Capitolo 21
Il cielo era ancora macchiato da nuvole grigie che minacciavano pioggia, ma il sole continuava a tener loro testa, illuminando di un giallo brillante tutto ciò che colpiva con i suoi raggi.
Al risveglio le girava la testa. Stava tentando di analizzare ogni parola pronunciata da lui nel sogno. La mente era invasa da immagini confuse, Serena doveva riportare l'ordine in quella sommossa. Dopo aver trascritto il sogno sul diario, frugò nel cassetto della scrivania in cerca delle cuffie, che collegò al lettore cd. Tra le cose contenute in quel pacchetto c'era una compilation, con una dedica incisa sulla custodia: "Per Serena, con amore". Inserì il cd nell'apparecchio e si lasciò cadere sul letto. Indossò le cuffie, schiacciò il tasto play e chiuse gli occhi. La musica non era tra le sue abitudini. Ester le ripeteva che la musica non si ascolta per abitudine, ma perché emoziona; ciò che ascoltiamo può avere un significato speciale, una sorta di colonna sonora della nostra vita. Era per quello che Serena ne stava alla larga. Dopo aver ascoltato l'intero cd, si rese conto con grande rammarico che le canzoni non le avevano dato alcun aiuto. Spinse il tasto stop del lettore e si sfilò le cuffie. Si mise a sedere e riprese il pacchetto tra le mani. Era piccolo e leggero, ma all'improvviso diventò pesante quanto un dizionario della lingua italiana.
Il peso dei ricordi?
Per un attimo, Serena esitò. Quella scatola era tutto ciò che legava lei a quel passato dimenticato. Fece un respiro profondo e l'aprì. Al suo interno c'era una busta da lettera contenente delle foto. Le sparpagliò sul letto e iniziò a guardarle, distrattamente. In una c'era lei: occhi blu; lineamenti morbidi e delicati; lunghi riccioli castano scuro. Era in posa ai margini di un sentiero alberato di un parco, durante un'assolata giornata di primavera. Era passato poco più di un anno da quello scatto, eppure quasi non si riconosceva. Ebbe l'impressione di guardare un'estranea. La nota stonata non era l'aspetto fisico, quello era rimasto pressoché identico. Fu lo sguardo, invece, a inquietarla.
I ricordi col tempo sbiadiscono, fino al punto in cui li si dimentica del tutto. Le fotografie invece ingialliscono, ma nei loro scatti intrappolano fotogrammi di emozioni indimenticabili, che conserveranno sempre il colore della malinconia.
Il resto delle foto le passò frettolosamente in rassegna con lo sguardo, fino a che i suoi occhi si fermarono su di una in modo particolare. La isolò dalle altre, tenendola a malapena tra il pollice e l'indice, quasi temesse di scottarsi. Era insieme ad un ragazzo ed entrambi indossavano dei rollerblade.
Un dolore violento le esplose dentro, come una bottiglia di vetro dimenticata nel congelatore. Lo sguardo si concentrò sul suo volto alieno. Era il genere di ragazzo che poteva piacerle. Le sembrava di averlo già visto, ma non ricordava dove né quando. Non sapeva bene cosa fosse, una sensazione o un ricordo, ma era così viva da sembrarle reale. Sollevò lo sguardo dalla foto e diede un'occhiata in giro, come se quel ragazzo fosse lì. La sua presenza era quasi palpabile. Ciò che la inquietò di più, però, non fu il fatto che non fosse Gabriel, ma i suoi occhi. Più lo scrutava e più nella testa le comparivano dei frammentari flash di una reminiscenza. Prese una foto e un'altra ancora. Le adunò tutte, chiudendole tra le mani, ma un brivido le percorse in modo brutale e le foto si sparsero sul pavimento come carte da gioco.
«Accidenti!» s'infuriò contro l'ansia prima di raccoglierle.
Le tenne strette nella morsa delle dita, per evitare di farle cadere di nuovo. In tutte c'erano lei e quel ragazzo. Più lo guardava e più lui la fissava. Chiuse gli occhi e provò a dare una scossa alla memoria un po' pigra. Incominciò a sentirsi leggera, scollegata dal corpo ed ebbe paura. Quei ricordi potevano tenerla a galla come una boa, ma, al tempo stesso, trascinarla giù nell'abisso più profondo come un'ancora pesantissima. Le schegge di quel ricordo iniziarono a scagliarsi su di lei come una pioggia di meteoriti. Iniziò a provare dolore. Un dolore tanto fitto da sopraffarla. Il respiro si fece affannoso, un brivido freddo le percorse la schiena e, subito dopo, iniziò a sudare. L'ansia iniziò a crescerle dentro, la stava inghiottendo. Si concentrò sul respiro, per non perdere il controllo e sentì l'ansia allentare la presa. Niente di allarmante, era solo un tentativo di sabotaggio messo in atto dalla coscienza. Non la colpevolizzava per questo, in fondo voleva solo proteggerla. Fece ripartire l'ingranaggio della memoria che si era incagliato e, poco dopo, i ricordi arrivarono.
