Capitolo Diciotto
Min Rin posò le mani gelide sulle guance arrossate.
Non poteva credere che Kang Jo si fosse congedato – anzi, che fosse scappato – in quel modo, quando aveva ancora così tanto da dire!
Immobile davanti alla Casa dei Hwarang tornò a guardare le dita pallide. Tremavano, ed era tutta colpa sua. Non le aveva dato il tempo di salutarlo, né sapeva quanto sarebbe rimasta lontana da Seorabeol.
Forse, lui non aveva compreso che la sua era stata una richiesta di aiuto, non un vero e proprio saluto. Andare via dalla capitale era un peso, un peso che aveva scelto di portare sulle spalle, e avrebbe voluto solo che qualcuno la fermasse, che le chiedesse di restare, privandola dei doveri che la tenevano legata al proprio clan.
In tutti quegli anni Kang Jo e Seung Hyun erano stati una luce serena. Non il capriccio di una bambina viziata, che era andata contro al volere del proprio padre. Loro avevano reso la sua solitudine meno pesante, meno presente.
Scacciò via un brivido che le corse dietro la schiena, si arrampicò sulle mura di pietra e le scavalcò. Il candore della veste si unse di polvere, e una parte dei lembi si strappò. Sua madre chiudeva sempre un occhio quando la vedeva tornare a casa in quel modo, ma anziché rimproverarla, provvedeva a rammendare gli strappi e a pulire le macchie.
Si diresse verso il quartiere dei dormitori. Si nascose dietro al pozzo in cui, da bambina, era scivolta dentro insieme a Seung Hyun e Kang Jo. Quel giorno suo fratello le aveva serbato uno sguardo così duro che, oh, non sarebbe stato facile dimenticare.
Lasciò che i Nangdo in perlustrazione oltrepassassero la via. Ormai conosceva i loro orari alla perfezione e sapeva come aggirarli. Corse sotto la veranda e passò davanti a ogni porta, con la schiena curva, fino ad arrivare a quella che chiudeva la stanza di Kang Jo. Era la sola ad avere la luce delle candele ancora accesa, filtrava timida dalla carta di riso.
Min Rin aprì le ante e balzò dentro, chiudendo la porta alle spalle. Non aveva certo bisogno di preavviso per... la saliva si asciugò sotto al palato quando si rese conto delle condizioni di Kang Jo: seduto a terra, a gambe incrociate, non indossava la jeogori[1]. Goffamente cercava di fasciarsi una spalla.
Si coprì gli occhi con entrambe le mani e singhiozzò per trattenere il forte imbarazzo. Aprì solo due dita, per spiarlo con un pessimo filtro. Kang Jo, appena si accorse del suo arrivo, scattò in piedi e la fasciatura si srotolò a terra.
«Aish! Cosa stai facendo qui?»
Min Rin tornò a respirare quando Kang Jo indossò di nuovo la jeogori azzurra. Eppure, era certa che il rossore sulle guance non fosse passato, doveva anzi aver raggiunto le orecchie. Distolse le mani dal viso e le portò dietro la schiena in una posa innocente.
«Sei andato via così di fretta che temevo fosse accaduto qualcosa. Inoltre» incrociò le braccia al petto per enfatizzare il rimprovero «avevo il sospetto che fossi ferito.»
Kang Jo riallacciò la cintura in vita. La veste cadde in disordine, scomposta, e i capelli lunghi scesero morbidi sulle spalle, privi della fascia attorno alla fronte. La guardò di sottecchi, con le labbra increspate.
«Non sono ferito, e non è nulla di cui tu debba preoccuparti.»
Min Rin coprì la distanza e, con più tranquillità, posò una mano sulla sua scapola. La sentì fremere al suo tocco.
«Se trascuri le tue ferite peggioreranno.»
Nonostante le avessero insegnato le buone maniere, e Min Rin amasse mostrarsi in pubblico come una giovane fanciulla degna del suo rango, non era lo stesso in situazioni più intime. In quel momento le importava poco cosa fosse appropriato e cosa no. Perciò, sciolse la cintura che teneva ferma la jeogori di Kang Jo, pur con i suoi tentativi di fermarla. Lo tenne fermo per le braccia.
«Per una volta fidati di me.»
Kang Jo guardò in alto e socchiuse le labbra, annuendo con un grande senso di sconfitta. Min Rin sorrise appena e con delicatezza allargò le maniche della jeogori perché cadesse a terra. Dopo averlo aiutato a sedersi, si portò vicino una bacinella d'acqua e vi intinse un panno. Lo strizzò, inginocchiandosi dietro di lui.
Sfiorò il bordo della ferita su cui ancora vi era sangue secco, incastrato fra la pelle rialzata. Si premurò di scioglierlo con le gocce d'acqua e la ripulì.
«Come te la sei procurata?»
«Proteggendo un bambino che non avrei dovuto difendere.»
Non poteva guardarlo in viso, ma percepì la tensione dai muscoli del corpo che si contrassero fino a diventare pietra.
«Come puoi dire una cosa simile?» sussurrò.
Kang Jo si voltò di tre quarti, i capelli caddero indietro, liberando parte del viso spigoloso.
«Ritieni anche tu che sia un pensiero terribile, non è così? E' un pensiero che farebbe mio padre.»
«Kang Jo...»
«In fondo, non sarebbe più semplice smetterla di combattere contro me stesso e arrendermi? Non sono migliore di lui.» Una risata leggera uscì dalle labbra «Il bambino che ho salvato appartiene a un uomo che ha gettato Seorabeol nel terrore. Quanti dei nostri bambini sono morti a causa sua?»
