SeDiCeSiMo CaPiToLo
Mi vesto velocemente ed esco di casa con una fretta febbrile. Il mio Zeus... che fine ha fatto il mio cucciolo? Ho addosso un bruttissimo presentimento, ma non voglio considerarlo... no, Zeus sta bene. Sicuramente sarà rimasto intrappolato da qualche parte o qualche famiglia che non lo conosce lo avrà preso in casa per proteggerlo dal freddo. In fondo è un cane buono, non ha mai fatto del male a nessuno.
Senza rendermene conto sto camminando verso la prima fermata dell'autobus. Fortunatamente devo attendere poco perché arrivi il primo.
Durante tutto il tragitto sono in uno stato di trance... Se fosse successo qualcosa al mio Zeus...
Quando mi ritrovo a fissare dal marciapiede la casa di mia madre mi rendo finalmente conto di dove mi ha portato il mio istinto. Osservo le finestre ancora chiuse, le luci spente... senza pensarci oltre tiro fuori le chiavi e mi dirigo verso il garage.
§
Pur essendo la prima volta che guido questa macchina la sento perfetta sotto di me. È agile e scattante, il motore è silenzioso, quando sono ferma al semaforo mi viene il dubbio che si sia spenta, ma poi accelero e riparte come niente fosse. Guido piano, non sono ancora del tutto sicura a guidare da sola, ma non ho voglia di farmi accompagnare da qualcuno e non volevo disturbare mia madre o Andrea... Sembra che alla fine la previsione di Andrea sia risultata esatta; ho preso la macchina senza dire niente a nessuno.
Nel giro di un'ora e mezza sono a casa della signora Ferguson. Ci ho messo un po' più del previsto, ma sono arrivata qui da sola... e ne sono felice, anche se la preoccupazione per il mio cucciolone mi fa stare sulle spine.
Fa che non gli sia successo niente, fa che non gli sia successo niente...
Parcheggio fuori dal suo cancello e suono al citofono. Mi fa entrare senza nemmeno chiedere chi sia... evidentemente mi aspettava con trepidazione. Quando entro in casa sua mi viene incontro. "Bambina mia, mi dispiace così tanto..."
"Siete già stata a casa mia? E lungo la strada ha controllato?"
"Sì, a casa tua non c'è e la strada l'ho controllata sia all'andata che al ritorno."
"Voglio andare di persona... viene con me?" chiedo già pronta a tornare fuori. Lei annuisce velocemente e si mette il giaccone. Mi segue fuori dal suo cancello e non mi dice niente quando la faccio salire sulla macchina che mi ha dato Andrea. Forse capisce che non sarei in grado di risponderle. Guido concentrata fino a casa di mio padre, mentre lei mi spiega che le altre due volte che era scappato si era sempre fatto trovare davanti alla porta di casa, che cercava di entrare e piangeva. Mi si stringe il cuore al suo racconto... il mio cucciolo piangeva per la morte del suo padrone. E sicuramente anche per la mancanza della sua padroncina. Parcheggio davanti al garage e appena scendo inizio a chiamare Zeus ad alta voce. Faccio il giro della casa continuando a urlare il suo nome al vento, ma non è nascosto da nessuna parte, non risponde. Dove si sarà cacciato?
Torno alla macchina dove la signora Ferguson mi sta aspettando. "Ha controllato un po' nei dintorni della proprietà? Capace è cascato in una buca... non so..."
"No, sinceramente no. Sono andata solo fino al ruscello, per vedere se fosse lì a bere, ma non c'era, poi sono tornata a casa. Ho pensato che prima di iniziare a cercarlo più a fondo avrei dovuto chiamarti."
"Va bene... allora dividiamoci. Se al ruscello c'è già stata direi che potremo tornarci alla fine. Se la sente di andare verso la casa dei Wilson? Tante volte lo avessero preso in casa per difenderlo dal freddo."
"Va bene... controllerò il tragitto e domanderò a loro se non lo trovo."
"Grazie. Io andrò verso la strada... sperando che non sia stato investito da una macchina."
Felicity mi osserva preoccupata. "Dovrai passare attraverso un tratto di bosco. Stai attenta."
"Sì... certo." Affermo annuendo, e subito mi volto e comincio a camminare.
