DoDiCeSiMo CaPiToLo
Appena metto piede in casa ho di colpo l'impressione di aver varcato un portale tridimensionale. Billy sta correndo di qua e di là a perdifiato, rincorso da Sandy che non riesce a prenderlo. "Amore, basta correre, è ora di andare a nanna..." Ma ovviamente il bambino non la sente nemmeno, intento a ridere a crepapelle divertito da questo gioco. Forse la situazione non è proprio tutta sotto controllo come crede lei.
Faccio qualche passo verso la mia stanza e subito vedo il bambino correre verso di me e fermarsi addosso alle mie gambe, ovviamente senza smettere di ridere. Alza la testolina per guardarmi in faccia, continuando ad emettere risatine stridule. Lo fisso un po' presa in contropiede... non so come comportarmi con lui.
"Oh, Sara, per fortuna sei tornata! Ti prego, ti scongiuro, tienilo fermo, non riesco a prenderlo."
Billy è ancora appoggiato alle mie gambe che si sta guardando intorno per vedere dove sia finita sua madre, approfitto della sua distrazione per acciuffarlo dalle ascelle e alzarlo per tenerlo fermo, ma ovviamente lui non ci sta e si mette a strillare come se non ci fosse un domani, cominciando subito a dimenarsi come un ossesso. Non riesco più a tenerlo e mi scappa di mano. Riacquistata la libertà, Billy ricomincia a correre come un forsennato, fuggendo dalle mie braccia e allontanandosi sia da me che da sua madre. "Mi dispiace io..." borbotto dispiaciuta.
"No, Billy... fermo!"
Sandy torna a rincorrerlo e io me la svigno in camera mia. Mi chiudo la porta alle spalle e tiro un sospiro di sollievo, com'è che Sandy non è ancora impazzita? Mi stendo sul letto supina e ripenso alla giornata appena trascorsa. Un piacere dolce mi invade ogni centimetro del mio corpo al pensiero di aver ritrovato Nate, mi fa ricordare i primi tempi che sono venuta qui, quando la vita era più bella e più semplice. Sembra passata un'eternità, invece sono giusto una manciata di mesi. Accidenti quante cose possono succedere in quattro mesi!
Di colpo la mia porta si spalanca e Billy entra nella mia stanza correndo con le manine protese davanti a sé. Lo guardo sorpresa dalla sua irruzione e lo vedo dirigersi immediatamente verso il mio cassetto e aprirlo. "Ehi, tesoro, che fai?" chiedo alzandomi in piedi. Ma ovviamente lui non si ferma e inizia a tirare fuori tutto quello che trova. "Ehi, piccolo, non si fa così, fermo!" Cerco di fermarlo, ma lui scosta le mani impedendomi di tenerlo fermo e riesce a tirare fuori altre cose. Poi prende in mano la mia trousse dove tengo le matite del trucco e, impacciato, la lascia cadere a terra. Un rumore di qualcosa che si rompe irrimediabilmente arriva alle mie orecchie. "No!" strillo d'istinto, e senza pensarci, prendo una sua mano e gli do uno schiaffetto sul dorso. A questo punto lui si blocca impaurito e in pochi secondi inizia a piangere e a strillare ferendomi le orecchie.
Mentre tento di calmarlo inutilmente sento una porta chiudersi e Sandy appare in camera mia. "Cos'è successo, qui?"
La guardo confusa e mi lascio prendere dall'irritazione. "Succede che tuo figlio è un maleducato. Ha preso la mia trousse e l'ha scaraventata a terra, rompendo tutto quello che c'è dentro!" Esclamo indicandogliela.
Lei entra e si china per prendere il bimbo in braccio. "Oh, no, amore mio, non è successo niente. La zia Sara è solo nervosa, tranquillo." Si incammina verso la sua stanza ma prima di uscire dalla mia si volta a guardarmi. "Ha solo un anno e mezzo, è piccolo, ed è appena stato strappato da una famiglia dopo un anno e mezzo di vita, dopo che si era abituato a vivere con determinate persone e costretto a vivere in un posto a lui del tutto sconosciuto con persone altrettanto sconosciute. Come ti permetti di urlargli contro?" Mi sgrida in malo modo, poi si volta uscendo dalla mia stanza e chiudendosi la porta alle spalle, sempre con il pianto di Billy in sottofondo.
Rimango a guardare il casino della mia stanza a bocca aperta. Sono un mostro.
§
"Non penso che lei sia un mostro, signorina Hall."
"E lei come lo sa?"
"Prima di tutto perché si sente in colpa, e poi perché altrimenti non me lo avrebbe mai detto." Mi risponde il dottor Reeds.
Resto un attimo in silenzio. I bambini erano la mia vita e invece adesso sembra che non li sopporti. "Inizio a pensare che mia madre abbia ragione."
