Capitolo nove

Il sole si era eclissato all'orizzonte e la luna avanzava con la sua solita timidezza, la mente di Serena rievocò il sogno e lei non poté fare a meno di perdersi nel ricordo di Gabriel. Mantenne la posizione di rilassamento e non aprì gli occhi, doveva ricordare in fretta; ogni secondo trascorso dal risveglio corrispondeva a preziosi ricordi che svanivano. Visualizzò l'ultima scena e partì da questa per ricostruire a ritroso l'intero sogno. Fu più complicato di quanto pensasse, si sentiva intrappolata in qualcosa di poco piacevole che si sottraeva al suo controllo.

Con la guancia ancora infossata nel cuscino, sollevò le palpebre a rallentatore, aveva una lieve vertigine, probabilmente dovuta al rapido passaggio dallo stato di sonno a quello di veglia. Richiuse gli occhi, come per tornare al sogno, ma la sua mente era troppo lucida per riuscirci di nuovo. Provò a muoversi e fu assalita da un'improvvisa manifestazione di panico, quando non riuscì a farlo: i muscoli erano intorpiditi, pervasi da un formicolio che li avvolgeva in una sorta di spirale e che li ancorava al letto. Mosse le dita insensibili a piccoli scatti per svegliarle dal torpore, ma erano immobili e rigide come i bastoncini dello shanghai. Si lasciò sopraffare da un'ondata di paura folle e ne rimase in balia, mentre le rimbombava nella testa l'eco muto delle sue urla terrorizzate.

L'immagine di Gabriel che le sorrideva le strappò un gemito che le solleticò la gola, lasciandola per un breve istante meno impaurita. Questo le permise di ritornare padrona dei suoi pensieri e di stemperare le poche palpitazioni di panico rimaste. La nebbia che offuscava la sua vista scomparve e iniziò a riprendersi dallo stato catatonico in cui era caduta.

Caro diario,

quando incontro il suo sguardo divento preda di un'emozione che mi ingabbia senza lasciarmi alcuna via d'uscita. Eppure tutto questo risveglia in me la voglia di vivere. È come se il sogno mi avesse paradossalmente svegliata, riportandomi in vita.

L'amore che ho in testa è frutto della mia immaginazione, ma l'amore che ho nel cuore sta mescolando il sogno alla realtà, in una sintesi che racchiude il segreto della mia felicità.

In questo momento, un solo desiderio vorrei che si esaudisse: che i miei pensieri si allontanassero, lasciandomi libera di perdermi in un sonno tanto lungo da portarmi fino a lui. Vorrei averlo accanto e lui mi vedrebbe con gli occhi del cuore. Resteremmo insieme fino all'alba, quando la notte cederebbe il passo al giorno e noi finiremmo di nuovo prigionieri del tempo.

Una lacrima ha appena attraversato il mio viso, è il mio cuore che piange. Ciò che ama non esiste, ma senza di lui non è in grado di vivere perché solo. Provo a guardarmi dentro alla ricerca di un po' di felicità, ma l'unica cosa che può rendermi felice ora non c'è.

S.

Attraverso il diario, Gabriel era con lei e non si sentiva più sola. La solitudine, un giorno, aveva chiamato il suo nome e, da quel momento, era diventata la sua inseparabile compagna di vita. Le aveva insegnato a bastare a se stessa, ma il sogno, attraverso una vita parallela, le stava lanciando una ciambella di salvataggio.

Improvvisamente, la porta della sua camera si spalancò e Serena sobbalzò, facendo cadere il diario sul pavimento. «Ti pare questo il modo di entrare?» sbottò, incenerendo Ester con lo sguardo.

«Ho bussato per ben due volte» ribatté lei, seccata. «Emis, diglielo anche tu.»

Serena si chinò per recuperare il diario, ancora un po' scombussolata. «Cosa c'è?»

«Hai visto il mio accappatoio?»

«Sì, vagava tra le anime sporche del portabiancheria.»

«Okay, userò l'asciugamano. Vado a farmi una doccia» annunciò, dirigendosi verso il bagno e borbottando qualcosa di incomprensibile nel suo dialetto.

«Che facevi di bello?» le domandò Emis, entrando nella camera.

«Studiavo» mentì, radunando frettolosamente gli appunti sui sogni lucidi.

«Ripetiamo insieme?»

