Capitolo 2

Sul serio, dov’era finita?
La giornata non poteva essere più surreale di così.
I suoi nonni le avevano proprio fatto un bello scherzetto, donandole la loro casa e la pasticceria, in quel paese dimenticato da tutti. Con l’aggiunta, scopriva anche un vicino odioso!
Sofia non si capacitava. «Ciò vuol dire che tu sei il proprietario di quell’enorme casa vicino alla mia?» Domandò Sofia, per essere sicura che il suo incubo fosse davvero reale.
L’uomo la fissò infastidito, dando in evidenza il fatto che neanche lui fosse contento di quella rivelazione.  Almeno erano d’accordo su una cosa.
«Già» mormorò appena «e immagino tu sia la mia nuova vicina. Avrei dovuto capirlo da tante cose.» Il suo sguardo cadde sul suo vestiario e Sofia si trattenne dal muovere una mano, precisamente il dito medio,  per poi avvicinarsi a quest’ultimi.
La bambina, ovviamente spaesata dai loro commenti, fissò il padre. «Papà, hai già conosciuto Sofia?»
L’uomo non sembrò contento dal fatto che la figlia la chiamasse per nome. «Non esattamente e comunque non voglio che ti rivolga in quel modo alla signora… anzi non parlarle proprio» specificò, fissando Sofia con scetticismo.
«Stai dicendo che sono una donna pericolosa o qualcosa del genere?» Sofia non credeva alle sue orecchie.
«No, sto dicendo che una donna sopra un tetto con un abbigliamento da ufficio è decisamente da considerare un pericolo per la società» precisò lui.
Sofia stava per replicare ma lui glielo impedì giacché fece dietrofront, allontanandosi verso il suo Pick-up.
«Anna saluta la signora e poi vieni in macchina» le raccomandò, per poi andarsene. Di nuovo!
Ma chi si credeva di essere? Pensò Sofia più che mai infastidita da quel suo atteggiamento arrogante e presuntuoso.
«Mi dispiace per mio padre. Solitamente non è mai così scorbutico con la gente.» La voce della bambina s’inoltrò attraverso la nebbia di rabbia davanti ai suoi occhi, facendo un respiro profondo per calmarsi.
«Non preoccuparti, non è colpa tua. Semplicemente io e tuo padre ci siamo conosciuti in circostanze particolari, ma non per questo non potremo avere un rapporto civile da buoni vicini… col tempo» volle chiarire all’ultimo secondo la donna.
Quelle parole servirono allo scopo e Anna sembrò più serena. «Ne sono sicura. Magari diventerete amici. Adesso devo andare, ci vediamo in giro Sofia e grazie per la mela.»
Quest’ultima si limitò a sorriderle e alzare la mano per salutarla.
Magari diventerete amici
«Nemmeno morta» borbottò a voce abbastanza alta perché una signora, che stava proprio in quel momento passandole al fianco, la sentisse facendole sgranare gli occhi e allontanarsi velocemente da lei.
Sofia imprecò sonoramente, mandando maledizioni a non finire a quell’uomo, mentre con la sua bici partiva verso casa.
Non appena arrivò era ormai con il fiatone.
Non era mai stata molto atletica ma di certo risalire verso casa, in un luogo come Monteferrante, sarebbe stato difficile per qualsiasi individuo.
Prese la sua spesa dirigendosi verso l’entrata, ma l’occhio le cadde istintivamente verso la casa del suo vicino, dove riconobbe il suo mezzo di trasporto.
Istintivamente increspò la fronte, nel ricordare l’atteggiamento di dell'individuo  in ognuno dei loro incontri. Come poteva un tipo tanto odioso avere una bambina deliziosa, come Anna, per figlia?
Venne colta di sorpresa, allorché pensò a qualcosa di tanto ovvio, ma che non aveva precedentemente analizzato.
Anna doveva avere una madre e quindi essere la moglie di Bel culetto. Sì, avrebbe continuato a chiamarlo così, dato che altri nomignoli in mente per l’uomo erano  decisamente meno “carini”.
