Il coraggio di ricominciare
Capitolo 1
«Accidenti! Adesso che cosa faccio?» pronunciò con afflizione Sofia Vitali sul tetto di casa della nonna paterna.
Tutt'ora si domandava cosa ci faceva lì. Perché non era rimasta a casa dei suoi genitori? Dio sapeva quante migliaia di volte aveva pronunciato quella frase, nell'arco di quel breve tempo da quando era arrivata in quel luogo. Invece no!
Gli era parsa una bella idea trasferirsi a casa della nonna, in Abruzzo e precisamente in uno dei paesini più piccoli d'Italia, a Monteferrante.
Ovviamente, per chi la conoscesse a livello impersonale, veniva naturale pensare che una ragazza di soli ventisette anni, nata a centro Milano e vissuto lì in tutto l'arco della sua vita, con una carriera in pieno decollo nell'ufficio marketing, con l'aggiunta di un meraviglioso fidanzato nonché collega di lavoro, verrebbe naturale pensare che si sia bevuta il cervello, insieme a tutti i suoi neuroni.
Peccato che il suo lavoro non le era mai piaciuto, essendosi laureata e inoltrata in quella carriera solo per far felice i suoi genitori, diventato più una prigione che altro.
Milano era diventata soffocante e ancor di più dopo aver beccato il "meraviglioso" fidanzato alle prese a far capriole sul letto con la propria segretaria. Classico!
Mi chiedo perché coloro che lavorano in un ufficio hanno l'esigenza di scoparsi la segretaria. C'è forse una legge o un protocollo da seguire? O forse era una specie di battesimo per sacramentare il tutto.
La sua mano, perfettamente curata o almeno quello che ne rimaneva della sua manicure, scivolò sull'asse di legno che aveva appena inchiodato al tetto. Emise un gridolino, raddrizzandosi all'istante, prima che cadesse.
Forse, penso sbuffando, era stato lo sblocco che le serviva per mandare tutto al diavolo: lavoro, fidanzato, genitori e andare via da quella città che non riusciva a darle ciò che lei cercava. Così, in fretta a e furia, aveva cercato e preso un biglietto aereo, di solo andata, preparato le valige, dato le dimissioni e salutato genitori. Era inutile dire che né quest'ultimi né il suo capo l'avevano presa bene, anzi sarebbe il caso di specificare che non avevano per niente considerato la sua scelta come qualcosa di definitivo e serio.
Entrambe le parti sono certe che sia solo un momento passeggero, una piccola crisi, e che nel momento in cui avrebbe ripreso la ragione sarebbe ritornata a Milano in fretta e furia.
Bè si sbagliano!
Si era davvero stufata di quella città soffocante e del suo lavoro, che per quanto redditizio, non riusciva a trasmetterle l'emozioni che cercava.
In realtà il suo sogno era quello di diventare una pasticciera.
Da sempre adorava cimentarsi tra i vari ingredienti e realizzare dolci che facessero sorridere chiunque li assaggiasse.
Quella passione era nata grazie alla nonna, colei che anni fa insieme al nonno avevano costruito la loro pasticceria e realizzato dolci davvero deliziosi e soprattutto dai sapori intensi che a oggi non riusciva più a gustare in città. I suoi nonni, dopo anni di duro lavoro, avevano ceduto l'attività trasferendosi in questo paesino e avevano passato gli ultimi anni della loro vita in pace e tranquillità. O almeno così credeva.
La loro morte era stato un duro colpo d'accettare, ma quando aveva saputo che la loro casa gli era stata donata nel testamento, si era sentita felice. Ma un'altra sorprendete notizia l'aveva colpita.
A quanto pare la nonna non era riuscita a stare lontana dai dolci, poiché quest'ultima aveva deciso di mettersi di nuovo in gioco aprendo una piccola pasticcera proprio nel luogo scelto per riposare i suoi ultimi anni di vita.
E l'aveva ceduta a Sofia.
Oltre la loro casa, i nonni avevano espressamente chiesto che la nipote si occupasse di quella attività, nonostante sapessero che Sofia aveva dei piani completamente opposti.
Quest'ultima ne era rimasta stupita e commossa allo stesso tempo, ripromettendosi che sarebbe andata a vederla, anche solo per un weekend.
Ma purtroppo gli impegni lavorativi le avevano tolto molto tempo, tanto da riuscire ad avere a stento una vita sociale.
Così aveva preso la palla in balzo e si era decisa a realizzare i suoi sogni e andare via da Milano, avventurandosi in una nuova vita per Monteferrante.
