VeNtUnEsImO cAPiToLo

 Spazio Autrice:

Bene... adesso beccatevi questo altro capitolo e preparatevi a rimanere col fiato sospeso fino alla prossima settimana...  heheheeh. Se non vi va bene rifatevela con la Silvestri ahhaahahah!!!!

Kiss!!!

Con oggi sono quattro giorni che sono tornata da Houston e sto cercando di riscuotermi dalla depressione che mi avvolge. È davvero difficile perché ogni cosa che vedo o che faccio mi ricorda lui, e tutto quello che vorrei adesso è restarmene a letto e continuare a piangermi addosso finché non mi sento meglio, ma so bene che se facessi così non potrei che peggiorare. Per questo motivo mi sforzo di alzarmi dal letto e vestirmi per andare a lavoro.

Il lavoro alla mensa è molto più faticoso di quello che si può pensare, ma in definitiva dà le sue soddisfazioni... e mi permette di distrarmi dai miei problemi. Oggi è giovedì, c'è la classe di judo che viene a mangiare qui dopo la lezione. Quando arrivano si mettono tutti in fila creando un caos non indifferente con le loro voci e i loro scherzi. Ma il judo non dovrebbe basarsi sulla padronanza di sé e sul rispetto dell'altro? Alla fine mi ritrovo a cambiare i recipienti della lasagna ben tre volte. L'hanno presa tutti! Ho fatto su e giù diverse volte anche per rimpilzare i contenitori di patatine fritte, e per svuotare il porta vassoi usati. Tiro un grosso sospiro di sollievo, alla fine del mio turno sono sfinita, però in compenso il tempo è volato.

Finalmente posso cambiarmi queste ciabatte bianche e mettermi le mie scarpe. Non ho niente contro la retina per capelli e il grembiule, ma le ciabatte le odio. Chi le ha inventate?

Quando esco dalla mensa cammino risoluta lungo la strada, e inevitabilmente il pensiero va a lui e a quella ragazza che lo abbracciava. Quell'immagine me la ritrovo davanti ogni volta che chiudo gli occhi. La sera ci metto troppo tempo per addormentarmi, intenta a cercare di non piangere e a distrarre la mia mente da lui e dalla cocente delusione che ho subito, con il solo risultato di non riposare a sufficienza. Di giorno tento di tenermi occupata perché appena mi fermo il pensiero va istantaneamente sempre lì, così arrivo a sera che sono sfinita.

Mi avvicino alla macchina e mi fermo davanti allo sportello, mi sto rendendo conto che ho ricevuto una dura lezione, ma mi è servita. Sono partita di qui troppo sicura di me e mi si è rivolto tutto contro. E il fatto è che non avevo minimamente preso in considerazione l'idea di venire rifiutata, ero talmente convinta che tutto sarebbe andato come mi aspettavo che lo choc è stato davvero forte. È inutile, più in alto sei e più fai rumore quando cadi. Solo che questa volta il rumore l'ho sentito solo io... e mi ha frastornato.

"Ehi, Sara!"

La voce di Nate mi fa sobbalzare, ero talmente assorta nei miei pensieri da non accorgermi che mi stava chiamando. Vedo che si avvicina a me con un sorriso. Questa volta non ha nessuna rosa in mano. Menomale... "Ciao Nate."

"Ciao. Dov'eri con la testa? Ho provato a chiamarti diverse volte ma sembravi non sentirmi nemmeno."

"Sì... scusa. Ero sovrappensiero."

"Sempre per quella cosa che ti è successa e che non vuoi dirmi?"

"Sì... sempre quella." Sospiro.

"Guarda che io sono un ottimo ascoltatore. E non giudico."

Gli sorrido dolcemente. "Grazie. Ma non importa."

"D'accordo..." bofonchia rassegnato. "Allora, vuoi venire con me oppure no?"

"Come, venire dove?"

"In un posto dove sono certo ti tornerà il sorriso... se ti conosco abbastanza bene sono sicuro che ti piacerà."

"E come ci andiamo? In macchina?"

"Sì, con la mia."

"E la mia la lasciamo qui?"

Ci pensa su due secondi. "Possiamo portarla a casa tua e poi vieni via con la mia. Così dopo ti riaccompagno direttamente a casa."

Sospiro, il mio primo istinto sarebbe quello di dirgli di no, ma mi rendo conto che invece un po' di svago mi farebbe bene. Oggi non devo nemmeno rientrare a lavoro. "Va bene, facciamo come dici tu."