Mi guardo continuamente intorno, cercando anche solo un indizio, una traccia della sua presenza... qualcosa che mi dica che è passato di qui. Ma mi sembra tutto statico, il gelo avvolge gli steli d'erba, rendendoli rumorosi quando li calpesto, e anche mentre passo attraverso il bosco non riesco a vedere niente di importante. Quando sbuco dall'altra parte ho ancora alcuni metri da percorrere attraverso i campi prima di arrivare alla strada, e già mi sento in ansia per non aver ancora trovato niente. Il freddo mi penetra nelle ossa, quasi non mi sento più il naso e la punta delle dita. Quando sento il rumore di una macchina alzo lo sguardo, ritrovandomi a pochissimi metri dalla strada secondaria che passa di qui e che collega San Bernardino con il paese vicino. Lo cerco con lo sguardo, con la speranza di non trovarlo... perché se non lo trovo qui è più probabile che qualche famiglia lo abbia preso con sé e fatto entrare in casa. Poi da lontano noto una macchia scura lungo il ciglio della strada. Il cuore mi balza nel petto e senza nemmeno accorgermene sto già correndo in quella direzione. Non riesco a capire cosa sia... è in una posizione sfavorevole... ma sento lo stomaco chiudersi in una morza, che si fa sempre più stretta man a mano che mi avvicino. Fino a che non riesco a vederlo bene.
Il mio Zeus giace lungo la carreggiata con il muso schiacciato, immobile e con gli occhi chiusi.
Sento gli occhi iniziare a bruciarmi e un dolore profondo invadermi il petto. "No, Zeus!" Sbraito urlando, poi di colpo mi accascio vicino a lui e lo prendo tra le braccia. Lo scuoto, lo stringo, ma lui è immobile, duro come un pezzo di legno. Manco mi sto accorgendo che sto singhiozzando come una bambina. Le lacrime mi impediscono di vedere le rare macchine che passano lungo quella strada secondaria, intenta come sono a stringerlo contro il mio petto, incapace di lasciarlo andare. Piango a dirotto, piango tutte le lacrime che ho, non mi risparmio. Verso anche quelle che non ho versato per mio padre, per Logan... per tutto.
Non so per quanto tempo rimango in quello stato, a singhiozzare aggrappata al corpo del mio amato Zeus, prima che due braccia dolci ma decise mi avvolgono le spalle cercando di farmi staccare dal mio cucciolone. "Andiamo tesoro... non puoi più fare niente per lui."
Alzo lo sguardo di colpo e tra le lacrime riconosco il volto della signora Ferguson, che mi guarda con un'espressione afflitta. Mi aiuta ad alzarmi in piedi... non mi accorgo nemmeno di avere i pantaloni irrimediabilmente macchiati di erba e fango, dovuto all'umidità della notte. Mi volto verso la presenza di una terza persona, riconosco in lui l'altro veterinario del paese, con in mano un sacco nero.
§
Passo il resto della domenica a casa della signora Ferguson, seduta nella sua poltrona a guardare fuori dalla finestra sorseggiando tè caldo, indossando una sua tuta comoda e alternando momenti di pianto a stati di estrema lucidità.
Questa volta è davvero colpa mia!
Guardo distrattamente fuori dalla finestra l'immenso giardino della villa dove vive Felicity, ma senza vedere veramente le foglie ricoprire il terreno strinato dal gelo e i roseti secchi, continuando invece a pensare al mio cucciolo, e alla mia responsabilità per la sua morte. Se non lo avessi affidato completamente alla signora Ferguson ma fossi venuta ogni tanto a trovarlo, se gli avessi fatto capire che non lo avevo abbandonato, forse avrebbe sentito meno la mancanza di mio padre. Mi immagino come deve essersi sentito... al'improvviso ritrovarsi in un posto che non è la sua casa, senza la costante presenza del suo consueto padrone. E forse, non vedendo nemmeno me, deve aver creduto che io me ne fossi andata, dimenticandolo lì. Mi meraviglia il fatto che i cani comprendono quando muore qualcuno, e Zeus aveva compreso la morte di papà, tanto da piangerlo. Quello che all'epoca io non riuscii a fare. Di nuovo sento lacrime amare scivolarmi lungo le guance e bagnarmi il collo... lui aveva pianto anche per me!
Devo essergli apparsa come una madre negligente e menefreghista. Avevo dato per scontato che anche lui prima o poi si sarebbe ripreso, invece a causa mia ha cercato di ritrovare da solo la sua felicità. Era andato alla ricerca di quell'equilibrio del quale era stato privato di colpo. Un po' come me quando sono andata a New York da mia madre. Sì, l'ho fatto per aiutare Veronica, ma inconsciamente speravo di ricucire il mio rapporto con lei, per riavere quell'equilibrio psicologico che solo la presenza di una madre può dare.
Chissà se ha pensato che fossi io a volerlo lontano dalla sua casa, lontano da me.
Adesso se n'è andato, e niente e nessuno potrà più restituirmelo. È un po' quello che deve aver pensato mio padre quando Sandy gli ha detto che ero andata a New York da mia madre.