Peccato che non si fosse informata adeguatamente sul luogo dove i suoi nonni avevano deciso di stabilirsi. Perché se l'ho avesse fatto, avrebbe scoperto che il paese, di soli circa centotrentacinque abitanti, negli anni non era cambiato. In tutti i sensi.
Sembra che il modo moderno e rivoluzionario si fosse dimenticato di quel piccolo paese e con lui anche i suoi paesani.
Oltre questo, il suo arrivo non era stato dei migliori. Appena arrivata davanti alla casa, dopo varie difficoltà a raggiungere il paese con diversi mezzi, si era dovuta confrontare con ogni paesano che la fissava come se fossero davanti la sorella gemella di E.T., comprendendo fin da subito che non avrebbe avuto vita facile.
La casa era molto vecchia e aveva bisogno di parecchie riparazioni, tra cui il tetto.
Fortunatamente aveva trovato in giro per casa, e precisamente nel ripostiglio pieno di ragnatele e polvere, delle assi di legno e dei chiodi con cui riparare almeno temporaneamente il tetto. Anche se una donna, Sofia era abbastanza brava con i lavori di quel tipo, aiutando spesso suo padre in quelle faccende.
Peccato, stava davvero cominciando ad odiare quella parola, che la scala fosse scivolata cadendo a terra e lasciando lei come un gatto sul albero, rimanendo bloccata sul tetto. Aveva invano gridato aiuto con tutto il fiato che possedeva. La casa stava a leggera distanza dal paese e dato che la maggior parte dei paesani era costituiti da per lo più settantenni, almeno per quello che aveva visto, la possibilità che riuscissero a udirla o vederla anche se da una distanza più ravvicinata era davvero misera.
Aveva un vicino. La sua casa, molto più grande in confronto a quella dei nonni, era distanziata da quella di Sofia di circa dieci passi, ma sembrava non fosse in casa in quel momento, poiché non aveva smesso di sgolare da più di mezz'ora e nessuno era apparso.
«O molto probabilmente sarà un vicino di una cinquantina d'anni più di me» mormorò Sofia, stanca, assetata e dolorante. Il sole picchiava forte sopra di lei, dandole la sensazione di essere come carne cuocere sopra la griglia.
«Maledizione, non posso morire così! Non mi sono neanche minimamente avvicinata al mio sogno di aprire una pasticceria» si lagnò.
Per di più, non era certo vestita in modo appropriato, pensò guardando la sua gonna corta del suo completo con giacca, lasciato dentro casa, e una camicia bianca. O almeno ciò che era rimasto del suo completo firmato. La fretta di partire l'aveva portata a mettere dentro la valigia tutto ciò che possedeva, infischiandosene in quel momento di cosa fosse o no adatto.
Purtroppo il suo guardaroba aveva, necessariamente, bisogno di un nuovo look adatto per la sua nuova vita.
«Se riuscirò a scendere.»
Si guardò ancora una volta in torno, cercando qualsiasi cosa potesse aiutarla. Ma non trovò niente di utile e non ci pensava proprio a sbilanciarsi per guardare oltre a dov'era aggrappata, cioè sul camino.
All'improvviso sentì il rumore di un motore. Mai suono gli era sembrato più soave.
Guardò immediatamente verso la strada, dove poté vedere un Pick-Up nero avvicini per poi parcheggiare davanti alla casa del vicino.
«Hey! » Gridò euforica Sofia. «Hey, scusi! Mi scusi tanto, potrebbe venire qui per favore» disse eccitata dal sollievo di aver visto qualcuno. Finalmente il suo vicino era arrivato e l'avrebbe salvata!
La persona uscì dal mezzo e Sofia ebbe modo di vedere il suo salvatore. Era un uomo giovane, notò stupita.
Suppose fosse un parente del suo vicino. Era alto, con capelli scuri come la pece e con una palle abbronzata dal sole caldo di quel luogo. Gli dava le spalle e quindi poté notare che quest'ultime erano ampie sotto la camicia a scacchi rossa e nera, e scendendo ancora notò dei fianchi stretti e... il sedere più bello che avesse mai visto! Evidenziato ancor di più da dei jeans aderenti.
Sofia non credeva di aver mai considerato due natiche tanto sexy.
Neanche il sul suo ex fidanzato, che per quanto tenesse in forma del suo corpo e vantasse il più delle volte, poteva vantare tale perfezione.
Era così persa in quella visone, che per poco non dimenticava la sua situazione attuale.
«Oh, mi scusi! Mi ascolti, sono qui!»
L'uomo finalmente si voltò verso di lei, sentendo i sui richiami.
Felice, Sofia cominciò ad agitare un braccio. Finalmente sarebbe scesa da quel tetto.
