Capitolo Sei [Parte I]
La Casa dei Hwarang per Min Rin era un luogo sacro. O almeno lo sarebbe stato il giorno in cui, diventata una Wonhwa[1], avrebbe governato con la sua saggezza i cavalieri in fiore. Fino ad allora non poteva far altro che studiarli da lontano, come in quel momento, nascosta in un corridoio a spiare le sale interne in cui si esercitavano nella danza. Non vi erano giovani in tutta la capitale, o nell'intero Regno, altrettanto belli. Forse nemmeno le donne di Seorabeol potevano competere con quei guerrieri che governavano tutte le arti. Nelle loro vene scorreva il sangue delle Vere Ossa. Mentre danzavano, richiamavano echi nascosti fra le alte montagne, acque che mondavano la pietra. Trascendevano l'intera materia.
Min Rin soffiò sul ciuffo di capelli che continuava a cadere sulla fronte e le impediva di vedere. Era uscita di casa con così tanta fretta che aveva impedito alla tata di terminare l'acconciatura. Poco male, le trecce posticce prudevano e non sopportava che i capelli tirassero tanto sulla cute. Liberi sulle spalle, come li aveva ora, erano senza dubbio più comodi.
Posò la fronte sulla porta foderata dalla carta di riso. Il buco che aveva creato col dito non bastava a saziare la sua curiosità. Non vedeva altro che seta colorata volteggiare nella sala e di suo fratello nemmeno l'ombra.
Le mancava. Da quando la Corte lo aveva selezionato perché portasse il titolo di Hwarang lo vedeva sempre più di rado. Non aveva più pazienza nemmeno per raccontarle, come aveva sempre fatto, storie avventurose che attraversavano il deserto della Via della Seta e che arrivavano fino a Roma. Un po' lo detestava per questo. E se si era intrufolata lì, la colpa era solo sua. Aveva persino sottratto una lettera indirizzata a lui, che suo padre aveva affidato a un servo perché gliela consegnasse. Poteva farlo lei, sapeva esattamente come custodire le cose.
«Chi sei?»
Una voce rotta dall'impazienza la richiamò.
«Cosa stai facendo qui?»
Min Rin si staccò dalla porta con tanta fretta che per poco non perse l'equilibrio. Dietro di lei sostava un Nangdo vestito di giallo che teneva una mano fissa sul pomo della spada e la fronte corrugata dal sospetto.
«Sono qui per consegnare una lett-»
Non riuscì a terminare la frase, perché rovistando nella manica della jeogori non trovò traccia della busta rossa. Deglutì a vuoto e sollevò la testa verso il soldato. Se Min Won fosse venuto a conoscenza dei guai in cui si era cacciata non l'avrebbe perdonata, e nemmeno suo padre. Sollevò i lembi delle gonne e iniziò a correre nel labirinto di corridoi. Il pavimento di legno scricchiolò sotto ai suoi piedi e a quelli del Nangdo che diede l'allarme. Il suono del gong riempì le pareti e altri uomini si aggiunsero all'inseguimento. Buddha misericordioso, l'avrebbero catturata come fosse stata una spia.
Quando voltò all'angolo del corridoio, senza contenere la velocità, scivolò a terra. Battè il mento sul tavolato di legno e i gomiti vi strusciarono con tanta veemenza da bruciare fino alle ossa. Si rialzò in fretta, senza badare alle calzature perse nella fuga. Riprese a correre stringendo i lembi della gonna. L'orlo del pianto era lì, lo sentiva, stava per arrivare a soverchiare qualunque altra emozione. La paura di essere accusata, di rovesciare il suo sogno prima ancora di poterlo intraprendere, la attanagliò.
Si fermò all'improvviso, vorticando su se stessa come un animale ferito. Torturò la guancia, mordendola fino a far comparire il sangue. Mugugnò, gemette in un principio di pianto. Doveva trattenersi: che razza di Wonhwa sarebbe diventata senza un briciolo di coraggio. I passi dei Nangdo roboavano come tamburi che scandivano danze rituali. Guardò da una parte all'altra, indecisa su che strada prendere, finché non si trovò davanti ad una parete affrescata. Un'azalea rosa, come la primavera priva di brina, cresceva sullo sfondo di un arabesco, rosso come il sangue più denso.
Attratta dalle linee morbide del fiore, posò le dita sulle venature del legno e la parete si spalancò a metà. Un'ombra la afferrò per un braccio e la trascinò nel buco di oscurità. La parete si chiuse di nuovo e si ritrovò avvolta nel silenzio. L'unica luce proveniva da una lucerna in terracotta, sorretta da qualcuno ancora troppo lontano perché potesse scorgerne le fattezze.
