravioli verdi, con ripieno di fonduta». Emis rivolse l'ordine al cameriere, prima di sorriderle.
Serena non l'aveva mai visto vestito in modo così elegante, la camicia nera di seta risaltava la sua carnagione bianchissima, quasi esangue e il suo collo sottile era avvolto da una pashmina color ghiaccio. In quel preciso istante le sembrò di vedere Ester, la loro somiglianza a volte era impressionante, a tal punto da sembrare gemelli: avevano entrambi gli occhi verdi e gentili; i capelli biondi, di un giallo così intenso da ricordare l'oro; lo stesso corpo snello, agile da ginnasta e lo stesso modo di camminare.
«Sere, ci sei?»
Si era nuovamente persa nei pensieri, con lo sguardo nel vuoto. Le capitava spesso di assentarsi, anche nei momenti meno opportuni, come quello, in cui era a tavola e in compagnia di qualcuno. Incominciava con piccoli pensieri che, a intermittenza, andavano e venivano per poi proiettarsi nella sua mente in maniera sempre più continua, come un film che rapiva la sua attenzione per lunghissimi minuti, estraniandola da tutto il resto.
«A cosa pensavi?»
«Sciocchezze.»
«Ci sono anch'io in queste sciocchezze?»
«Da quando pensi di essere una sciocchezza per me?»
«Mi accontenterei di essere qualunque cosa, pur di essere nei tuoi pensieri.»
Il sommelier si avvicinò al tavolo con un calice di tocai friulano, che fece stillare lentamente nei bicchieri a forma di tulipano.
«Tu fai sempre parte dei miei pensieri.»
«In che modo?» bofonchiò Emis, mentre la sua mano si serrava intorno allo stelo del bicchiere.
«I ravioli sono serviti, buon appetito» li interruppe il cameriere, scusandosi. Il servizio era davvero impeccabile.
«Il profumo promette bene.»
«Non hai risposto alla mia domanda» la incalzò lui, dopo aver posato dolcemente le sue labbra sul tovagliolo, per impedire ad una goccia di vino di scivolargli via.
Prima di allora, Serena non si era mai chiesta se Emis fosse carino o no. Aveva degli occhi splendidi, un taglio di capelli alla moda che gli calzava a pennello e un corpo tonico, muscoloso. Un bel ragazzo oltre ogni ragionevole dubbio, ma non l'aveva mai attratta in quel senso. «Emis, sai benissimo cosa provo per te.»
«No, non lo so. Tu rispondi sempre io-di-più, ma non è come dire ti-voglio-bene.»
«Questo non cambia ciò che provo» dichiarò lei, stizzita.
«E' vero, ma ogni tanto mi piacerebbe sentirtelo dire.»
Lo sguardo di Serena, in quell'istante, scivolò giù sulla candela accesa, la sua fiamma ardeva vigorosa e bollente. Era esattamente così che si sentiva, ma la sua fiamma non bruciava per Emis. «Perché?»
«Sere, tu mi piaci...», si fermò e abbassò lo sguardo sulla candela. «Credevo l'avessi capito.»
«No, io...», esitò. Voleva sprofondare fino al centro della terra, soltanto lì il suo viso infuocato sarebbe passato inosservato.
Non parlarono più. Serena era in fuga da lui che, se pur silenzioso, continuava a parlarle con lo sguardo. Mille discorsi, zero parole. La serata si trascinava; il tempo doveva essersi arrestato, ogni volta che Serena lanciava un'occhiata all'orologio, le lancette sembravano incollate al quadrante. Il suo sguardo si perse altrove, dove non avrebbe incontrato i suoi occhi tristi.
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