«Mi dispiace per quella donna, se deve tollerare un uomo del genere per la vita!» esclamò con esagerato sgomento.
Dovette davvero illuminare la casa con delle candele e anche se l’effetto era magico e romantico, a Sofia veniva voglia urlare.
Come poteva aspettare fino a domani?
No, aveva decisamente bisogno di sentire una voce amica per sopportare tutto ciò.
Come a invocare, il telefono cominciò a squillare e Sofia corse a prenderlo felice. Una felicità che durò ben poco non appena vide il nome della madre.
«Non adesso» disse secca, lasciandolo squillare invano.
Conoscendola avrebbe cominciato con le sue chiacchiere sul perché avesse fatto una scelta sbagliata e del fatto di dover tornare immediatamente a casa.
In quel momento non aveva le forze per fingere che tutto andasse bene.
Sua madre doveva aver compreso che non c’erano speranze che lei rispondesse, perché poco dopo rinunciò.
Sapeva di essere una cattiva figlia, ma se non voleva peggiorare la sua condotta doveva assolutamente parlare con la sua amica, che rispose al secondo squillo.
«Finalmente hai chiamato, razza di stronza!»
Sì, proprio quello di cui aveva più bisogno.
«Ciao anche a te Alessia.»
«Non prendermi per il culo e dammi una sola ragione del perché non hai preso quel dannato cellulare e chiamato la tua amica. Sai quanto sono stata preoccupata…»
mentre sentiva la sfuriata, Sofia si accinse a scattare una foto dentro casa per poi mandarla a quest’ultima.
«Ti basta questa come risposta?»
Alessia s’interruppe, avendo probabilmente notato la notifica.
«Ma che diavolo…»
«Sì, lo so» la fermò l’altra.
«Come mai la tua casa è illuminata dalle candele? Credevo che fossi andata ad abitare in un paesino, no che avessi preso la macchina del tempo verso il Medioevo.»
«Ti avverto, c’è molto da raccontare» l’avvisò Sofia.
«Oh bene, non ho nulla da fare il venerdì sera.»
Le raccontò ogni singolo particolare, una chiamata che durò un’ora.
Il racconto iniziò dall’incontro con l’odioso, fino alla scoperta che l’odioso fosse il suo nuovo vicino.
Benedetti i caricabatteria portatili!
«E adesso, non solo sono senza elettricità, ma la gente sembra avere paura di me e non ho neanche visto ancora la pasticceria di mia nonna» concluse, sedendosi poi su una poltrona del piccolo salottino, senza fiato.
«Mmh… e dimmi Bel culetto è carino?»
Sofia allontanò il cellulare per poi fissarlo, desiderando di avere di fronte la sua amica per darle una sonora testata.
«Dopo tutte le disavventure raccontate, pensi al mio vicino?»
«Tesoro dobbiamo cercare almeno una cosa buona in questa storia e lui sembra averla» la voce di Alessia era assolutamente pacata e serafica che contribuì solo a far innervosire maggiormente Sofia. «Ti assicuro che non c’è niente da cercare in quel tizio, tanto meno di buono. E per favore non usare il “tesoro” con me, non ti si addice.»
«E’ vero» ammise Alessia. «Ma ho pensato che lui…»
«E’ sposato» la fermò subito l’altra, facendola zittire. Solo per qualche secondo.
«Come lo sai?»
«Ha una figlia.»
«Questa non è una conferma» ribatté l’altra, ostinata. «Aveva la fede?»
Sofia rimase in silenzio, rendendosi conto di non averci effettivamente fatto caso.
«Non hai guardato» intuì l’altra senza bisogno di sentire le sue parole.
Sofia sbuffò, alzandosi dalla poltrona. «No, non ho guardato, ma che importa? E’ un tipo odioso, arrogante e presuntuoso. Tutte cose che lo rendono adatto per mandarlo nella classifica No, grazie
«No, non essere così dura. Mettilo in Da considerare.»
«Non lo merita per niente» obbiettò inflessibile, Sofia.
Lei e Alessia si conoscevano da moltissimi anni e anche se avevano perlopiù  pensieri e opinioni opposti, in qualche modo la loro amicizia era diventata più solida che mai.