Una mano che sapeva di datteri e polvere le coprì le labbra. Usò tanta forza da stritolarle le guance.
«Non urlare per favore, o finirai per farci scoprire tutti» la rimproverò un ragazzino con un copricapo di seta. I capelli lunghi scendevano sulla spalle e il viso delineato, su cui sbocciavano occhi stretti e lunghi, era una maschera di tensione. Doveva avere la sua stessa età.
Min Rin batté le palpebre più volte, sgomenta. Spostò lo sguardo verso la lucerna che galleggiava nel buio e solo quando essa si avvicinò scorse quei tutti a cui si era riferito l'assalitore. Vi era un altro ragazzino con i capelli legati in una coda alta che la guardava con severità.
Non aveva intenzione di farsi stritolare le guance un momento di più. Min Rin allargò le labbra e morse le dita del suo carceriere, il quale, distratto ad ascoltare i rumori fuori dalla porta segreta, sobbalzò indietro e sventolò la mano in aria.
«Aish! Che ti prende? Stiamo cercando di salvarti!»
L'accusa cadde nel vuoto, quando la guardò davvero. Era la prima volta che Min Rin posava gli occhi su di lui, ma lui sembrava conoscerla, poiché impallidì. L'arroganza con cui l'aveva trattata svanì.
«Fate silenzio, entrambi» intervenne l'altro, infilando la lucerna fra loro, per illuminarne i visi e minacciarli con un tono di voce che rasentava il mondo dei morti. «Non ho intenzione di subire nuove punizioni per causa tua, Kang Jo. Sei stato tu ad aprire la porta per tirarla dentro e impedire che la prendessero, ma ora dobbiamo andare, prima che arrivino fin qui.»
Min Rin boccheggiò. Non c'era aria in quel cunicolo di pietra, solo odori nauseanti che stringevano la gola. Strofinò il naso e si volse verso Kang Jo, che frustrato, sistemò il copricapo sulla testa.
«Perché mi hai aiutata?»
«Credevo che avessero iniziato a suonare il gong per causa nostra e ci siamo nascosti qui, abbiamo trovato il nascondiglio per puro caso. Poi, quando ti ho sentita piagnucolare lì fuori, ho capito che l'allarme non era stato dato per noi. L'ho fatto senza pensarci, ho aperto la porta e ti ho tirata dentro.»
«Io non stavo piagnucolando» imbronciò le labbra.
«Dovresti ringraziarmi, non so nemmeno perché ti stanno cercando, potresti essere una sospettata pericolosa» la accusò Kang Jo gonfiando le guance, poi si voltò verso la lucerna che si allontanava insieme alla coda dell'altro ragazzino. «Seung Hyun, aspettami!»
Min Rin arrossì fino alla punta delle orecchie. Non aveva alcuna intenzione di seguirli. Sarebbe rimasta lì, al buio, finché le acque non si sarebbero calmate. Ringraziarlo per averla aiutata! Figurarsi, per poco non l'aveva soffocata.
Quando un tuono di stivali metallici si librò fuori dalla porta nascosta, Min Rin strinse una mano al petto per trattenere i battiti del cuore. Si allontanò da lì, nel timore che potessero trovarla. Corse lungo il corridoio di pietra, raggiungendo la luce pallida che tremolava nell'oscurità. Un primo dolore sotto alla pianta dei piedi, mortificati dallo schiacciare sassi acuminati, si presentò e la portò a scivolare in avanti, battendo contro la schiena di Kang Jo. Quest'ultimo finì contro Seung Hyun, che non potendo più sopportare l'equilibrio, cadde a terra. Min Rin si ritrovò su di loro, i gomiti bruciarono di nuovo.
«Kang Jo!» la voce di Seung Hyun, spaventosa in quell'antro oscuro, rimbombò. Si voltò verso di loro per rimproverarli.
«Smettila di prendertela con me, non ho fatto niente! E' stata Min Rin che mi è venuta addosso. A proposito, spostati: le mie costole. Le stai stritolando!»
Kang Jo le fece segno di muoversi ma lei non lo ascoltò. Nonostante non lo avesse mai visto prima, lui conosceva il suo nome. Eppure era certa di non averlo detto, né pensato.
«Qual è la tua famiglia?» gli chiese, staccando le ginocchia dal suo costato.
Seung Hyun le tese una mano e lei la accettò volentieri. Quest'ultimo, al contrario dell'amico, aveva modi più raffinati. Al contempo, nei suoi occhi vi era qualcosa di meno nobile. Erano spenti, liquidi, indecifrabili. Si perse in essi solo per un istante, prima che Kang Jo tornasse alla sua altezza. Il viso emerse sotto la lucerna.
