La sera dei miracoli
Quella sera, mentre stretta nella mia mano piccola e fragile tenevo quella altrettanto delicata di Yuki, mi ritrovai più volte a osservare la Luna sopra di noi.
Dentro i suoi crateri, dentro il suo pallore confortante, dentro quella sabbia stellare di cui era finemente rivestita cercavo una conferma, forse un conforto, una sicurezza che in me stessa non avrei mai potuto trovare.
Mi metteva ansia, inquietudine, paura la vita di quel ragazzo aggrappata alla punta tremante delle mie dita. Come un vaso di cristallo, ignaro del tavolino sbilenco a cui si era affidato, se ne stava lì, sul bordo delle mie terminazioni nervose in tutta la sua pura bellezza.
La frangia rossa calata sulla fronte, il sorriso smaliziato a illuminargli i tratti, gli occhi che mi fissavano con un'intensità disarmante.
Quanto glieli invidiavo. Pieni di vita, vibranti, foglie al vento in una calda sera d'autunno, trasmettevano tutte le emozioni del mondo. A volte più cupi, altre più allegri, altre ancora più liquidi e tristi.
Sembravano fatti apposta per ricordarmi quello che i miei non erano più. Piatti, inespressivi, un velo d'ombra proiettato su un mondo dipinto da un qualche pittore impressionista, magari Monet.
Avevo paura di rovinarli. Ma lui, incosciente, non la smetteva di guardarmi. Avrei voluto chiedergli di smetterla di cercare di scavarmi dentro perché tanto avrebbe trovato solo il vuoto, una farfalla nera che sbatte contro pareti di sordo dolore, ma la voce mi si era arenata nella gola.
E allora continuavo a camminare, a condurlo lungo la strada che avevo percorso all'andata con Sakura con il solo intento di riportarlo a casa il prima possibile, prima di romperlo.
«Ti piace la Luna?»
La sua voce, così matura e allo stesso tempo così ingenua, mi costrinse a girarmi verso di lui. Mi sentivo un marinaio di fronte al canto melodioso di una sirena.
«La trovo molto rassicurante nella sua bellezza...» riflettei stringendomi nelle spalle, perennemente bambina, «A te invece?»
Yuki si prese il suo tempo per rispondere. Non era convinto, aveva le sopracciglia curvate in giù e il labbro inferiore stretto tra i denti.
Fermi sulla stradina, il vento che aveva iniziato a spirare in nostro favore sembrava volerci spingere a continuare, l'odore dolce della campagna ad avvolgerci.
«A me mette angoscia» asserì alla fine con serietà sospirando poco dopo, come si fosse tolto un peso dalla coscienza, «Sta lì che aspetta, ci osserva tutti con occhio critico dall'alto della sua maestosa e ingombrante presenza» disse poi volgendo lo sguardo all'oggetto del suo discorso.
Intorno a noi il silenzio la faceva da padrone. Mi aggrappai alla mano di Yuki con necessità, mentre il solito brivido si introduceva nella mia schiena attraversandola di netto.
«Sembra sempre aspettarsi un miracolo.» Aveva adottato un tono di rimprovero.
«Un miracolo?» sussurrai avvicinandomi un poco a lui quasi avessi avuto paura che lei ci potesse sentire, «Cioè?»
Una coppietta ci superò osservandoci con curiosità, giusto il tempo per mettere a fuoco le nostre figure per poi distogliere l'attenzione e tornare al loro discorso, relegandoci al mero ruolo di una parentesi nella loro vita.
«Una vita che nasce, il bacio di una coppia di innamorati sotto la sua luce» elencò schiacciando l'occhiolino in direzione di quei due ragazzi, «La risata di un gruppo di amici, la carezza di un nonno alla nipote... cose di questo tipo» finì scrollando le spalle e ricominciando a camminare, questa volta era lui a trascinarmi.
«Ma quelli non sono miracoli.»
Non riuscii a scorgere la sua reazione alle mie parole, ma doveva essere divertito, forse intrigato.