Min Rin deglutì a vuoto. La mano tremò a tal punto che non poté più pulire la ferita. Dunque, il braccialetto che aveva visto indosso a Goo Myung era davvero di Kang Jo. E quel bambino non poteva che essere Eun.
Aveva così tante cose da dire, in quel momento. Eppure non poteva farlo. Confessare che i Ribelli erano sotto la protezione della sua famiglia: non solo non avrebbe creduto alla loro innocenza, ma non l'avrebbe mai perdonata. Non poteva sopportare nulla di simile.
In silenzio si ripulì le lacrime che erano scese dagli occhi, così in fretta da non averle potute controllare. Posò di nuovo le dita sotto la sua ferita. Era così calda la pelle che ne emergeva sotto.
«Che colpa poteva avere quel bambino? Non era anche lui immerso nel terrore?» gli domandò, assottigliando la voce.
Min Rin posò la fronte contro la spalla buona e lo abbracciò. Udì il respiro di lui diminuire, e poi le avvolse le mani con le proprie. Anche loro erano calde, come il suo corpo.
«Per questo sarebbe più facile se fossi come mio padre. Vivrei senza tormento.»
Di fronte a quella sciocca affermazione, Min Rin si liberò dalla presa, ma lui si voltò prima che potesse picchiarlo. I suoi occhi lunghi erano limpidi, lo erano sempre stati. Grigi come il vento incolore.
«Choi Kang Jo» sussurrò «non potrai mai fingere di essere ciò che non sei.»
«E se avessi finto fino ad ora, Min Rin?»
Le lucerne ne illuminarono il viso. Il naso dritto, la forma elegante e stretta delle labbra. Avrebbe voluto che quelle labbra pronunciassero parole diverse.
«Come hai potuto fidarti di uno come me? Come puoi essere certa che il figlio del maggior nemico di tuo padre non ti userà per i suoi scopi?»
Min Rin sorrise, curvando la schiena in avanti. Si sedette allungando le gambe di lato. Sollevò una mano verso il suo viso e ne accarezzò una guancia con la punta delle dita. La sua pelle era morbida.
«Mi credi così ingenua? Ho sempre saputo che un giorno sarebbe potuto accadere, e non per nostra volontà, ma per costrizione di eventi. Io, però, ho deciso di fidarmi nonostante tutto.»
Kang Jo abbassò lo sguardo, come a voler nascondere una radicata colpevolezza. Tornò a darle le spalle e le passò i bendaggi. Min Rin accettò il suo silenzio, dedicandosi alla fasciatura. Attenta a non toccare più nemmeno un punto della sua pelle – timorosa di bruciarsi – legò lo strato di bende e si alzò di nuovo in piedi. Lui fece lo stesso, ma le impedì di aiutarlo a rivestirsi.
«Dovresti andare, ora. Non sono in vena di ricevere punizioni, stanotte.»
Min Rin incrociò le braccia al petto e sorrise: «Sei appena diventato un codardo?»
Kang Jo le lasciò un pizzico sul braccio, poi la afferrò per il polso e la scortò fuori dalla stanza. Si guardò intorno per accertarsi che la ronda dei Nangdo fosse già passata, e la condusse fino alle mura davanti a cui crescevano grandi alberi.
Min Rin si liberò con cautela della sua presa, e non senza rammarico. Risucchiò indietro le labbra, arrampicandosi su un incavo basso del tronco. Da quella posizione era appena più alta di lui.
«Non ci vedremo per un lungo periodo. Starai bene?» gli domandò in un sussurro.
«E tu, starai bene?»
No.
No, che non sarebbe stata bene. Perché non lo capiva? Min Rin gonfiò le guance a tal punto che il respiro uscì in un grande sbuffo. Si aggrappò al tronco con forza, incidendo il legno con le unghie. Si sporse in avanti e lo avvicinò per il bavero della jeogori. Lasciò un bacio sulle sue labbra con una tale rapidità da non averne percepito nemmeno il sapore. Ritrasse le proprie, pentita di esser stata così avventata.
Ormai non poteva farci nulla. Si era spinta oltre, e se lui non avesse ricambiato i suoi sentimenti, andarsene da Seorabeol sarebbe stato un ottimo farmaco per il suo cuore a pezzi.
Kang Jo rimase in silenzio, con i pugni serrati lungo i fianchi. La sua immobilità le strinse lo stomaco.
Che brava, aveva appena rovinato tutto.
Si voltò, col rossore che corse fino alle orecchie, per arrampicarsi di più e scavalcare le mura, ma la mano di lui la fermò per un lembo della gonna. Min Rin non fece in tempo a guardarlo che Kang Jo la tirò a sé. Cadde fra le sue braccia come un petalo si stacca dal bocciolo di un fiore.
Il tocco delle sue labbra, questa volta più profondo, non fu rapido come prima. Kang Jo la tenne sollevata, esplorando un bacio che la fece tremare. Min Rin gli circondò il collo, stringendosi a lui, nella muta richiesta di non lasciarla. Sotto le ombre dell'albero, della luce della luna che filtrava appena fra le foglie, le parve di vivere in un altro mondo, in una vita diversa, più bella. Socchiuse le palpebre, lasciandosi cullare dai nuovi baci che lui le sottraeva con più avidità. Si allontanava, per poi recuperare ciò che aveva perso, e lo lasciò fare.
Nulla, per lei, era più prezioso di Kang Jo.
**
Note: [1] Jeogori: Parte superiore dell'abito.
E... vi aspettavate questo risvolto?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top