"Su che cosa?"
"Sul fatto che io abbia dei problemi."
"E perché dice così?"
Dopo un attimo di titubanza gli racconto anche di come ho trattato Veronica durante le feste di Natale, che mi sono sentita un verme. "Prima non avrei mai fatto una cosa del genere, capisce?"
"Prima di cosa?"
A questa domanda mi blocco, quasi smetto di respirare. Prima di che cosa? Mi mordo le labbra, ho paura di saperlo, ma non voglio dirlo. "Non lo so."
Il dottore fa un grosso sospiro. "Sara, io credo che lei lo sappia, invece. Solo che le fa male ammetterlo."
Non riesco a guardarlo negli occhi. "Non so se è per questo."
"E allora perché?"
"Ho paura di tradirlo un'altra volta."
"Chi? Suo padre? Sta parlando di lui?" Annuisco senza rispondere. "Lasci che le dica una cosa, Sara: lei non può tradirlo un'altra volta, e non perché è morto, ma perché non lo ha mai tradito, nemmeno una prima volta."
"Che cosa sta dicendo?" Chiedo sconvolta.
"Lasci che le renda chiaro una cosa: suo padre non si è ucciso a causa sua..."
"Lei non può saperlo, io non gli ho più risposto al telefono... l'ho tradito! Sono andata da mia madre e ho fatto tutto quello che non avrei dovuto fare! Lei non lo sa!" ribatto con foga.
"No, ascolti. Lei sa benissimo che non è così. I figli non sono fatti per vivere secondo le aspirazioni dei genitori. Pur essendo molto giovane sa benissimo che i figli hanno bisogno di trovare la propria strada e di staccarsi dai genitori. Di vivere la propria vita."
Lo guardo sconvolta. "Ma mio padre ha sofferto per le mie scelte, io lo so."
Lui nega scuotendo la testa. "Non credo, e sono certo che non lo crede nemmeno lei."
Un'ondata di nervosismo mi sta invadendo. "Lui contava su di me..."
"Per cosa? Perché vivesse tutta la sua vita sotto una campana di vetro? Mi creda, Sara, suo padre non si è ucciso perché si sentiva tradito da lei."
"E allora perché?"
Lui mi guarda con tranquillità. "Me lo dica lei."
"Io? E come potrei saperlo?"
"L'altro giorno mi ha confessato il motivo per cui sua madre se n'è andata di casa quando lei aveva dieci anni."
Ah vero, me ne ero dimenticata. "E cosa vuol dire?"
"Vuol dire che lei sa perché suo padre si è suicidato... e non c'entra niente con le sue scelte di vita."
Resto immobile a pensare alle parole del dottore. Papà ha dimostrato di soffrire della sindrome di abbandono, ma oltre ad allontanare chi ama per paura di soffrire, impediva a queste persone di tornare, con il solo risultato di soffrire ancor di più... ma in questo modo ha fatto soffrire anche me. "Vuol forse dire che mio padre era un egoista?"
"No, assolutamente. Suo padre la amava profondamente, e avrebbe fatto di tutto per lei se fosse stato necessario. Lo si evince dal suo stesso comportamento, Sara. Lo si intuisce dal suo modo di parlare, di agire e dalla sua intelligenza. Suo padre la amava molto e ha fatto in modo che potesse crescere nel migliore dei modi."
"Però grazie al fatto di aver allontanato mia madre c'ho rimesso anch'io."
Lui mi guarda negli occhi. "È proprio questo il punto." Afferma serio.
§
Continuo a pensare e a ripensare alle parole dello psicologo. Come può essere che il fatto che mio padre abbia allontanato mia madre da me sia il motivo per cui si è suicidato? Non capisco. Finora ho sempre pensato che fosse perché si sentiva tradito da me, perché avevo deciso di prendere la mia strada senza badare ai suoi desideri. Mi aveva sempre ripetuto come mi sarei dovuta comportare e quale modo di vivere avrei dovuto adottare per renderlo fiero di me... Sono così confusa.
"Sara, svegliati! Ma dove hai la testa?"
Alfred mi riscuote dal mio letargo e mi accorgo che c'è un ragazzo dall'altra parte del vetro che mi sta guardando spazientito. "Il mio piatto." Esclama irritato.
Mi accorgo che in mano ho un piatto di carne e patate. Glielo rendo cercando di sorridergli. "Scusami, ero solo sovrappensiero."
Il ragazzo sbuffa e se lo mette sul vassoio. "Ho visto..." sbuffa ancora proseguendo nella fila.
Alfred ridacchia. "Si può sapere in quale mondo eri? Sei stata quasi un paio di minuti con quel piatto in mano, completamente assente."
"Io... stavo pensando..."