«Dipende dai punti di vista...», i suoi capelli castani ondeggiavano all'unisono assieme alle erbacce sbiadite ai margini della strada, «Quali sono i miracoli per te?»
«Un cieco che torna a vedere o un paraplegico che torna a camminare...» dissi pronta a proseguire il mio futile elenco dovuto a reminiscenze di quello che avevo imparato a catechismo, ma mi fermai. Un ricordo sopito mi rubò il respiro e mi proiettò a quel giorno di qualche anno prima, quando a mia nonna fu diagnosticato un cancro. "Hanno detto che ci vorrebbe un miracolo per farmi guarire" mi aveva confidato carezzandomi il viso con la sua solita, immensa, gentilezza, "Ma a questo punto preferisco morire, i miracoli sono per i deboli di spirito" aveva concluso ridendo.
Scossi la testa, «Non so, non c'ho mai creduto ai miracoli» mi corressi.
Di sottecchi, Yuki mi stava osservando, «L'hai mai ascoltata la "sera dei miracoli" di Dalla?»
Al mio "no", lui tirò fuori il cellulare dalla tasca, «Per sta sera chiuderò un occhio e regalerò alla Luna un miracolo solo per te» ammiccò cercando la canzone nella sua play list.
E mentre lui scorreva il dito lungo interi archivi, io non riuscii a trattenere un sorriso. «Perché ce l'hai tanto con lei?»
«Perché accetta qualsiasi miracolo, bello o brutto che sia» troncò schiarendosi la voce per stringere poi la presa sulle mie dita fredde. E ancora una volta i nostri ruoli si erano invertiti. «Eccola!» urlò soddisfatto per poi far partire la canzone.
È la sera dei miracoli fai attenzione
Qualcuno nei vicoli di Roma
Con la bocca fa a pezzi una canzone
È la sera dei cani che parlano tra di loro
Della luna che sta per cadere
E la gente corre nelle piazze per andare a vedere
«Vieni, la Luna aspetta.»
Sulle note melodiose di quella canzone Yuki mi afferrò entrambe le mani e iniziò a roteare. Io lo seguì incespicando sui miei stessi passi, sorpresa e ammaliata dalle nostre ombre riflesse sui ciottoli chiari dello sterrato.
Era una danza improvvisata, sconclusionata, imbarazzante. Eravamo un fascio di nervi e anime che calpestava la luce eterea di un minuscolo satellite dell'universo.
Eravamo un miracolo in tutta la nostra terrenità.
Si muove la città
Con le piazze e i giardini e la gente nei bar
Galleggia e se ne va
Anche senza corrente camminerà
Ma questa sera vola
Le sue vele sulle case sono mille lenzuola
Yuki cantava all'unisono con Lucio Dalla, le loro voci si fondevano, si intrecciavano per poi allontanarsi di nuovo.
Era allegro e spensierato, lasciava le sue risate si librassero in aria come bolle di sapone pronte a scoppiare. Era contagioso.
«E in mezzo a questo mare cercherò di scoprire quale stella sei» pronunciò scandendo bene ogni singola lettera, «Perché mi perderei se dovessi capire che stanotte non ci sei» disse fissandomi le iridi alla ricerca di qualcosa.
È la notte dei miracoli fai attenzione
Qualcuno nei vicoli di Roma
Ha scritto una canzone
Lontano una luce diventa sempre più grande
Nella notte che sta per finire
E la nave che fa ritorno
Per portarci a dormire
Sotto una Luna attenta e vigile, regina di un cielo privo di stelle, continuammo a volteggiare goffamente ancora un po', anime di una notte generosa di miracoli.
Angolo dell'autrice
Cari lettori, questo è un capitolo un po' sofferto. Non avevo ispirazione, mi sentivo persa e delusa da me stessa. Ma poi un amico mi ha consigliato di "lasciare i miei carichi e i pesi della vita per indossare i panni dei miei personaggi e muovermi sulla loro pelle".
Ho ancora tanto piccoli miracoli da sfornare, ma questo in particolare ci tengo a dedicarlo a Lask92
A presto,
Laura.
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