Capitolo 6
Serena si svegliò di soprassalto, con addosso un formicolio che le attraversava il corpo dalla radice dei capelli fino alle unghie dei piedi. La testa le girava, come una girandola strapazzata dal vento e il cuore le pulsava al ritmo della fanfara dei bersaglieri. I brutti sogni non svanivano mai, quando apriva gli occhi al mattino. Continuavano a tormentarla, nascondendosi negli angoli più remoti della sua mente. Come quel ghigno, così malefico da lasciarle i brividi sulla pelle. Si guardò i polsi, li sentiva doloranti, ma era solo una fastidiosa sensazione.
Era successo ancora.
«Sere?». Ester fece capolino nella sua stanza e sussultò, quando la vide. Serena era immobile: gli occhi sgranati a fissare il nulla; il viso pallido; la pelle madida di sudore. Sembrava la scena di un film, uno di quelli in cui la protagonista vede una bambina, con il volto coperto da lunghi capelli corvini, venir fuori dalla tv e avanzare carponi verso di sé. «E' tutto okay?»
Serena si limitò ad annuire, era troppo stravolta per parlare.
Con passo felpato, Ester entrò e si sedette sul letto accanto a lei, ma indugiò sul lasciarle la tazza di camomilla tra le mani. Serena doveva essersi spaventata a morte e non c'era verso di riavvolgere il nastro di quel film. «Bevi, è una forza contro i nervi tesi» la rassicurò Ester, aiutandola a sorseggiare quel liquido caldo. «Un incubo?»
Serena annuì, rivolgendo all'amica un sorriso pieno di gratitudine per quel gesto premuroso.
«Sempre lo stesso, vero?»
Accennò un sì con la testa, mentre l'espressione sul viso di Ester si fece più pensierosa come se si stesse domandando se l'amica fosse sana di mente. Serena non la biasimava, al posto suo, se lo sarebbe chiesto anche lei. Afferrò la tazza e riprese a bere, da sola, le mani finalmente avevano deciso di collaborare.
«Non puoi andare avanti così» riprese Ester, allungandole un braccio sulla spalla. «Ma guardati, sei più bianca di un orso polare. Se questi incubi ti fanno questo effetto, dovresti parlarne con qualcuno.»
Serena la guardò, leggermente interdetta. «Sono da ricovero, secondo te?»
«No». Lo sguardo imbarazzato di Ester scivolò giù, sulle pantofole pelose di Hello Kitty. «Non volevo dire questo.»
«Cosa intendevi allora?»
«Mia madre potrebbe aiutarti.»
«Tua madre è una psicologa». Serena si alzò, andò alla finestra e scostò la tendina. Lo sguardo vuoto. Perso. Allontanò una ciocca di capelli dagli occhi con un leggero movimento del capo. «Non credo di poterci riuscire.»
«Non dico che sarà una passeggiata, ma all'inizio puoi dirle quello che ti pare, ciò che ti passa per la testa». Ester le si avvicinò di qualche passo. «Quando ti sentirai pronta, lei ti ascolterà.»
Rimasero a guardarsi per un po', senza trovare altro da dire. Ester non aveva tutti i torti, da sola Serena non sarebbe riuscita ad andare avanti, ma qualcosa le impediva di condividere quel malessere con i suoi migliori amici. Con una estranea sarebbe stato difficile, con una psicologa praticamente impossibile e non perché l'essere seguita da un'analista l'avrebbe fatta sentire come una fuori di testa, ma semplicemente perché non voleva ammettere la sconfitta. In fondo, si trattava di lei, dei suoi problemi, delle sue emozioni, delle sue frustrazioni, del suo dolore. Nessuno poteva conoscerla più di quanto lei conoscesse se stessa e a nessuno avrebbe permesso di scavarle dentro per portare a galla ciò che non voleva sapere.
«Ci penserò.»
«Ti lascio il suo numero» ribatté Ester, digitandolo sul cellulare. «Scappo. Ho l'esame, oggi» la salutò, stampandole un bacio in fronte e scomparve.
«In bocca al lupo» mormorò lei, ma Ester si era già dileguata dietro la porta. Serena rimase immobile a fissarla, con un'espressione smorta sul viso e un respiro così tenue da non permettere al torace di alzarsi di un millimetro, rapita dal pensiero di fare quella telefonata.
***
L'argomento di quella mattina, presentato dal professor Klemen, riguardava la psicanalisi. Freud e le sue teorie avevano sempre affascinato Serena, ma in quel periodo la sua attenzione era rivolta altrove. Il solo ricordo del loro ultimo incontro era sufficiente a scombussolarla, come travolta da un mare in burrasca. Era più distratta del solito, stava fuggendo dai suoi pensieri, non riusciva a trovare una via d'uscita e, ovunque andasse, c'era Gabriel a sbirciarla. Lui era riuscito a strapparle via quell'inseparabile velo di tristezza che si portava addosso, come una seconda pelle. Non voleva rinunciare a Gabriel, ma non sapeva come rivederlo ancora. Erano diverse notti che non lo sognava più.
