TrEdIcEsImO cApItOlO
Logan aveva cercato molte volte di dirmelo, aveva cercato di spiegarmi che poteva essere stata colpa di Nate se ero stata licenziata, ma io non gli ho voluto credere. E tutto quello che riesco a provare è rabbia.
Mi sento come se mi stessi svegliando lentamente da un lungo sonno, ma invece di sentirmi meglio e riposata sono sempre più abbattuta. Mi sto rendendo conto che prima ero totalmente cieca di fronte a certe ovvietà... e che ho giudicato male Logan. Mi incammino a passo svelto verso casa, ripensando alle parole di Nate... ho un diavolo per capello.
Eppure non riesco a capacitarmene. Nella mia testa c'è solo una grande confusione, che non mi permette di pensare lucidamente. È per questo che ho deciso di non risparmiarmi più con lo psicologo, ho deciso di parlargli col cuore in mano. Voglio chiarire ogni minimo dubbio o nebbia che c'è nel mio cervello.
E infatti stiamo facendo un buon lavoro, insieme, almeno per citare le sue parole. Mi ha spiegato che in questo periodo la mia mente è come una grande stanza dove ogni cosa è stata lasciata alla rinfusa, dove regna una confusione più totale, e finché non troverò il modo per mettere tutto in ordine non potrò riuscire a capirci niente. Per adesso stiamo lavorando su ciò che ha significato per me la morte di mio padre e su come la mia psiche ha reagito al fatto... e soprattutto che ancora non sono riuscita a elaborarlo del tutto.
Papà è sempre stato molto severo con me, quando mi concesse di avere il cellulare mi fece promettere che quando mi avrebbe chiamata avrei dovuto rispondergli subito, altrimenti avrei dimostrato una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Mi ha sempre insegnato che il lavoro nobilita l'uomo e per questo non dovevo mai soffermarmi troppo su cose frivole e divertenti perché distolgono l'attenzione dalle cose importanti. E poi mi ha sempre detto di fare attenzione alle persone che frequentavo, perché le amicizie sbagliate fanno molti danni e portano a perdere le buone abitudini.
Ma io ho fatto esattamente tutto il contrario.
§
"C'è una differenza sostanziale tra il modo in cui suo padre l'ha cresciuta e il sistema di insegnamento che ha adottato tramite il suo studio all'università." Mancano pochi minuti alla fine della nostra seduta e lo psicologo mi spiazza con questa frase. Credevo di potermi rilassare, invece mi sento nuovamente lasciata in un caos totale.
"E quale sarebbe?"
"È facile. E come le ho detto, lei ha tutti gli strumenti per capire certe cose da sola. Suo padre può anche averla amata profondamente, ma era un uomo molto severo e con una mentalità un po' retrograda. È ancora di questo parere?"
"Sì..."
"Temo che questa sia la nostra ultima seduta, miss Hall." Bofonchia sedendosi di nuovo dopo aver riposto il bloc notes che aveva in mano.
"Che cosa? Perché?" chiedo sconvolta.
"Il numero delle sedute pagate dall'assicurazione sanitaria sono finite... credevo lo sapesse."
"Ma io non ho finito... ho bisogno di lei."
"No... lei non ha bisogno di me, miss Hall. Il nostro lavoro è finito. Come le ho detto, gli strumenti li ha tutti per capire da sola, deve solo aspettare il momento giusto e avverrà da sé."
Lo guardo a bocca aperta: "Non sono affatto d'accordo. Le prime sedute in pratica non le abbiamo nemmeno fatte, sono stata muta."
"Non ha importanza. Ma facciamo così, non la voglio mandare via a mani vuote, le do un compito da fare."
"Un compito?" chiedo scettica.
"Sì, come quelli che lei dava ai suoi alunni. Vada a casa e pianga."
Questa richiesta stimola in me una punta di irritazione. "Non si può piangere a comando, come faccio?"
All'improvviso l'orologio a pendolo suona la mezz'ora. Il mio tempo è finito. Il dottore si alza in piedi con calma e si avvicina a me allungandomi una mano per aiutarmi ad alzarmi dal divano. "Sono certo che al momento giusto saprà come fare."
Non mi resta che andarmene a malincuore. Lo saluto cordialmente, sapendo che non dovrò tornare la prossima settimana, e già mi sento persa.
Mentre cammino per strada le parole del dottor Reeds continuano a rimbombarmi nella testa. Solo perché ho studiato psicologia applicata secondo lui ho tutto quello che mi serve per capire da sola la mia situazione. Lo sapevo che con lui sarebbe stato solo tempo perso. Sospiro amareggiata, convinta che non supererò mai questo blocco emotivo.