Vide il suo volto alzarsi verso di lei e osservarla per due secondi, per poi voltarsi e dirigersi verso la sua casa!
«Cosa?!» Sofia non riusciva a credere ai suoi occhi e forse il caldo gli aveva fatto un brutto scherzo, perché non era possibile che quell'uomo si fosse davvero voltato dopo averla vista.
Forse, ragionò, non aveva compreso la gravità della sua situazione. Sì, pensò certa, doveva esser per forza così.
In quel caso doveva cercare di avvicinarsi il più possibile e quindi doveva lasciare ciò che in quel momento era la sua ancora di salvezza, il camino, per gattonare dall'altra parte del tetto e così avvicinarsi all'uomo.
Facile a dirsi, Sofia!
Deglutendo a fatica, si aggrappò con le mani sul tetto e cominciò a gattonare, con il corpo in pieno tremore. «Sig-signore, aspetti!» provò contemporaneamente a parlare mentre si muoveva, sentendo i capelli biondi sfuggire dall'improvvisata acconciatura per tenerli alzati e scendere sulle spalle. «Si fermi, la prego!» riprovò di nuovo, facendo un sospiro di sollievo quando lo vide finalmente fermarsi e voltare leggermente il capo verso di lei.
Rimase a bocca aperta quando lo vide di nuovo camminare... accelerando il passo!
Non se l'era immaginato, comprese allibita, quell'uomo l'aveva davvero ignorata. Deliberatamente!
Quel figlio di...
«Accidenti, non ti azzardare ad entrare, mi hai sentito?» Urlò furiosa, mandando al diavolo le buone maniere, e contemporaneamente continuando a strisciare.
Colta da un illuminazione, si fermò per prendere la sua scarpa col tacco. Anche se assurdo salire su un tetto con delle scarpe di quel tipo, il pensiero di ciò che avrebbe potuto tastare a piedi nudi in un tetto abbandonato da anni, era stato più forte della sicurezza.
Le erano costate un occhi della testa e le piangeva il cuore al pensiero di ciò che stava per fare.
Prese bene la mira, come se fosse un soldato in guerra e quella fosse l'ultima pallottola a sua disposizione, e lanciò.
La scarpa non lo prese per un soffio, passandogli proprio sopra la testa bruna, bloccandolo.
Lo vide lanciare un'occhiata alla sua povera scarpa, abbandonata a se stessa in un angolo di terra dopo un onorevole servizio, per poi voltarsi del tutto verso di lei.
Anche a quell'altezza, Sofia poté vedere il suo sguardo accigliato diretto a lei. «Cosa diavolo ti è passato per la mente?» Parlò per la prima volta, con tono rude e infastidito.
Furiosa, Sofia si fermò e si sedette cavalcioni, ricambiando l'occhiataccia. «Mi sembra ovvio, no? Ho cercato di ottenere la sua attenzione. Ho un disperato bisogno d'aiuto! Sono qui sopra da non so quanto tempo» spiegò, per poi indicare il punto dove la scala era scivolata. «La scala è scivolata da quella parte. Potrebbe prenderla e aiutarmi a scendere?»
L'uomo non si mosse, continuando a fissarla come se fosse uscita da un cappello magico.
«Allora? Prenda la scala» lo incitò.
Non era sicura, ma pensò di aver sentito l'uomo imprecare tra i denti, mentre raggiungeva il punto indicato a passi pesanti.
Prese la scala e la mise in fretta nella posizione desiderata. «Ecco, addio» mormorò, voltandosi di nuovo per andar via.
«No, no, no aspetti!» lo fermò lei in fretta, cominciando ad indietreggiare. «La scala è un po' traballante. E' stato già complicato salire, figuriamoci a scendere.»
«Lo credo, se consideriamo che sei salita su un tetto di una casa con quelle armi che voi donne chiamate scarpe» ribatté l'uomo con un sospiro, avvicinandosi di nuovo e tenendo ferma la scala. Non appena Sofia fu vicina, lui ebbe modo di vederla meglio e rimase di stucco. «Sei stupida o cosa? Ti rendi conto che questo non è certo l'abbigliamento adatto per salire su un tetto?» più che una domanda era una costatazione della sua stupidità, appunto.
Sofia, intenta a scendere al primo gradino, lanciò un occhiataccia all'uomo, sotto di lei. «Lo so benissimo. E comunque non è il modo di rivolgersi ad una donna, lo sai?» mormorò irritata, rinunciando anche lei a usare modi più formali con quel tipo.
«Ah! Perché invece lanciare una scarpa con tacco equivale un benvenuto dalle tue parti?»