"Bravissima! Allora avviati che ti seguo con la macchina."

Lo osservo correre a prendere quel macchinone enorme dove sono salita un sacco di volte e monto nella mia. Appena lo vedo nello specchietto retrovisore parto e vedo che mi segue fin sotto casa, una volta lì aspetta che parcheggi col motore acceso. Quando monto in macchina con lui mi sorride. "Voglio che per oggi non pensi più a niente." È una parola. Gli sorrido non sapendo cosa dire e lui parte in quarta.

Osservo la sua guida e mi sorprendo a paragonarlo a Logan. Nate ha dei lineamenti molto più classici, sembra quasi disegnato. Ha quella classica bellezza intramontabile che incontra subito l'approvazione delle ragazze... mentre Logan ha quegli occhi formidabili che una volta incontrati non riesci più a toglierti dalla mente. E, a differenza di Logan, trovo la sua guida un po' meno sicura. Non guida male, ci mancherebbe, ma...

"E così il tuo patrigno è il campione italiano di tennis." Esclama di colpo, interrompendo i miei pensieri.

"Già... chi lo avrebbe mai detto, vero?"

"E tua madre cosa fa? Lavora?"

"Fa la scrittrice. È per questo che si sono conosciuti. Andrea ha una casa editrice in Italia, ereditata dal padre, e mia madre ha pubblicato un paio di libri con lui."

"Come mai in Italia?"

"Anche mia madre è italiana."

"Ah, non me lo avevi mai detto."

"Già..." Chissà perché con lui non mi sono mai confidata più di tanto.

Continuiamo il viaggio in silenzio. C'è una strana atmosfera attorno a noi, non è tensione, ma qualcosa di più particolare. Sembra imbarazzo, ma non ne capisco il motivo.

Dopo mezz'ora di strada vedo che entra nel parcheggio di un grande zoo. Rimango a bocca aperta. "Stiamo andando alla zoo?"

Lui sorride. "Va bene come meta?"

"Se va bene?" entusiasta osservo l'entrata dove sono attaccati dei palloncini colorati, poco avanti un venditore ambulante sta vendendo zucchero filato mentre un mucchio i ragazzi e bambini con i loro genitori stanno entrando in continuazione. Rivolgo uno sguardo sorridente a Nate. "Grazie."

"Di niente."

Parcheggiamo e subito ci dirigiamo alla biglietteria. Anche se fa ancora molto freddo oggi si sta particolarmente bene con addosso solo il giaccone, e poi se siamo in movimento il freddo lo sentiremo meno. Ovviamente non vuol nemmeno sentir parlare di farmi pagare il mio biglietto e subito dopo aver fatto la fila per due ingressi, attraversiamo anche noi quell'enorme cancello. Ci inoltriamo in un mondo fatto di viottoli che costeggiano le varie gabbie. C'è di tutto, dalle giraffe che ti guardano dall'alto ai leoni maestosi e inavvicinabili, dagli istrici coi loro aculei pericolosi ai pappagalli dai colori sgargianti. Non posso fare a meno di avvertire un certo senso di malinconia di fronte ad alcune gabbie. È impossibile che non mi venga in mente mio padre. Mi ricordo quando ho ricevuto la telefonata dalla Rolling Ridge per il mio posto di lavoro, quando sono corsa da lui per dirglielo gli ho fatto scappare di mano il pappagallo che stava curando. Oppure guardando la teca dei serpenti ripenso a tutte le volte che ha dovuto visitare il pitone dei Salinger. Venivano dal paese vicino perché solo con lui il pitone si manifestava mansueto, ma io mi tenevo sempre alla larga. Rimango immobile ad osservare le tartarughe, assorta nei miei pensieri, quando sento le braccia di Nate avvolgermi in un abbraccio confortante.

"Ehi... a che stai pensando?"

Mi riscuoto dal mio torpore e gli sorrido. "Scusa... mi è solo venuto in mente mio padre in mezzo a tutti questi animali."

Lui sembra per un attimo interdetto. "Perdonami... forse non è stata una buona idea portarti qui."

"Al contrario, ti ringrazio. Mi hai fatto ricordare quando mio padre amava gli animali e dedicava tutto se stesso a curarli quando glieli portavano. Ero molto fiera di lui."