«No, Emis. Sono distrutta». Serena intravide un velo di amarezza nei suoi occhi e provò a farsi perdonare. «Ti andrebbe una partita a scacchi?»

Emis gradì il suo invito e, dopo essersi accomodato sul letto, dispose gli scacchi per la partita. «Bianco o nero?»

«Bianco.»

Emis guardò Serena in modo strano. Profondo. Lei rimase spiazzata a tal punto che dovette virare i suoi occhi da un'altra parte. «Ti andrebbe di uscire?»

«Hai organizzato qualcosa con Ester? Pedone bianco in E4.»

«Pedone nero in E5. Veramente, pensavo di organizzare qualcosa con te.»

«Regina bianca in H5.»

«Cavallo nero in C6. Ti va?»

«Di uscire con te? Alfiere bianco in C4.»

«Cavallo nero in F6. Sì». Emis le sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio con una tale dolcezza che Serena fu percorsa da un fremito. Non capiva cosa gli accadesse, non si era mai comportato così.

«Mi piacerebbe» ammise, mentre tentava di perforare il palmo della sua mano con un dito dell'altra. Stava eseguendo un test di realtà, per verificare di essere uscita dal sogno. «Solo che, quando sono sotto esame, vorrei restare concentrata.»

«Dovrai pure mangiare, no?»

«Lo so, ma non voglio fare tardi e compromettere il ripasso.»

«Ti do la mia parola che non faremo tardi, in più ti offro il mio aiuto per ripetere insieme.»

«Non hai intenzione di mollare, vero?»

«Tenacia è il mio secondo nome.»

«E da quando?»

«Da quando ti conosco, mi dici sempre di no.»

«Regina bianca in F7. Questa volta ho detto sì. Scacco matto.»

«Cosa?», Emis strabuzzò gli occhi. «Ma come hai fatto a fregarmi in sole quattro mosse?»

«Si chiama il matto del barbiere. E' una trappola d'apertura scacchista per principianti», si pavoneggiò. «Pensavo fossi più bravo.»

«Infatti, mi sono un po' distratto, tutto qui.»

Serena si alzò dal letto e ripose la scacchiera nel cassetto.

«Sere», Emis la raggiunse e le accarezzò un braccio. «Chi è Demi?»

Lei s'irrigidì all'istante, un nodo alla gola iniziò a toglierle il respiro.

«Ester te lo sente nominare spesso.»

Demi.

Era solo un nome, ma riuscì a scatenarle dentro la stessa angoscia che riviveva al risveglio. Un ricordo orribile e spaventoso si fece strada nella sua mente, tallonandola senza sosta con la sua crudele persistenza. Una sensazione strana, ma familiare, la risucchiò dentro la sua evocazione, cancellando tutto il resto.

C'era solo il buio.

L'ansia iniziò ad impadronirsi di lei, avvolgendola in un silenzio tombale che durò un'eternità. Vide un ragazzo, con un ciuffo di capelli biondi scivolato sul viso e uno sguardo carico di sofferenza. Non aveva idea di chi fosse, ma quel dolore incominciò a montarle dentro un senso di terrore folle: due biglie trasparenti al posto degli occhi; una tela bianca calata sul viso.

«Sere, è tutto okay?»

La voce di Emis la riscosse da quello stato agghiacciante di choc in cui era piombata. Emerse da quel ricordo terrificante e lo guardò. Serena si accorse solo allora dei suoi occhi sgranati, riflessi in quelli dell'amico. «Sì.»

«A me non sembra. Hai l'aria di una che ha appena avuto un incontro ravvicinato con Freddy Krueger.»

«E' tutto okay, Emis. Davvero.»

«E' il tuo ragazzo?»

«Chi? Krueger?»

Emis sorrise. Sere era di nuovo lì, con lui. «Mi sento offeso. Non per vantarmi, ma sono decisamente meglio.»

«Non lo metto in dubbio.»

«Allora?». Emis le prese il mento tra due dita. «Questo Demi?»

Serena inspirò profondamente, il cuore non voleva saperne di darsi una calmata. «Non so chi sia» ammise, lanciando un'occhiata alla finestra.

Il meteo aveva previsto un'ondata di maltempo che si sarebbe rovesciata su tutto il Nordest, non era poi così difficile prevederla su quella città. Un'incessante pioggia uggiosa defluiva sui vetri, facendoli diventare opachi. Serena rabbrividì, il suo sguardo si perse sotto la pioggia battente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top