Capitolo 31
La casa di Emis era una reggia, impossibile trovare le parole per descriverla. Era situata a Barcola, tra Roiano e Miramare, su una collina con vista sul mare, ornata da viali alberati; al centro dell'enorme giardino vi era una fontana a forma di quadrifoglio, che si trovava di fronte all'arancera con alberi secolari di arancio e limone. Le finestre dei primi due piani di casa Furlan erano tutte illuminate. Grossi vasi di rose decoravano la scalinata di fronte alla porta principale.
Ester si lasciò sfuggire un gemito e, subito dopo, fece un respiro profondo per calmarsi. «Guarda che roba.»
«È roba da ricchi» mormorò Serena.
L'autista aprì la portiera e il maggiordomo, che era lì in attesa, andò loro incontro.
«Buona sera, signorine. Sono Gustavo. Vogliate seguirmi». Percorsero la lunga gradinata e si ritrovarono all'interno. «Date pure a me i soprabiti, prego.»
Il pavimento rivestito da parquet lucidato era impreziosito da intarsi in marmo. Serena sollevò lo sguardo verso il soffitto a volte di legno, dipinto con una scena rococò di nuvole e cherubini. Guardò Ester estasiata. «Hai visto che soffitto?»
«Dai, sbrigati» sussurrò lei, trascinandola via per un braccio.
Gustavo le invitò a seguirlo per un corridoio infinitamente lungo, che attraversava gli sterminati spazi della villa, una camera dopo l'altra. Una, probabilmente uno studio, aveva come pareti dei pannelli di legno tappezzati da libri, targhe, riconoscimenti, lauree e specializzazioni in medicina. Serena si diede un'occhiata intorno. Lampade di vetro a forma di rosa pendevano a intervalli regolari dai pannelli di legno alle pareti e l'aria odorava di candele profumate. Sentì un suono flebile e delicato in lontananza. Svoltarono l'angolo e il suono verso cui si stavano avvicinando si faceva più forte. Si ritrovarono di fronte a una porta aperta. Diede un'occhiata all'interno e vide quello che era evidentemente un grande salotto. Un'arpa occupava il centro della stanza, insieme alla sua suonatrice. Serena era completamente rapita da quelle mani affusolate che si muovevano velocemente, pizzicando con dolcezza le corde di quello strumento maestoso. Non ne aveva mai visto uno dal vivo.
L'arredamento era molto curato ma sobrio. La stanza era impreziosita da tessuti ricercati e da un'illuminazione calda che, insieme al fuoco che ardeva nell'enorme caminetto, la rendeva ancor più accogliente. Il pezzo forte di tutta la stanza, però, era la grande finestra a bovindo con il suo spettacolare panorama: la fine della collina e l'inizio del mare. Lì c'erano ad aspettarle tutti.
«Finalmente siete arrivate», le accolse Emis.
«Auguri» ribatterono lei ed Ester, porgendogli un regalo.
Emis lo prese ringraziandole e lo posò su di un tavolo, ricoperto da una tovaglia ricamata di pizzo bianco, accanto a un mucchio di altri pacchetti colorati.
I suoi genitori, due cinquantenni dall'aria molto giovanile, erano i più vicini ad Emis. Lui magro, vestito in modo casual con un cardigan grigio a doppio petto su un pantalone di velluto nero, capelli castani, a tratti interrotti da ciuffi grigi e un lungo naso aquilino su cui poggiava un paio di occhiali in osso neri; lei, corporatura snella cinta da un elegante tailleur blu Armani, con la gonna che le ricopriva per metà il ginocchio, décolleté in tinta, capelli biondi della stessa tonalità giallo oro di Emis, che le ricadevano ondulati sulle spalle, labbra e guance tinte da una tonalità rosata.
Di colpo, Serena si sentì fuori luogo e si nascose dietro Ester. Avere una pallavolista come amica, spesso le tornava utile. Con una mano ravvivò i riccioli, mentre con l'altra si lisciò il tubino nero. Serena prese un lungo respiro, ma non ci riuscì. Si chiedeva perché avesse lasciato che Ester si occupasse del suo outfit quella sera. Quel vestito la fasciava tanto da rallentarle la circolazione, come una chicane sul circuito monegasco.