"Eri in un altro mondo, altro che pensando." Esclama divertito.
Fortunatamente ha capito dal mio primo giorno di lavoro che non amo parlare di me e non mi fa domande personali. Sospiro di sollievo interiormente e continuo a lavorare. È la prima volta che sono stata messa a servire i clienti, e dato che siamo vicino ad una palestra, abbiamo una marea di ragazzi in tuta ginnica che si affannano per accaparrarsi i piatti più buoni. Sinceramente, dopo aver visto come vengono cucinate certe cose, non verrei mai a mangiare qui. Per fortuna ci lavoro, non ci devo mangiare.
Quando esco dalla mensa è l'una del pomeriggio, e stranamente dopo aver passato tutta la mattina con gli odori del pranzo sotto il naso non ho un briciolo di fame. Mi incammino verso la fermata più vicina, non vedo l'ora di avere la patente, quando una voce conosciuta chiama il mio nome.
"Ehi, Sara."
Mi volto lentamente e vedo Nate a pochi passi da me con un fiore in mano che mi guarda e si avvicina sorridendo.
"Ciao... che ci fai qui?"
"Ti aspettavo. Questo è per te." Dice e mi offre il fiore che ha in mano.
Lo prendo con cautela, è un bocciolo di una rosa bianca... è bellissimo! "Grazie... ma non dovevi."
"Posso accompagnarti a casa?" chiede senza badare alla mia frase.
"Ehm... non lo so... io..." In realtà speravo di avere l'opportunità per ragionare con tranquillità a quello che mi ha detto lo psicologo, ma ho paura che se gli dico di no possa prenderla male.
"Se vuoi possiamo fare un pezzo di strada a piedi, almeno finché non arriviamo all'entrata secondaria del nostro parco."
"È un bel pezzo di strada."
Lui si stringe nelle spalle. "Almeno così abbiamo tutto il tempo per chiacchierare."
Rimango a guardarlo, indecisa. Ok... forse non c'è niente di male a passeggiare insieme... anche se questa rosa mi suggerisce di andarci cauta. Ma in fondo siamo solo amici, no? "Ok... fammi compagnia." Accetto.
Lui mi sorride e mi offre il braccio, al quale mi aggrappo come una dama d'altri tempi e cominciamo a camminare in direzione del parco. Annuso il bocciolo che mi ha regalato; un piccolo gesto che mi fa sentire di nuovo apprezzata. Anche se acuisce la mia nostalgia di Logan...
"Sembri stanca, avete lavorato molto in mensa?"
"Sì... soprattutto quando c'è la squadra di basket al completo a pranzare lì, un delirio."
Lui ridacchia. "Mi dispiace. Ma almeno ti piace?"
Faccio spallucce. "Sinceramente pensavo meglio, ma mi piace cucinare, quindi per me va benissimo."
"Non credo che sia meglio di insegnare, però."
Eh, ha toccato un tasto dolente. "Ho studiato una vita per poter insegnare... adoravo farlo."
"Potresti ancora farlo, se vuoi?"
"E come?"
"Potrei darti una mano per rientrare alla Rolling Ridge."
Mi fermo di colpo in mezzo alla strada e lo guardo sbalordita. "Come?"
"Sì... potrei mettere una buona parola per te con mio padre e farti assumere di nuovo. Certo, dovresti ricominciare dall'inizio, sicuramente dovrai di nuovo sostenere l'esame che avevi passato, però insegneresti."
"Tu potresti... aspetta un attimo." Di colpo mi rendo conto delle sue parole. "Dovrei rifare l'esame che avevo passato? Cosa vuol dire?" Lui mi guarda a bocca aperta senza rispondermi, ma dalla sua espressione mi è finalmente tutto chiaro. "Allora aveva ragione Logan, è colpa tua se sono stata licenziata!" Lui non sa proprio cosa dire, continua a guardarmi palesemente dispiaciuto e inebetito, ma una rabbia assurda mi monta fino alle tempie. "Come hai potuto?"
Lo spingo con entrambe le mani sul suo petto e mi allontano da lui velocemente. "No, aspetta Sara... mi dispiace, io non volevo..." si scusa camminandomi dietro.
"Non voglio ascoltarti, Nate, vattene via!" Sbraito camminando velocemente.
"No, per favore... ho sbagliato, lo so, ma sono pentito..."
"Va al diavolo, Nate!" Gli urlo con tutta la rabbia che ho in corpo e scappo via. Fortunatamente non mi insegue, così riesco ad allontanarmi. Quando resto col fiato grosso mi fermo per riprendere aria e appoggio le mani sulle ginocchia, chinandomi respirando con l'affanno. Non posso crederci... Osservo la rosa che ho in mano ma con un gesto irritato la butto per terra. Adesso sì che mi sento una stupida.
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