«Dalle mie parti non ti avrei neanche considerato, come potenziale salvatore» ribeccò lei, per poi fermarsi di colpo, con un piede fuori e l'altro ancora sul tetto.
L'altro sospirò impaziente, alzando il viso verso lei. «Cosa c'è adesso? Non so tu, ma io avrei di meglio da fare.»
«Sapessi io» bisbiglio Sofia, pensando alle innumerevoli faccende e le riparazione che l'aspettavano in casa. Per non parlare della ricerca della pasticceria di sua nonna.
L'altro alzò la testa verso di lei, aggrottando le sopracciglio scuro con uno sguardo d'irritazione. «Allora che ne pensi di darti una mossa?»
Sofia gli lanciò un'occhiata imbarazzata. «Volta il viso» gli ordinò.
Aveva indosso la gonna e non voleva certo dargli una buona visuale del suo sedere, anche se lei ne aveva approfittato, ma questo era un dettaglio irrilevante dato che lui non lo sapeva.
Il suo imbarazzo aumento nel momento in cui vide spuntare dalle sue labbra un sorriso malizioso.
«Tesoro, ti assicuro che le signore di una certa età non sono tra i miei interessi.»
Tesoro?
Signore di una certa età?
A lei?!
Impulsivamente, prese una piccola asse di legno pronta da lanciare. Ma poi, pensandoci bene, ci ripensò e prese l'altra scarpa. Ormai la sua compagna era danneggiata, tanto valeva completare l'opera.
Colpì per un pelo lo stivale dell'uomo.
«Hey, allora il tuo è un vizio!» urlò l'uomo, indignato.
Non quanto lei.
«Dovresti far attenzione a ciò che dici. E poi io ho solo ventisette anni, per la cronaca» volle precisare lei.
L'altro lasciò la presa sulla scala, mettendo le mani sui fianchi. «Invece tu dovresti contenere la tua impulsività. Ricordati che io sono la tua unica ancora di salvezza» disse, ingigantendo la situazione anche se con una punta di verità.
Dannazione, aveva ragione, pensò stizzita Sofia, consapevole che se la stava ridendo sotto i baffi.
«Scusami, per favore potresti aiutarmi?» mormorò alla fine, a denti stretti.
L'uomo non sembrava per niente convinto dalle sue scuse, fatto stà che comunque riprese la scala voltando sta volta il viso da un'altra parte.
Finalmente. Sofia scese da quel maledetto tetto e non appena toccò il suolo sentì il cuore batterle forte per il sollievo.
Si voltò per trovarsi di fronte l'uomo che l'aveva aiutata. Era più alto di quanto non sembrasse, rifletté sorpresa, rendendosi conto che la sua testa arrivava all'incirca a metà petto. Alzò il volto incrociando il suo sguardo trovandosi, non due semplici occhi castani, ma dal colore del cioccolato fondente. Così scuri e profondi...
Rendendosi conto che lo stava fissando intensamente, fece un brusco sospiro sentendo le guancie rosse d'imbarazzo.
«Ti ringrazio per l'aiuto» farfuglio velocemente. «E scusami per i modi un po' bruschi, ma ero disperata» scherzò, almeno in parte.
Sembrava comunque abituato a gli esercizi, dato che ad occhio si poteva notare un corpo asciutto, forse un po' sotto peso. Le pecche che notava più visibili erano sul viso, con tratti marcati e mascolini, dove poteva notare due occhiaia profonde e delle guance leggermente scavate. Troppo lavoro? Insonnia?
Sofia, pensò alle varie alternative, mentre continuava a squadrarlo.
«Se hai smesso posso anche andare o se preferisci faccio una giravolta percompletare l'osservazione.»
«No, mi basta per ora» ironizzò Sofia, non potendo negare l'evidenza, ringraziando il sole che le aveva fatto arrossare la pelle.
L'uomo non si prese cura di risponderle, o almeno di presentarsi, facendo dietro front e tornando verso la casa del vicino.
«Grazie!» gli urlò, sentendosi decisamente superiore e non volendo risultare maleducata.
L'uomo infatti si limitò a lanciarle un occhiata e, pensò di esserselo immaginato, ma il suo sguardo sembrava quasi incuriosito come se stesse esitando dal farle una domanda. Ma poi forse pensò che non era così necessario, sollevando semplicemente la mano, ricominciando a camminare.
Sofia ne approfittò per lanciare un'altra occhiata alle chiappe perfettedell'uomo. Sì, erano delle belle chiappe.
Dopo quella bella visione, si avviò dentro casa decidendo che fosse meglio prima occuparsi dell'interno. Decisamente meglio.
L'interno non era in condizioni migliore dell'esterno.