«Ragazze vi presento Eliano e Carola.»
Loro manifestarono un sorriso cordiale di benvenuto. Dietro la coppia c'era un ragazzo che, in altezza, superava i due coniugi. Il giovane aveva una corporatura esile, i capelli castani dal taglio spettinato, ma non si vide subito in faccia. Era voltato di spalle e, quando si girò, Ester sgranò gli occhi.
«Lui è Gabe, mio fratello. È tornato qualche giorno fa dagli Stati Uniti» proseguì Emis, additando il ragazzo.
«Ci conosciamo già». Lo sguardo di Gabe oltrepassò Ester e si posò con sorpresa su Serena.
Emis era più sbalordito di loro. «Quando è successo?»
«Questa mattina, sul 29» rispose Ester, con un certo sforzo.
Serena era taciturna. La sua voce aveva fatto le valigie, per chiedere asilo in un paese straniero.
Emis, che aveva osservato la scena con lo sguardo vivace e curioso di un bambino, si rivolse al fratello. «Gabe, tu che facevi in autobus?»
«Stavo andando a ritirare l'auto in officina» rispose lui, con aria imperturbabile. I suoi occhi azzurro cielo continuavano ad essere fissi su Serena, che fece molta fatica a non perdersi in quell'infinito.
«È l'ora di aprire i regali» intervenne tempestiva Carola, prendendo il festeggiato a braccetto e trascinandolo via.
Ester, Eliano e gli altri pochi ospiti presenti si affrettarono a seguirli.
Tutti tranne Gabe.
Lui rimase fermo, a pochi passi da Serena. Il suo sguardo diretto la mise in imbarazzo. Sorrise e fece un passo avanti per accorciare la distanza che li separava. Il cuore di Serena impazzì, sentì le guance diventarle paonazze e per un attimo rimase senza fiato.
Gabe si fece ancora più vicino e il suo sguardo l'accarezzò con dolcezza. «Finalmente ti rivedo». Avvicinò le labbra al suo orecchio, dopo averlo liberato con delicatezza da alcuni riccioli dei suoi capelli. «E così, Emiliano è il tuo migliore amico.»
Serena deglutì, anche se con molta fatica. «È come un fratello per me.»
Le dita calde di Gabe scivolarono sulla sua guancia, accarezzandola. «Devo essere geloso?»
Il viso di Serena stava ardendo, come se gli avesse dato fuoco. Gli sorrise senza dire niente.
«Ti va di fare un giro?»
Il suo sorriso si spense. Serena desiderava con tutta se stessa passeggiare con Gabe, ma Emis? Non voleva ferire il suo migliore amico il giorno del suo compleanno. «Mi piacerebbe, ma preferisco restare qui» chiarì, prima che le emozioni iniziassero a travolgerla, portandole via quell'unica briciola di lucidità che ancora le restava.
Gabe contraccambiò lo sguardo, ma nel suo c'era del rammarico. «Saresti uscita con me, se oggi Emiliano non festeggiava il suo compleanno?»
«Sì.»
«Torno subito.»
Serena lo vide allontanarsi verso il tavolo dei regali e bisbigliare qualcosa all'orecchio di Emis. Quest'ultimo alzò lo sguardo verso di lei, sorrise e le strizzò l'occhio.
«Ho il suo permesso» esultò Gabe. «Sempre se ne hai voglia.»
Il cuore di Serena iniziò a scalpitare tanto forte da sembrare un cavallo imbizzarrito. «Se per Emis non è un problema, va bene.»
«Preferirei esserci io al posto di mio fratello nei tuoi pensieri» dichiarò lui, accarezzandole una guancia.
Serena provò a respirare, ma non fu facile. Le parole di Gabe, accompagnate da quella carezza, le avevano prosciugato tutta l'aria dai polmoni.