Uno dopo l'altro.
La sofferenza che stava provando era sconvolgente, la sopportava a stento, ma permise loro di avanzare. Di superare il confine della consapevolezza. Di aggirare quel muro invalicabile. Di indebolire le sue difese.
Alcuni flash bui, viziati ancora dalla paura, abbagliavano la memoria che fuggiva davanti al suo tentativo di controllo. Provò a soffermarsi sulle immagini chiare e quel muro cominciò a scomparire, obliterato dalla mente come una gomma che cancella la traccia lasciata da una matita.
Serena tornò ad osservare la foto. Una parte di lei, quella sepolta chissà dove, dimenticata in qualche angolo buio della mente, lo conosceva. Ma cosa sapeva di lui? Qual era il suo nome? Che suono aveva la sua voce? Le girava la testa. Un vortice di ricordi iniziò a mulinarle intorno come una tromba d'aria ed ebbe l'istinto di fuggire. Doveva calmarsi o la paura non le avrebbe permesso di andare avanti.
Ci riprovò.
Respirò a fondo e fu in quel momento che accadde. Avvertì una specie di scossa elettrica e sobbalzò. La mente sembrò risvegliarsi all'improvviso da un sonno profondo. La foto evocò delle immagini nitide che si stagliarono, silenziosamente, una accanto all'altra davanti ai suoi occhi chiusi.
Un parco.
Una panchina vuota.
Una voce familiare.
Serena era stata catapultata indietro nel tempo.
Stava correndo lungo un viale, di fianco le scorrevano file ordinate di pini. I suoi passi erano stanchi, non faceva altro che eseguire un balzo dopo l'altro, senza sosta. Serena non sentiva quei tonfi, gli auricolari affondati nelle orecchie urlavano una musica che l'assordavano, estraniandola da tutto tranne che dai suoi pensieri. Evitò un sasso; sorpassò un bimbo sulla bicicletta; fece uno slalom tra un gruppetto di nonni podisti. Una leggera e fresca brezza le scompigliava i capelli, mentre le farfalle le svolazzavano intorno in una danza d'incoraggiamento. Sollevò lo sguardo verso il cielo e si schermò gli occhi con la mano, un sole sfavillante le baciò la pelle, facendo brillare il sudore in migliaia di goccioline iridescenti. La gola arsa le chiedeva dell'acqua e Serena si fermò davanti ad una fontana, ne prese un lungo sorso, poi si asciugò le labbra con il lembo della maglietta e riprese a correre. Il sentiero serpeggiava lungo il margine della pista da basket, vide dei ragazzi rincorrersi e rubarsi la palla, ma non sentì i loro schiamazzi. Salì i gradini del ponticello che sovrastava un laghetto, sotto di lei le anatre navigavano placide. Percorse la curva, non sentiva alcun fragore tranne quello che gli ronzava in testa; un ragazzo sui rollerblade, lanciato a folle velocità, la travolse. Si schiantarono al suolo e Serena si ferì ad una mano. Iniziò a sanguinare. L'mp4, fracassato in mille pezzi, giaceva a pochi passi da lei.
Il ragazzo coi rollerblade le si avvicinò e l'aiutò ad alzarsi. «Scusami, non ti ho vista. Sei sbucata all'improvviso. Stai bene?»
«Sì» gli rispose lei. «Dovresti stare più attento.»
«È colpa tua» sostenne lui, mentre l'accompagnava ad una panchina. «Mi hai abbagliato con i tuoi occhi blu. Ciao, sono Demi.»
«Serena.»
«La tua mano sanguina, devi esserti tagliata ad una rotella. Mi dispiace.»
«Non fa niente, è solo un graffio.»
«No, il taglio è profondo. Vieni, ti accompagno.»
«Dove?»
«Al pronto soccorso, hai bisogno di punti.»
Alzò lo sguardo verso di lui: il ragazzo della foto.
Serena era in camera sua, seduta sul letto con il cuore che le batteva all'impazzata. Era sconvolta e iniziò a singhiozzare. Quei ricordi, così nitidi e dai margini ben precisi, l'avevano imprigionata, scaraventandola con violenza nel passato e costringendola a riviverlo. Era stata nel parco: aveva sentito la musica; il calore del sole sulla faccia; l'odore denso dell'erba bagnata; il profumo delle rose appena sbocciate, emanato dalla sua pelle; il suono armonioso della sua voce.
Finalmente era riuscita a ricordare qualcosa. Qualcosa che la mente non aveva cancellato, ma solo allontanato dalla sua vista. La sensazione che quello che aveva rivissuto non fosse completo, però, la gettò nello sconforto. Si stava pian piano riappropriando di quel passato che le era stato strappato via, ma non riusciva ad esserne felice. Un silente ma subdolo senso di paura la pervase e si sentì montare dentro un'ondata di panico.
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