Lui rimane a fissarmi in silenzio, poi mi accarezza una guancia con le nocche. Io distolgo lo sguardo e riprendo a camminare. Sto iniziando a credere che lui sia ancora interessato a me. In realtà ho avuto questa impressione sin dalla prima volta che ci siamo rivisti, anche ieri, ma non ho voluto prenderla in considerazione. Tutto quello di cui ho bisogno in questo momento è solo di un amico, senza dover pensare ad altro.

Lui mi raggiunge e si accosta, camminando in silenzio al mio fianco. Quando abbiamo visitato tutto il parco decidiamo di prenderci qualcosa da bere al bar a tema vicino al cancello d'ingresso. Entrambi prendiamo una bella cioccolata calda e ci sediamo ad un tavolino per gustarla con la giusta calma.

"È stata una bella giornata. Mi ci voleva un po' di svago, grazie!"

"È questo che vorrei sapere... perché ti ci voleva un po' di svago? C'entra qualcosa Logan?" Il sorriso mi si congela sul volto e abbasso lo sguardo. "Ho indovinato." Sentenzia infine.

"È difficile da spiegare."

"Provaci, a volte aiuta sfogarsi con un amico."

"Il fatto è che dopo la morte di mio padre non riuscivo più a stare con lui... e l'ho allontanato." Confesso dopo un attimo di esitazione.

"Perché non riuscivi più a stare con lui?"

"È difficile da spiegare. La morte di mio padre mi ha segnata, e anche se adesso sto riuscendo a superarla, i primi tempi per me sono stati tremendi. Ero caduta in una specie di depressione e... ero diventata apatica."

"Capisco." Afferma appoggiando una mano sulla mia.

Osservo la sua mano e ritraggo la mia. "Ma... a quanto pare lui ha fatto presto a consolarsi."

"Cosa vuol dire?" mi chiede confuso e ritirando la mano.

Io prendo un grosso respiro. "Dopo che l'ho lasciato ho saputo che era partito per andare da sua sorella a Houston, quindi ho deciso di andare da lui appena ne ho avuto la possibilità, e..."

"Lo hai trovato con un'altra." Conclude lui per me. Annuisco e lo sento trascinare la sedia per farsi più vicino. "Mi dispiace. Se posso fare qualcosa..."

"Che ne dici di tornare a casa? Si è fatto un po' tardi." Sbotto per cambiare argomento.

Lui mi guarda un attimo sorpreso ma poi chiude la bocca. "Ok..."

Discutiamo brevemente per pagare le cioccolate ma poi torniamo a casa in religioso silenzio. Almeno finché non entriamo nel mio quartiere. "Eccoci arrivati!" esclama rompendo il silenzio.

Parcheggia di fronte al mio palazzo e spegne il motore, poi mi guarda sorridendo. Io gli sorrido, cordiale. "Grazie, ho passato una bella serata." E subito scendo di macchina.

Mentre mi avvicino al portone e cerco le chiavi in borsa sento lo sportello della macchina che sbatte. "Sara, aspetta." Mi volto e vedo Nate aggirare la sua auto e venirmi incontro. "Scusa... volevo essere io a ringraziare te per la bella giornata, sono stato bene. Poi volevo dirti che se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, ti prego, non ti peritare a chiamarmi."

Intenerita dalla sua richiesta gli sorrido e mi allungo per dargli un bacio sulla guancia. "Grazie." Rispondo guardandolo negli occhi. Subito mi passa una mano sulla guancia e poi le dita attraverso i capelli, studiando il mio viso con uno sguardo profondo. Ma all'improvviso un pugno partito da chissà dove lo colpisce in pieno mento facendogli perdere l'equilibrio e mandandolo per terra a gambe all'aria.

Confusa alzo lo sguardo e vedo Logan che scuote la mano come se gli facesse male, con una smorfia in viso, poi guarda Nate con rabbia. "Non hai ancora capito che devi stare alla larga da lei?" Sbraita. Poi mi guarda mandando lampi dagli occhi. Il mio cuore perde un battito. "E tu... pensavo di averti giudicata meglio. A quanto pare mi ero sbagliato."

Lo sguardo che mi rivolge mentre si allontana mi distrugge. Era talmente rabbioso che mi è sembrato che il mondo mi cadesse addosso. Un'altra volta. Poi i mugolii di sofferenza di Nate mi distolgono dalla sua figura che si allontana e mi chino per prestargli soccorso.

Logan è tornato... e si sente.

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