Mi dirigo verso la scuola guida. Oggi devo fare una delle guide pratiche con Davide. Ne ho già fatte tre, questa è l'ultima di quelle obbligatorie, se vorrò farne delle altre dovrò pagarle, ma non credo che le farò. Non tanto perché non ho particolari problemi, ma perché Davide non mi piace.
Credo che potrebbe essere definito la versione maschile di una gatta morta.
Mi sorride sempre in modo suadente, mi tocca in continuazione facendolo sembrare un caso e fa sempre discorsi particolari sulla mia bellezza o sulla mia bravura. Come faccio a fargli capire che non gradisco le sue attenzioni? Credo che per adesso si freni per il fatto di essere il mio insegnante, ma una volta che avrò fatto l'esame di pratica sarà sciolto da questo impegno. Sospiro stancamente, ci mancava solo lui.
Quando entro nella scuola guida lui mi sta aspettando, infatti appena mi vede entrare mi sorride e afferra le chiavi della macchina di servizio. "Pronta?"
Annuisco e usciamo insieme, dirigendoci verso l'utilitaria azzurra. Saliamo ai nostri posti e io subito mi sistemo il sedile e gli specchietti, come mi spiegò Logan in quel maledetto parcheggio. Davide non mi dice niente e si guarda intorno come se stesse facendo una gita, si comporta come uno a cui devo dare un passaggio. Parto con cautela e mi immetto nel traffico.
Dopo dieci minuti di guida entriamo in una strada stretta, con le macchine posteggiate sia a destra che a sinistra. Rimango sotto i cinquanta chilometri orari e cammino tranquilla. Poi di colpo una bicicletta sbuca davanti a me, uscendo da due macchine posteggiate. La vedo all'ultimo momento ma ho comunque il tempo di frenare e fermarmi un paio di metri prima, questo non impedisce a Davide di allungare un braccio per proteggermi dall'urto contro il volante, appoggiando così una mano tra le mie scapole. Un altro tentativo per toccarmi.
"Ma guarda questa stupida che sbuca dal nulla! Tutto bene Sara?" sbotta adirato.
Annuisco guardandolo un po' di traverso, ma lui sembra non accorgersene e mi fa ripartire come se nulla fosse. Bo!
Facciamo il solito tragitto in mezzo al traffico, ormai ci sto prendendo la mano e stare nella confusione dell'ora di punta non mi mette più quell'agitazione che faceva all'inizio. L'unica fonte di agitazione per me è Davide. Quando torniamo alla scuola guida mi fa parcheggiare in uno spazio tra due macchine, e per tutto il tempo, non fa altro che sfiorarmi la mano poggiata sul cambio o la coscia. Tiro un sospiro di sollievo quando finalmente la lezione finisce e scendiamo dalla macchina.
"Sei stata bravissima, complimenti. Hai acquistato molta sicurezza e hai imparato a stare attenta alle altre persone. Sono convinto che non avrai problemi durante l'esame."
"Sai quando ci sarà?"
"Sicuramente sarai chiamata a breve dato che hai fatto tutte e quattro le guide obbligatorie, quasi tutti i tuoi compagni di corso con il cognome che viene prima del tuo sono già stati chiamati. Sei emozionata?" Il suo sorriso mi disgusta.
"Un po'... Ci sarai anche tu?"
"Certo!" Il suo sorriso si allarga. "Ci sarò io e l'ispettore che vi ha fatto fare l'esame scritto. Puoi stare tranquilla."
Ha creduto che glielo avessi chiesto per avere una faccia nota? in realtà speravo che non ci fosse.
Lo saluto velocemente, per fortuna il lavoro lo chiama e non ha la possibilità di trattenermi oltre, e vado diritta a casa.
Il viaggio in autobus, come sempre, mi permette di rilassarmi e pensare. Il ragionamento cade inesorabilmente sull'argomento che ho trattato finora con lo psicologo. La lingua batte sempre dove il dente duole. Cerco di capire come appaio ad un paio di occhi diversi dai miei, dalle parole che mi ha rivolto anche mia madre per convincermi a sottopormi alla cura dello psicologo, dalla differenza del mio comportamento rispetto a prima della morte di mio padre.
Mi blocco col pensiero... sta cominciando a farmi male la testa. Il mio cambiamento ha avuto origine con la morte di papà?
Ripercorro a ritroso tutto quello che è successo fino al momento in cui l'ho trovato in camera sua... e tutto sembra indicare quello il momento in cui qualcosa si è bloccato dentro di me. Da quel momento ho subito uno shock emotivo talmente grande che ho iniziato a cambiare. Ma perché? Perché papà si è suicidato? È possibile? Di certo non per il semplice fatto che sia morto, non sono mica l'unica ragazza a cui è morto il padre!