«Sono Choi Kang Jo e lui è Kim Seung Hyun. Credi sia utile, in questo momento, rivelare le nostre identità?»
Min Rin deglutì a vuoto. Facevano parte entrambi di famiglie con cui suo padre era in lotta. Forse per questo conosceva il suo nome.
«Perché vi siete introdotti nella casa dei Hwarang senza consenso?» li accusò. Sottrasse la lucerna a Seung Hyun per illuminare di più i loro volti.
«E' una domanda che potremmo rivolgere anche a te, soprattutto in questo caso. Noi non siamo stati visti, mentre tu sei ricercata.»
Seung Hyun rispose con un filo di voce. Le labbra si erano mosse con fermezza, nella calma di un animo impossibile da scuotere. Min Rin, per un attimo, si sentì minacciata, come se fosse stato in grado di leggere fin dentro di lei. E non voleva che qualcuno si appropriasse dei suoi pensieri, se non fosse stata lei a mostrarli.
«Non sarete venuti qui per spiare i Hwarang, credendo alle voci secondo cui fra loro si intessano relazioni amorose?» li incalzò, stringendo le braccia al petto.
«Che stramberie vai dicendo!» esclamò Kang Jo, strappandole la lucerna di mano e parandogliela contro «Siamo qui per pura curiosità. Un giorno anche noi entreremo a far parte dei Hwarang.»
Min Rin scoppiò a ridere. Si coprì le labbra per attutirne il suono acuto.
«Non sapete che uno dei requisiti è essere belli come fiori in sboccio?»
«Aish» imprecò Kang Jo, ritirando indietro le labbra «e tu, dicci, per quale motivo ti sei introdotta furtivamente nella casa dei giovani uomini più ammirati di Silla?»
«Per consegnare qualcosa a qualcuno, ma non ho potuto farlo.»
Min Rin passò davanti a entrambi e riprese a camminare nel corridoio stretto. L'aria anziché aumentare non faceva che diminuire. Non era sicura che sarebbe arrivata all'uscita – se l'avessero trovata – senza svenire nemmeno una volta. Kang Jo, rumoroso, la seguì e Seung Hyun le si accostò in un muto silenzio.
«Avete sentito anche voi le voci? Devono essere scappati da questa parte!»
Dietro di loro si udì lo schioccare di armature leggere. Min Rin ingurgitò un grumo di saliva rappresa. Erano stati scoperti. Si voltò e intravide un paio di luci lampeggiare sul fondo del corridoio. Senza rendersene conto, come un burattino, fu agguantata sia da Kang Jo che da Seung Hyun, i quali la trascinarono in una corsa disperata. Le loro mani si strinsero attorno ai suoi polsi e il contatto fu così brusco che Min Rin a stento poté sopportarlo. Le dita di Kang Jo erano lunghe e morbide, leggere come fili di seta, calde e sicure; quelle di Seung Hyun erano contratte, ruvide, pesanti come lame di metallo, fredde e riservate. Eppure, in quella fuga, passo dopo passo, sasso dopo sasso, Min Rin provò un immenso timore. Non legato alla possibilità di essere scoperta dai Nangdo, e poi punita, ma alla possibilità di instaurare un legame con i suoi salvatori. Quel tocco così diverso, ma ugualmente intenso, si intromise fin sotto la pelle, a scuotere le vene. C'erano alcuni intrecci che la vita era disposta ad assecondare, ma non a tutti assicurava che finissero bene.
Indecisa, per un attimo, provò a staccarsi da loro e a correre da sola. Al contempo, vi era qualcosa che la attraeva in quel percorso di pericolo che scendeva sempre più in basso, negli abissi, finché i piedi non toccarono più terra e il vuoto li accolse. Urlarono, le grida rotearono fra le pareti di pietra, finché una superficie umida non li avvolse. Caduti in uno specchio d'acqua circolare, Min Rin sprofondò nel liquido buio. Risalì a fatica, nuotando nel freddo che solo le notti d'inverno portavano con sé, e quando tornò a galla racimolò i respiri mancati. I capelli si ingarbugliarono sul viso e li spostò, fastidiosi, dietro le orecchie. La veste bianca e rossa si gonfiò appena, accompagnata dall'acqua che vi si introdusse dentro. Si voltò da entrambe le parti e riconobbe Seung Hyun, risalito anche lui a riprendere aria, e Kang Jo che allo stesso modo boccheggiava. Non c'erano più lucerne, ma la luce penetrava da sopra la testa. Erano finiti in un pozzo e il sole vi si scioglieva dentro. Affacciato lì sopra, Min Rin scorse un volto severo. Soffocò un grido, quando riconobbe suo fratello Min Won.
***
Note: [1] Wonhwa: donna a capo dei Hwarang
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