Su una cosa erano d’accordissimo: gli uomini.
Prima che lei si fidanzasse, Sofia e Alessia avevano inventato un loro modo di classificare gli uomini che conoscevano, suddividendoli in tre categorie.
- No, grazie 
-Da considerare
- Assolutamente scopabile
Purtroppo per quest’ultima, era stata nominata ben poche volte dalle due ed era convinta, a giudicare dalla sua nuova casa, che avrebbe atteso ancora un bel po’.
«Beh, io sono del parere vedere per credere, quindi giudicherò non appena verrò a trovarti.»
«Oh» mormorò Sofia, guardandosi intorno, nel suo immenso caos «spero per te, tra qualche mese.»
Poi diede un’occhiata alla schermata dove la batteria era decisamente bassa.
«Ti devo salutare o sarò ben presto fuori dal mondo moderno, in tutti i sensi.»
«Ricevuto. A domani… spero.»
Sofia chiuse la chiamata sentendomi leggermente meglio. Sentire una voce amica le aveva fatto bene.
Si guardò intorno, nella sua casetta illuminata dalle candele.
«Immagino che prepararmi un caffè sia inattuabile» commentò con desolazione.
Alla fine si prese un bicchiere d’acqua e uscì fuori, sedendosi sull’altalena da giardino.
«Faremo finta che tu sia una bella tazza di caffè bollente» disse guardando il bicchiere, come se potesse capirla. Bene, la solitudine stava avendo già degli effetti concreti su di lei.
Il suo sguardo cadde sulla casa del vicino, dove vide ancora delle luci illuminate. Mai avrebbe immaginato di poter guardare le luci di una casa con tanto desiderio.
Fece un sospiro guardando verso il cielo completamente libero da nuvole e vasto di stelle.
«Domani è un altro giorno.»

«Papà oggi eri decisamente strano.»
Marco Rossini, distolse lo sguardo dalla sua corrispondenza per rivolgere la sua attenzione alla figlia, che avrebbe già dovuto essere a letto da più di un’ora, in piedi all’entrata del loro salone.
«Come dici scusa?»
«Mi hai sentito bene papà, oggi non eri in te.» Il suo sguardo, così simile a quello dell’uomo, non sembrava lasciargli scampo.
«Perché ho l’impressione di sentirmi nei guai?» domandò Marco, cercando di mantenere un espressione seria, sapendo che sua figlia se la sarebbe presa. Per quanto avesse solo dieci anni era una bambina sveglia e perspicace. Non lo sorprese dunque quella domanda, notando delle anomalie in lui.
«Sofia sembra una signora gentile e tu ti sei rivolto a lei in modo sgarbato.»
Marco trattenne un sorriso, pensando che se quella donna l’avesse sentita pronunciare la parola signora in sua presenza, di sicuro non l’avrebbe presa bene.
Effettivamente non era da lui avere dei modi sgarbati con la gente, anzi solitamente cercava di non aver a che fare con nessuno, quindi il problema non sussisteva.
Si era trasferito in quel paesino per delle ragioni particolari e vivere cercando di socializzare il meno possibile era una di quelle.
Ma avendo una figlia non era semplice, quindi aveva cercato di mantenere un rapporto civile con i paesani del luogo, senza legare con nessuno in particolar modo.
Ma adesso la situazione rischiava di complicarsi.
Nel frattempo, Anna non sembrava volergli lasciare scampo, infatti continuava a fargli la sua ramanzina, indipendentemente se la stesse ascoltando. «Cioè, so che non sei un tipo da chiacchiere, un solitario, taciturno e forse anche… »
«Okay, okay sei stata chiara» cercò di fermarlo l’uomo.
«…bizzoso» concluse la figlia, sotto il suo sguardo allibito.
«Bizzoso? Dove hai imparato a…»
«Libri. Mi piace imparare parole nuove» lo informò con disinvoltura, portando Marco a trattenersi con difficoltà dal ridere, suo malgrado.