Aveva aperto tutte le finestre affinché potesse aria fresca, ma la luce delsolo le diede solo conferma del lavoro che c'era da fare.
La casa era piccola, non pretenziosa, ma accogliente e le ricordava terribilmente i suoi nonni. Riconobbe gli oggetti di ricamo della nonna ealcune delle vecchie foto che ritraeva lei con la sua famiglia.
Tutto di quella casa le ricordava loro. Ne sentiva così tanto la mancanza.
Soprattutto della nonna.
Quando era andata via è stato come se un pezzo del suo cuore fosse andato conlei e dopo aver saputo della sua morte era stata certa che non sarebbe piùritornato.
Il nonno se n'era andato prima di lei e la consapevolezza che fosse rimastasola, anche se per poco più di sette mesi prima che anche lei lasciasse questomondo, la straziava.
Era uno dei suoi tanti rimpianti, il non essergli stata accanto.
Forse, anche in questo caso, la pasticceria l'aveva aiutata a superare ildolore della perdita e la solitudine.
Adesso più che mai voleva vederla.
Si mise subito all'opera per fare delle pulizie generali. L'elettricista l'aveva avvertita che sarebbe arrivato di lì a poco e quindi per ora dovevaaccontentarsi della luce del sole per occuparsi delle faccende.
Per l'acqua, fortunatamente, i suoi nonni avevano preventivamente fatto montareun serbatoio in un angolo protetto della cantina, collegato alla rete idraulicadi casa.
Certo decidere di vivere da sola, per giunta in un luogo completamente diversodal suo oltre che lontano, era un bel rischio ma, come si dice, chi non risicanon rosica.
Oltretutto ne aveva bisogno.
Sapeva che se fosse rimasta a Milano, il suo fidanzato avrebbe provato nelconvincerla a ritornare insieme e, diavolo, ci sarebbe anche riuscito.
Lorenzo, nonostante ciò che era successo l'ultima volta che si erano visti, eraun gran lavoratore, solo che proprio non riusciva a tenere i pantaloni abbottonati per più di un ora.
In fondo era anche un po' colpa sua, giacché era stata fin da subitoconsapevole di chi avesse di fronte.
Si erano conosciuti ad una delle feste aziendali, tre anni fa, e fin da subitol'aveva colpita per il suo modo quasi insistente di corteggiare, di chi sapeval'arte della seduzione.
E' innegabilmente un bell'uomo, con i suoi capelli chiari e occhi azzurri unitoa un sorriso affascinate, quindi non era stato difficile per lui conquistarla.
Ma più di una volta, in azienda, l'aveva intravisto flirtare con delle donnegiustificandosi con fatto che fosse un tipo molto socievole.
Sofia non si riteneva una stupida, forse un po' ingenua, ma non stupida. Illavoro le occupava moltissimo tempo e dopo la morte dei nonni era stataparecchio giù di morale, decidendo forse che le era più semplice fingere chetutto andasse bene. Ma quando l'aveva visto con la sua segretaria era ormaiinnegabile la realtà dei fatti.
E chissà quante realtà ci fossero state prima della segretaria, di cui lei nonera a conoscenza.
«Oh al diavolo» sbuffò, decidendo di darsi una pulita anche lei, sperando cosìdi togliersi di dosso, insieme alla polvere, anche i pensieri negativi.
Nella sua valigia c'erano anche dei pantaloni fortunatamente, anche se moltorigidi e che non le davano molta libertà di movimento. Sì, aveva decisamentebisogno di un guardaroba nuovo.
Ma prima di tutto doveva nutrirsi.
Ne avrebbe approfittato per fare un giro nel paese con la bici trovata incantina. Chissà se la guidava sua nonna, onestamente non ricordava molto degli hobby di quest'ultima.
La verità e che non ricordava molte cose di lei, pensò con tristezza, se non qualche memoria della sua infanzia e di come le avesse inculcato l'amore per idolci.
Ed era anche per questo che era lì, per ritrovare quei ricordi felici.
Uscì la bici all'esterno, respirando a pieni polmoni l'aria pulita del luogo.
Aria che di certo non trovi a Milano.
Monteferrante sorge su un colle roccioso, alla destra del fiume Sangro. Un luogo decisamente diverso ed estraneo al mondo moderno, ma col suo fascino.
Istintivamente il suo sguardo cadde sulla casa vicina, notando l'assenza del Pick-Up.
Bene, se n'era andato. Gli augurava di non tornare presto, sperando in unvicino più gentile e meno scorbutico dell'ospite.
Andare in bici era più complicato di quanto ricordasse.