Di colpo mi sento come se una porta si fosse improvvisamente spalancata, rischiarando la mia mente e portando alla luce qualcosa che non riuscivo a vedere... papà deve essersi sentito esattamente come me. Deve essersi sentito estremamente in colpa per avermi spinto a cercare la felicità che lui non aveva saputo darmi... per colpa della sua incapacità di fidarsi delle persone che più potevano ferirlo.
Resto inebetita a considerare questo fatto da tutte le possibili angolazioni, è possibile che il dottor Reeds avesse ragione? Papà non è morto a causa mia, ma perché credeva che mi fossi allontanata da lui per causa sua. Resto a bocca aperta e con la tazza di tè in mano, mi sembra di essermi appena svegliata da un lungo letargo.
La signora Ferguson si siede sulla poltrona di fronte alla mia, rimane in silenzio a guardarmi, facendomi sentire la sua presenza appoggiando una mano sul mio braccio. Non ho nemmeno il coraggio di guardarla tanto il mio stato d'animo devastato. E lei non ha fretta, resta in silenzio con me, consolandomi con la sola presenza e tanta pazienza. In un momento come questo non potrei desiderare di più.
Dopo diversi minuti di inappetenza emotiva riesco a formulare una frase. "Crede che mio padre si sia sentito in colpa quando ha saputo che ero andata a New York?"
Lei mi stringe la mano. "Perché credi questo?"
Finalmente sposto il mio sguardo su di lei, la vedo appannata per via delle lacrime che mi inondano gli occhi, ma la sua espressione calma e dolce la riconoscerei comunque. "Da quando l'ho trovato appeso alla trave della sua stanza ho pensato che si fosse suicidato per causa mia, perché lo avevo deluso profondamente. Sono andata avanti con la convinzione che la sua morte fosse stata a causa mia... e volevo trovare un modo per rimediare, per dimostrargli che potevo essere quella che veramente voleva che diventassi... Ma lo psicologo mi ha fatto pensare che ho capito male. Mi ha aiutato a capire che forse non si è suicidato a causa mia, ma solo perché si era sentito lui in colpa per la mia mancata felicità." Felicity continua a guardarmi con aria dolce e commossa, restando in silenzio, come per non interrompere il mio flusso di pensieri. "Quando ho visto Zeus morto lungo la strada mi sono resa conto che se fossi stata più presente nella sua vita, forse non sarebbe scappato e non sarebbe morto col naso schiacciato."
Senza aggiungere niente lei mi abbraccia, tenendomi stretta contro il suo petto e massaggiandomi la schiena, permettendomi di sfogare con un altro pianto liberatorio tutto il dolore che ho tenuto racchiuso dentro per troppo tempo. "Rimpiangerò sempre il fatto di non avergli dimostrato di amarlo, e che anche se mi ha proibito di una figura materna, non ce l'ho mai avuta con lui... ma ora capisco perché si è tolto la vita." Ammetto singhiozzando.
A queste nuove parole la signora Ferguson si scosta da me e mi guarda negli occhi, spostandomi una ciocca di capelli dal viso. "Sei sempre stata una bambina intelligente ed estremamente sensibile, sapevo che prima o poi saresti tornata in te e avresti superato questo tuo blocco emotivo. Tuo padre ti amava tanto e non avrebbe mai voluto che tu ti sentissi in colpa per una cosa del genere. Ma purtroppo nessuno conosce perfettamente i meccanismi di una mente con dei problemi, e lui si è lasciato catturare dai suoi demoni e si è dimostrato debole in un momento fatale. Ma non è mai stata colpa tua per la sua morte. E posso assicurarti che tu eri e sei esattamente la ragazza che lui voleva tu diventassi. Posso assicurartelo sull'amicizia che mi legava a lui."
Scoppio di nuovo a piangere. "Lo so..."
Lei torna ad abbracciarmi stretta, a massaggiarmi le spalle. "Piangi tesoro mio, sfogati. Ti farà bene!"
Continuo a piangere sulla sua spalla fino a che non mi ritrovo con i condotti lacrimali secchi. Ma una volta aver prosciugato tutte le mie lacrime mi sento incredibilmente più leggera. Un enorme peso mi ha appena liberato il cuore, un peso che non mi faceva vivere con la stessa leggerezza con cui avevo sempre vissuto... e che mi impediva di sentire il mio cuore suggerirmi i suoi desideri.
Finalmente mi sento libera.
Spazio Autrice:
Scusate... ma questo capitolo non ho avuto tempo di rileggerlo e risistemarlo... e adesso non ne avevo voglia, quindi se trovate delle incomprensioni o qualcosa di sbagliato vi prego di farmelo presente. Appena potrò lo sistemerò nel modo migliore.
E torniamo a noi! Forse Sara ha ricevuto quello che le serviva per "sbloccare" la sua emotività. Voi che ne pensate? La morte di un cane può aiutarci ad aprire gli occhi su noi stessi?
Kiss kiss (bang bang)
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