Si alzò, avvicinandosi a sua figlia. «Bene, adesso che abbiamo confermato il mio essere eremita, è arrivato il momento di andare a dormire» annunciò, provando ad usare un tono autoritario.
Ma fortunatamente sua figlia era una bambina giudiziosa e non si oppose, salendo le scale.
Quando arrivò in cima si voltò verso di lui, con uno sguardo ostinato. «Ti scuserai con lei?»
Rendendosi conto che non sarebbe riuscito a farle dimenticare quella questione, Marco emise un respiro profondo prima di rispondere a denti stretti un «Sì.»
Soddisfatta, Anna gli rivolse un sorriso dolce. «Sei sempre così oculato, papà. Buonanotte!» gli augurò, andandosene velocemente nella sua stanza.
«Ricordami di controllare le tue letture» le urlò, non ricevendo ovviamente risposte dalla figlia.
Ritornò in sala con un umore decisamente migliore. Era sempre così da quando sua figlia era nata. L’unico raggio di luce nel buio.
Si diresse verso la finestra, dove poteva vedere la casa della sua nuova vicina.
Onestamente non era per niente felice di avere un nuovo vicino. Non aveva sbagliato Anna, dicendogli che era diventato un … bizzoso. Ma era necessario.
Ogni cosa che faceva era solo e solamente per il bene di Anna.
I suoi vecchi vicini erano persone anziane e per giunta discreti, per niente interessati a intromettersi più del necessario nella sua vita, cosa che lo incuorò moltissimo, tranquillizzandolo.
Ma poteva dire la stessa cosa di quella donna? Fin’ora la sua opinione su di lei non era proprio lusinghiera.
Vide l’oggetto dei suoi pensieri uscire da casa sua in quel momento, sedendosi sul’altalena da giardino. Istintivamente la osservò più del dovuto.
Fin da subito si era accorto di avere come vicina una donna molto piacente e anche se l’aveva presa in giro sull’età a causa anche del suo abbigliamento severo, era innegabile che fosse anche più giovane di lui di qualche anno.
In quel momento il suo abbigliamento era tutto tranne che castigato, con quello che doveva essere il suo pigiama con varie fantasie. Notò i suoi capelli biondi scendere fino a metà schiena, adesso non più in disordine come prima.
Anche se di profilo, da dove si trovava lui, poteva benissimo riconoscere l’espressione della donna.
Il suo viso emanava disorientamento, turbamento e sensazione di essere… sola.
Quelle caratteristiche le conosceva bene. A suo tempo, le aveva vissute sulla sua pelle.
Adesso, pensò mentre si allontanava dalla finestra, altri sentimenti affliggevano la sua mente e se non voleva rischiare distrazioni, avrebbe scacciato ogni pericolo gli si fosse postato davanti.
Nessuna eccezione.

Sofia si svegliò di malumore.
A causa della mancanza di tende nella camera degli ospiti, i raggi del sole colpirono i suoi occhi senza pietà.
Aggiungere delle tende, tra le faccende da fare in casa.
Non aveva l’elettricità, quindi non aveva niente di fresco e il frigorifero era vuoto, era affamata.
Una donna affamata era decisamente pericolosa.
Dopo essersi data una lavata, si vestì con un pantalone e una camicia. Dava ancora l’impressione di una donna d’ufficio, ma a quello ci avrebbe pensato in un altro momento. 
Uscì da casa sentendo ancora una volta una sensazione piacevole nel respirare l’aria pulita e profumata del luogo. Forse era questo che le impediva di scappare ancora.
Raggiunse la sua bici ferma nella staccionata, rischiano quasi di rompersi una caviglia quando, grazie alle sue scarpe col tacco, inciampò saltellando cercando di non cadere, crollando sulla staccionata.
«Merda! Dannate scarpe, maledetto terreno instabile, brutto…»
«Buongiorno Sofia!»
Quest’ultima quasi rischiò di strozzarsi, nel trattenere le parole, riconoscendo la voce della sua piccola vicina.
Si voltò verso Anna, cercando di mostrarle un sorriso. «Hey Anna! Buongiorno a te» emise cercando di mettere entusiasmo nella sua voce.