Considerando che non pedalava da quando andava alle elementari e portassescarpe con tacco, ma quello era un piccolo dettaglio della sua vita.
Sua madre aveva da sempre inculcato in lei un certo modo di vestire e dato cheil suo lavoro le occupava parecchio tempo, le sue occasioni d'uscita all'ariaaperta erano decisamente rare.
«Ma da oggi cambia tutto!» Urlò per enfatizzare ancor di più le sue parole.
Raggiungo facilmente la piazza centrale del paese e si guardo un po' intornonotando diverse persone fissarla, sospette.
Scontato. Sofia si era aspettata una reazione del genere ed era pronta amostrarsi per ciò che era, un tipo socievole e solare.
Rivolse un sorriso a delle signore anziane che passarono proprio vicino a lei. «Buongiorno.»
Quest'ultime sgranarono gli occhi come se le avessi accusate di stregoneria,voltandosi immediatamente.
Oh, simpatiche!
Scese dalla bici, decisamente sollevata, guardandosi in giro e apprezzando latranquillità del luogo.
Vide al centro della piazza principale una fontanamonumentale di acqua minerale di libero accesso.
«Bene, adesso devo trovare del cibo» mormorò, come se fosse un mission impossibile.
Entrò dentro un piccolo bar, un po' datato, ma che comunque si adattava alluogo rustico.
Si avvicinò al bancone dando nel frattempo un occhiata al suo cellulare,notando diverse chiamate perse, quasi tutte della madre.
Donna eccessivamente apprensiva.
«Desidera?»
Sofia rivolse un sorriso all'uomo dietro al bancone, sulla quarantina e anch'esso non particolarmente colpito dal suo sguardo solare.
«Buongiorno! Mi sono trasferita qui da poche ore e devo dire che questo posto è davvero...»
«Desidera?» La interruppe lui, per niente desideroso di fare nuove amicizieevidentemente, come tutti in quel paese.
«Eeh, certo» rispose lei, per poi fissare un'altra volta il cellulare chel'avvertiva di diversi messaggi appena arrivati. Tutti da parte della madre.
«Sono abbastanza affamata e quindi sarò veloce, prenderò un panino di segale con tofu, al naturale mi raccomando, pomodoro, conditi con erbe aromatiche» mormorò distrattamente, scrivendo un messaggio alla madre.
«Non abbiamo tofu» pronunciò l'uomo, distraendola da ciò che stava facendo.
«Oh, okay. Allora del pane azzimo con spinaci e carote a julienne...»
«Non abbiamo neanche del pane azzimo, l'unico pane che può trovare qui è il tipico Abruzzese.» Il suo tono era duro e diffidente e il suo sguardo semprepiù corrucciato.
«Bene, come ho detto sono abbastanza affamata quindi prenderò qualsiasi cosa.Può consigliarmi?»
Sofia ci teneva a mostrare la sua gentilezza e positività. Infondo in futuro potrebbe diventare un suo cliente.
L'altro indicò dietro si sé dove era appeso alla parete un grande cartellonecon un menù ricco... nel vero senso della parola.
Tutti altamente super calorici!
«Non produciamo panini farciti, ma dei buoni piatti di pasta come maccheroni alla chitarra, rintrocilo con il sugo di pecora o il ragù di castrato...»
«Va bene così grazie» mormorò debolmente lei, sentendo l'acquolina alla bocca.
Sembrano tutti piatti così appetitosi, ma la sua dieta non le permetteva alcunosgarro.
Da anni seguiva uno stile di vita sano e poco calorico, a causa anche del suo lavoro poiché l'apparenza faceva di grande supporto.
E anche se aveva lasciato il lavoro, le sue radicali abitudini le impedivano di sgarrare.
Avrebbe fatto la spesa da qualche parte.
«Credo che lascerò perdere per oggi. Sa sono appena arrivata e ho mille cose dafare» spiegò aggiungendo una piccola risata che non guastava mai.
Risata che non colpì l'uomo, che la fissò con sguardo inespressivo.
«Bene, io... andrei» mormorò cominciando a indietreggiare.
Non appena uscì emise un profondo respiro, come se avesse affrontato una battaglia. Ed era solo metà giornata.
Prese la bici camminando in giro cercando un supermercato nelle vicinanze.
Fortunatamente alcuni paesani le diedero delle indicazione e ciò la rincuorò molto, poiché stava a significare che c'era gente gentile e disponibile in quel paese.
Trovò ben presto un mini market. Anche questo non era ben fornito, ma aveva fame e quindi prese quello che poteva andarle bene, tra cui delle mele molto succulenti.
Uscendo dal negozio il suo cellulare squillò, sentendosi sollevata quando vide il nome dell'elettricista e non quello della madre.