Mentre sono assorta nei miei pensieri l'autobus si ferma ad una fermata per far salire una mamma con il suo bambino. Lo osservo un po' distante, guardo la sua tuta blu con le striscie bianche sul fianco, il suo zaino delle tartarughe ninja più grosso di lui e le scarpe da ginnastica bianche. Mi guarda e mi sorride, mettendo in mostra una finestra tra i denti. Avrà sì e no otto anni e due splendidi occhi castani. Ma non restituisco il sorriso. Perché mi ha sorriso? Mi guardo intorno e poi capisco, non sorrideva a me, ma alla pubblicità dietro di me che raffigura la nuova raccolta di figurine dei giocatori di football.
Per un attimo sento un pizzico di delusione, ma subito mi rimprovero. Che stupida, manco lo conosco!
Quando arrivo davanti allo stabile dove abito alzo lo sguardo e con estrema sorpresa vi trovo Nate ad aspettarmi appoggiato al portone. Appena mi vede si stacca dallo stesso fissandomi intensamente.
"Cosa ci fai, qui?" Chiedo con stizza. Non ho proprio voglia di sopportare anche questo, oggi.
"Ho bisogno di parlarti, Sara... Lascia che ti spieghi."
"Che cosa mi devi spiegare? Che hai fatto in modo di farmi licenziare per vendicarti del fatto che ti avevo lasciato?" Chiedo arrogante. Mi ha preso per cretina?
"Sì... no! Per favore, non sopporto che tu ce l'abbia con me, lascia almeno che mi spieghi. Se poi non vorrai vedermi comunque me ne andrò, ma dammi almeno una possibilità!"
Sospiro stancamente: "Sentiamo, spiegati." Borbotto incrociando le braccia al petto.
Lui si guarda attorno un po' spaesato. "Ehm... si può salire in casa tua? Sono cose personali quello che dovrei dirti."
Ci ragiono un po' su, chiedendomi quale sia la cosa più giusta da fare. Sono indecisa, perché da una parte la rabbia mi dice di mandarlo a quel paese, ma dall'altra la curiosità è altrettanto forte. Osservo i suoi occhi, fissi su di me e carichi di rammarico. Deglutisco e decido di farlo salire. Molto probabilmente me ne pentirò, ma è sempre vero che gli ho appena detto che voglio esserle amica, e non lo sarei se non gli dessi un'opportunità per spiegarsi.
Saliamo le scale in silenzio e una volta in casa lo faccio accomodare sul divano in cucina. Sandy esce dalla sua stanza cercando di fare meno rumore possibile. "Ciao Sara... ciao... Nathan, vero?" Dice sorpresa appena vede Nate.
"Sì, ciao... Sandy, vero?"
Lei sorride. "Sì." Rimaniamo un attimo in silenzio, poi mi guarda. "Billy ha un po' di febbre e l'ho messo a letto, fra poco lo porto dal pediatra... quindi vado a fargli compagnia, tolgo il disturbo. A dopo." Bofonchia mentre torna in camera sua.
Nate si accomoda meglio sul divano e cincischia con le mani, a disagio. "So bene che il mio comportamento non ha scuse, e non posso fare niente per cancellare quello che ho fatto, ma... spero capirai che l'ho fatto solo perché sentivo dei sentimenti per te... ehm, sì, in fondo è vero quello che si dice, che in guerra e in amore tutto è lecito."
Mi appoggio al tavolo e incrocio le braccia. "Credo che questa frase si riferisca nel fare tutto quello che è in nostro potere per conquistare la persona che si vuole, non per vendicarsi di un torto subito."
"Hai ragione... mi sono pentito subito di quello che ho fatto, anche perché riconosco di averti delusa... per averti taciuto del mio lavoro." Non gli rispondo e lo guardo male. Lo sento sospirare di frustrazione. "Ascolta, voglio che tu sappia quanto mi dispiace, e farei qualsiasi cosa per cercare di rimarginare almeno in parte il danno che ti ho fatto... se me ne darai la possibilità."
"Sai che non potrei mai tornare a lavorare per la Rolling Ridge Elementary, vero?" Lui annuisce. "E non perché non ne sarei capace, ma perché non sarebbe giusto..."
"Sì, capisco cosa vuoi dire." Mi interrompe.
Sospiro rassegnata. "Ma dicevo sul serio quando ti ho detto che volevo ricucire un rapporto di amicizia con te. Ed è solo questo quello che voglio, ti va bene?"
Lui mi guarda serio per un po', ma poi sorride e annuisce.
Un altro piccolo peso mi si è tolto dal cuore... non pensavo nemmeno di averlo.
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