«Continuare a sognare sapendo di sognare, secondo Nietzsche è possibile acquisire la consapevolezza di trovarsi in un sogno. Tale consapevolezza porta un soggetto a modificare a proprio piacimento gli eventi del sogno, sapendo che esso altro non è che una creazione della sua mente.»
Il contenuto di quella frase destò immediatamente l'attenzione di Serena. Si spostò dal fondo dell'aula per avvicinarsi il più possibile al professore, ma rimase in piedi, non essendoci posti liberi.
«Questi individui, chiamati sognatori lucidi, hanno la capacità di rendersi conto di trovarsi in un sogno senza applicare tecniche particolari». Il professore arrestò bruscamente il suo discorso. «Domandi pure signorina.»
In quel momento, i volti sgomenti di circa duecento ragazzi si voltarono nella direzione di Serena. Lì per lì, non ne capì il motivo, poi si accorse del suo braccio destro proteso verso l'alto in segno di domanda. Rimase strabiliata di se stessa. Aveva osato interrompere un prof nel bel mezzo di una lezione, per interrogarlo di fronte alla classe.
«E' possibile indurre un sogno lucido?». La sua voce rimbalzò nell'inquietante silenzio dell'aula, mentre sentiva le sue gote infuocarsi ad ogni parola pronunciata.
Il professore incurvò leggermente un sopracciglio. «Sì, è possibile. Esistono numerose tecniche, tuttavia il prerequisito necessario per poter sperimentare il sogno lucido è quello di riuscire a ricordare i propri sogni. A tal proposito, il metodo più utilizzato per potenziare tale abilità è quello di tenere un diario da compilare subito dopo il risveglio, dato che i sogni tendono a svanire molto rapidamente.»
Non trovando la sua risposta molto esaustiva, Serena aspettò il termine della lezione per approfondire l'argomento. La tecnica del diario l'aveva già messa in pratica, ma aveva bisogno di ben altro per realizzare il suo obiettivo. Il professore era appena entrato nel suo studio, Serena attese qualche minuto prima di bussare.
«Mi scusi professore, avrebbe qualche minuto? Avrei bisogno di alcuni chiarimenti sulla lezione di oggi.»
«Prego.»
Serena entrò e fu subito sopraffatta da un intenso odore di chiuso e di tabacco. Si accomodò su una sedia, davanti alla sua scrivania.
Il signor Klemen era un tipo grassoccio e di bassa statura, coi capelli brizzolati; l'aspetto di docente universitario glielo conferiva l'abito di tweed a quadri verde-marrone con toppe in camoscio, che indossava quotidianamente. Fra gli insegnanti era quello più disponibile al dialogo con gli studenti, per questo Serena era sicura che l'avrebbe ascoltata.
Nello studio una fievole luce filtrava da due finestre poste in alto e piuttosto grandi, era da lì che provenivano i nutriti rumori della strada. Accatastati alle pareti c'erano degli scaffali di legno, che straboccavano di tomi rilegati da eleganti copertine, annebbiate da neve grigia.
Il professore sollevò uno sguardo interrogativo su di lei. «Cosa vuole sapere?»
«Sono interessata ai sogni lucidi, vorrei sperimentarne uno, ma non so da che parte incominciare.»
«Molto interessante, ma prima dovrebbe familiarizzare con alcune tecniche di rilassamento» disse, dopo aver sistemato un segnalibro tra le pagine di un grosso libro. «Ha mai sentito parlare del potere ipnotico dell'ego?»
«Sì, durante una sua lezione. Emile Coué, il pioniere dell'autoipnosi.»
«Esattamente. Coué affermò che qualunque cosa diciamo a noi stessi con convinzione diventa una realtà. Lui ripeteva a se stesso: "sto migliorando ogni giorno di più, sotto tutti i punti di vista".»
«Bisogna essere predisposti a questo genere di autosuggestione?»
«Al mattino, lei si alza sempre alla stessa ora?» le chiese, mentre la sua mano giocherellava con la barba sale e pepe.
«Sì, sempre.»
«Fa uso di una sveglia, per alzarsi?»
«Sì, anche se quasi sempre apro gli occhi prima che suoni.»
«Perfetto, era proprio qui che volevo arrivare. Lei è la candidata ideale per l'autoipnosi, perché già si suggestiona a svegliarsi seguendo istruzioni che si dà prima di andare a dormire.»
«Non credo di aver capito bene.»
«Nel momento in cui va a letto e stabilisce di alzarsi ad un'ora precisa, lei mette la sua mente in uno stato ricettivo e il subcosciente prende il controllo della situazione, segnalando alla mente cosciente il momento di svegliarsi.»
«Come posso condizionare la mente ad obbedire agli ordini del subcosciente?»
«Potrebbe esercitarsi a svegliarsi senza l'aiuto della sveglia. Non avendo a disposizione un supporto meccanico ad aiutarla, rafforzerà il comando inconscio che deve svegliarla all'ora stabilita. Una volta che sarà riuscita in questo, sarà sulla buona strada per cimentarsi con le tecniche di autoipnosi». Klemen le consegnò alcuni fascicoli sui sogni lucidi e, poi, la congedò.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top