Rispose allegramente, ma fu una allegria temporanea. «Come ha detto?»
«Mi dispiace signora Vitali, ma a causa d'imprevisti dovrà aspettare fino adomani.»
«Ma, ma è ancora giorno e avrebbe tutto un pomeriggio a disposizione...» cercò disperatamente di convincerlo a venire, posando i sacchetti pesanti e allontanandosi di qualche passo.
«Monteferrante è un paese molto distante ed è impossibile raggiungerlo e lavorare agli impianti elettrici in mezza giornata. Non è certo un paese comune.»
Sì, sen'era resa conto, pensò Sofia amareggiata.
«E sentiamo come farò per stasera?»
«Mmh, potrebbe procurarsi delle candele, dovrebbe esserci un negozio vicino...»
Sofia non l'ascoltava più. Candele? Non sapeva neanche se ancora esistessero!
«L'aspetto domani, buona giornata.» Decise di chiudere lei, sapendo che non avrebbe resistito dal dirgli dove poteva mettere le sue candele.
Ritorno verso i suoi sacchetti di malumore e giù di morale, notando accanto a loro una bambina seduta sul marciapiedi.
Poteva avere all'incirca dieci anni, con capelli biondi corti, un po' più scuri dei suoi e uno sguardo annoiato e fissò di fronte a sé.
Poteva comprendere la sua noia. In un luogo del genere non c'era molti postidove divertirsi per dei bambini. Non aveva neanche preso in considerazione l'idea che potessero esserci dei bambini!
Ma in quel momento, la popolazione di minorenni in quel luogo, poco le importava, giacché aveva altre cose a cui pensare.
Come avrebbe cucinato e come avrebbe passato la notte senza corrente?
Per il cellulare aveva un caricabatteria portatile, ma anche quello non sarebbe durato molto.
Senza rendersene conto si sedette al fianco della bambina, con un sospiroesasperato e mettendo le mani sul viso.
Stava andando tutto storto ed era solo il primo giorno.
Si diede della stupida per essersene andata in modo così impulsivo senza informasi adeguatamente del luogo dove avrebbe abitato.
forse poteva ancora tornare indietro e rimediare alla sua scelta impulsiva,anche se l'idea non l'allettava per niente. Ma cosa poteva fare?
Si sentì picchettare sul braccio e Sofia alzò la testa lentamente, aspettandosiquasi il proprietario del mini market con una scopa in mano pronto a scacciarlaper intralcio al passaggio.
Fu sorpresa invece di trovare la mano tesa della bambina con un bel po' di caramelle in mano.
«Ne vuoi? Sembri aver bisogno di zuccheri» fu la pratica costatazione della piccola biondina, notando anche due occhi scuri e brillanti d'intelligenza.
Istintivamente Sofia ne prese una, ringraziandola e nello scartare notò che neaveva parecchie.
La caramella era ambrata e dall'odore non riuscì a identificare come fossefatta. Ma non appena la mise in bocca un esplosione di dolcezza e sapore lainvase.
«Sono al latte» costatò.
«Latte e miele, le mie preferite» volle precisare l'altra.
«Lo vedo» rispose Sofia, facendola sorridere. Il primo vero sorriso della giornata. «Ti piacciono i dolci?»
L'altra annuì. «Moltissimo. I dolci fanno sorridere e ti fanno stare meglio,non credi?» le domandò con tono sicuro, come se non ci fossero dubbi sulla risposta.
Sofia sentì il petto riscaldarsi inaspettatamente. «Hai assolutamente ragione» mormorò.
Vennero colte entrambe di sorpresa quando, quasi contemporaneamente i loro stomaco cominciò a brontolare rumorosamente, facendole ridere perl'imbarazzo e la situazione.
«Direi però che il nostro stomaco non è del tutto contento con delle caramelle» scherzò Sofia, avvicinandosi a uno dei suoi sacchetti e prendendone due mele. «Queste però potrebbero aiutarci.» Ne porse una alla bambina, che la prese ringraziandola.
«Dopo queste offerte di cibo, direi che possiamo cominciare a considerarci delle conoscenti, se non amiche» scherzò lei tra un morso e un altro.
«Hai ragione» mormorò con la bocca piena, sgranando subito dopo gli occhi,rendendosi conto dell'ineducato gesto. «Scusami e che sono davvero affamata» mormorò imbarazzata. «Mio padre si arrabbierebbe molto se venisse a saperlo.»
Sofia non riuscì a trattenere una risata. «Sta tranquilla, non dirò niente atuo padre. Anzi dovrei fargli i complimenti poiché sei davvero una bambinamatura e molto educata.»