Gabe le sorrise e, mentre tutti gli altri si intrattenevano chiacchierando, bevendo e mangiando dal buffet, la prese a braccetto. Dopo aver indossato i cappotti, si incamminarono insieme verso il giardino. Il cuore di Serena aveva iniziato a batterle tanto forte che era convinta che lo si potesse sentire fino alla sua lontana Bari. Le fischiavano le orecchie e i palmi delle mani erano madidi di sudore.
Immersa nella luce gradevole del tramonto, l'arenaria della villa sembrava brillare. Le api ronzavano pigre attorno alle piante di rose sui davanzali delle finestre, mentre una tenera luce s'insinuava tra gli alberi. Man mano che il crepuscolo s'infittiva, si accendevano i lampioncini che costeggiavano il vialetto che stavano percorrendo. Ad un tratto, Serena vide delle lucciole vagare come scintille alate, che danzavano da ogni lato. La cosa le diede un piccolo sussulto di allegria. C'era un'atmosfera magica, quella che si respirava solo in quel periodo dell'anno, legato all'imminente arrivo del Natale.
Il cielo era terso. Sollevò lo sguardo e vide il faccione rotondo della luna che illuminava il paesaggio sottostante. I due ragazzi si sedettero su una panchina e Serena continuò a guardarsi attorno con curiosità. Pensò che conosceva Emis da tanto tempo, ma non era mai stata a casa sua, anche se lui l'aveva invitata un migliaio di volte.
Gabe sollevò la mano per allontanarle un ciuffo di capelli dal viso. «A cosa stai pensando?»
«A quanto è bello questo posto.»
«Tu, invece, sei bellissima.»
«Non credo, ho un mucchio di difetti.»
«Allora, sei molto brava a tenerli nascosti.»
Le sue parole la lasciarono di stucco. Ormai la sua colorazione facciale variava dal rosso al viola, passando per il fucsia. Fu costretta a distogliere lo sguardo da lui per evitare che se ne accorgesse.
In quel preciso istante, Serena rievocò uno dei suoi sogni in cui c'era stato un simile scambio di battute. La sua voce, i suoi modi galanti, le parole recitate, tutto era uguale al sogno. Avvertì l'impulso di dirgli che si conoscevamo già e che, in un certo senso, quella scena l'avevano già vissuta. C'era un conflitto in corso dentro di lei: una parte le diceva di lasciar perdere, un'altra aveva una gran voglia di raccontargli tutto. Pensò che spiegarglielo sarebbe stato troppo complicato, perciò si trattenne dal farlo. Scosse la testa e liberò quei pensieri dalla ragnatela in cui erano rimasti intrappolati.
«Hai freddo?». Prima che potesse rispondere, lui le si avvicinò avvolgendola in un caldo abbraccio. «Sei libera domani?»
«No, torno a casa per le feste.»
«Sembra che il destino giochi a nostro sfavore.»
«Non direi» ribatté lei, con un sorriso. «Ci ha fatto incontrare qui.»
«Posso accompagnarti all'aeroporto?»
«Volentieri.»
Trascorsero tutta la serata insieme, ogni ora passata con Gabe era un battito nuovo per il suo cuore. Ad un certo punto, il melodico suono dell'arpa riprese a suonare.
Gabe balzò in piedi, porgendole la mano. «Permette, mademoiselle?»
«Non so ballare.»
«Fidati del tuo cavaliere» disse, tirandola a sé.
«Ho un tacco 12 e, fidati, fa molto male.»
Gabe rise, divertito, prima di guidare le sue mani ad abbracciargli il collo. Le cinse i fianchi con le sue e l'avvicinò a sé con una tale delicatezza, come se maneggiasse un vaso di cristallo. Si ritrovarono a volteggiare leggiadri e, l'attimo dopo, Serena non aveva più fiato nei polmoni. Il contatto del corpo di Gabe contro il suo, accelerava i battiti del cuore e le arrestava il respiro.
Si era fatto freddo, da quando il sole era tramontato. Il profumo delle rose aleggiava sottile nell'aria fresca. Decisero di rientrare, Gustavo aveva annunciato loro che la cena era servita. Il resto della serata trascorse come un bellissimo sogno vissuto ad occhi aperti.
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