«Tra pochi mesi compierò undici anni, non sono più una bambina.»
La donna trattene un sorriso spontaneo, alla reazione della bambina.
«Scusami hai ragione. Sei qui in visita?» chiese incuriosita.
L'altra la guardò, stupita dalla domanda. «Oh no, io abito a Monteferrante da circa sei anni.»
Sofia rimase stupita da quella risposta, poiché non si sarebbe mai aspettata che dei genitori potessero far vivere una bambina in luogo del genere. Non perché fosse male, anzi era decisamente un luogo sano al di fuori dello smog e ogni tipo di inquinamento, ma non era sicura che fosse giusto poiché non credeva ci fossero molte possibilità di svago per una bambina. Non credeva nemmeno che ci fossero per lei, diamine!
La bambina nel frattempo continuò a parlare, inconsapevole dei suoi pensieri. «Abito in fondo al paese, diciamo alla punta più alta del paese» disse indicando un punto in alto verso la strada.
«Cosa? Per caso la tua è quella grande casa al fianco di una decisamente più piccola e un po' malandata?» domandò Sofia, ritornando alla realtà.
Quando la bambina annuì, stupita, le venne dal ridere. «Che coincidenza! Quella casa malandata adesso è dove abiterò io. Sai era dei miei nonni» le spiegò,sotto lo sguardo, adesso stupito, di lei.
«Non ci credo! Sei la nipote di quella coppia di anziani così gentili?»
«Tu conoscevi i miei nonni?» Chiese, anche se era abbastanza ovvio dato cheerano vicini.
«Oh sì, la signora mi portava sempre dei dolcetti deliziosi. E stata lei per la prima volta a fami assaggiare le mie caramelle preferite» spiegò con occhi che esprimevano felicità e nostalgia a quei ricordi.
Ricordi che non appartenevano a Sofia.
Per un attimo ebbe come una stretta al petto. Di gelosia, si rese conto, poichélei si era potuta godere dei momenti gioiosi con i suoi nonni, mentre Sofia no.
«Sei stata molto fortunata» mormorò, scacciando i pensieri negativi come la gelosia, poiché poteva prendersela solo con se stessa.
«Oh, ma ancora non so il tuo nome, ne tu il mio!» scherzò, cercando diriprendersi e portando la conversazione lontano da dove stava andando. «Abbiamo parlato così tanto senza presentaci.» Sofia avvicinò la mano verso la bambina,come se fosse una adulta. «Io sono Sofia.»
La bambina le sorrise, felice del gesto della donna, avvicinando la sua mano. «Io sono...»
«Anna?»
Una terza voce, più rauca e decisamente mascolina, si frappose su di loro, rendendosi conto che non erano più sole.
Entrambe si voltarono, notando un uomo dall'altra parte della strada avvicinarsia loro, alle spalle l'ufficio poste.
«Oh, ooh» mormorò la piccola con un certa apprensione alzandosi in piede, seguita subito dopo da Sofia.
Quest'ultima fisso l'uomo che si avvicinava sempre di più increspando lafronte, nell'osservarlo, per poi sgranare gli occhi sconcertata riconoscendoquello sguardo corrucciato.
«Belle chiappe?»
«Cosa?» chiese la bambina, facendo diventare rossa d'imbarazzo Sofia,rendendosi conto di ciò che l'era scappato senza rendersene conto. «Oh... ecco...lo conosci?» balbettò a disagio.
«Oh sì, lui e...»
«Anna!» Adesso l'uomo, che si era nel frattempo avvicinato, guardò Sofia e essapoté comprendere che anche quest'ultimo l'aveva riconosciuta dal suo sguardo,prima sorpreso e poi con medesimo sconcerto.
«Quante volte ti ho detto che non voglio che ti avvicini agli sconosciuti?» la rimproverò l'uomo, per poi guardare accigliato Sofia. «Soprattutto se sono deipsicopatici.»
«Eh?» Sofia lo fissò offesa, dopo un attimo di esitazione al suo sguardo truce. «Non ci credo, osi ancora offendermi dopo il tuo comportamento? E poi che ci faiqui? Ti credevo ben lontana ormai...»
«Che coincidenza, lo speravo anch'io su di te» fu la brusca risposta di lui.
«Papà la conosci?» Chiese a quel punto la bambina, guardando entrambi stupita.
Non quanto Sofia a quelle parole.
Alzò con difficoltà un dito indice verso l'uomo. «Questo... questo è tuo padre?»
Non ci credeva, era impossibile! Surreale!
Non aveva già avuto fin troppe sorprese in un solo giorno?
Che bel benvenuto!
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