Anna la fissò confusa. «Stai bene?»
Sofia cercò di mostrare uno sguardo innocente, portandosi in posizione eretta. «Ovviamente sì. Tu non dovresti andare a scuola?» Fortunatamente non si era fatta male, grazie anche alla staccionata, e poté voltarsi verso la ragazza con disinvoltura.
«E’ sabato, non c’è scuola» rispose distrattamente, continuando a squadrarla.
«Che fortuna.» Sofia ebbe la sensazione che non sarebbe stato facile ingannare Anna, in futuro. Ma per ora sembrava essersi convinta delle sue parole.
Il suono di un messaggio del suo cellulare, fu la distrazione che Sofia cercava, ancor più nel sapere chi fosse.
«Ah! L’elettricista, finalmente mi dirà che sta per arrivare…» il suo entusiasmo scemò all’istante allorché lo lesse.

Siamo spiacenti, non potremmo raggiungerla oggi, a causa

Non lesse il seguito. Non poteva importagliene di meno dei motivi sulla loro assenza per l’ennesima volta.
«Non possono farmi questo» mormorò dando le spalle a Anna e chiamandoli immediatamente, mantenendo la calma a stento.
Una voce già registrata, fu tutto quello che Sofia sentì.
«L’hanno fatto a posta, brutti bastardi!»  Urlò, scalciando un sassolino con rabbia, causando una nuvola di polvere.
«Non credo di aver mai sentito quella parola, cosa significa?»
Sofia sussultò, rendendosi conto di essere ancora in compagnia di una bambina. Si voltò verso di lei a disagio, cercando di farsi venire un' idea all’istante.
«Ecco… ci sono delle parole che, come ogni cosa, hanno un età precise per dirle…»
«Quindi mi stai dicendo che al mio prossimo compleanno sarò abbastanza adulta per dirlo?» concluse Anna, per lei.
«Sì, no!» Sofia gemette interiormente. Fu distratta ancora una volta dal suo cellulare, ma anche questa volta non era un buon segno. Il suo  povero cellulare stava per morire e lei si sarebbe ritrovata completamente fuori dal mondo.
Anna si avvicinò a lei, dando un occhiata allo schermo.
«Dovresti caricare il tuo cellulare.»
Che grande idea!
«Già, ma purtroppo sono senza elettricità da due giorni ormai e l’elettricista non sembra intenzionato a venire.»
Anna le lanciò uno sguardo tra il sorpreso e il dispiaciuto.
A Sofia venne quasi da piangere. Finalmente qualcuno che comprendesse la sua situazione!
Vide la bambina mettere le mani in crociate al petto, con uno sguardo riflessivo che le ricordò tanto il padre.
«Io non ho un cellulare, ma mio padre sì, potrebbe prestarti il suo caricabatteria.»
Sofia si trattenne a stento di fare un sorriso di scherno. Neanche tra mille anni, o fosse l’unico uomo sulla terra, si sarebbe fatta aiutare da quell’uomo odioso.
«Non preoccuparti Anna. Non avendo l’elettricità dovrei usufruire di casa vostra e non voglio assolutamente disturbare.»
Anna fece per ribattere, ma lei alzò una mano per fermarla per poi avvicinarsi alla sua, diciamo, bici. «In qualche modo me la caverò. Per prima cosa andrò a ricaricare il mio corpo.»
«Ma io vorrei fare di più» protestò l’altra, vedendola salire sulla bici.
«Hai già fatto tanto» la rassicurò Sofia, rivolgendole un sorriso dolce, sistemandosi come poteva nello scomodo sedile e allo stesso tempo assicurarsi di non strozzarsi con la tracolla della sua borsa.
«E sarebbe?» Anna la fissò perplessa, non comprendendo.
Pronta per partire, si fa per dire, Sofia le lanciò uno sguardo rassicurante.
«Mi hai rivolto la parola con gentilezza. Questo è davvero tanto per me»
Avrebbe voluto aggiungere che così si sentiva meno sola, ma suonava pateticamente deprimente persino nella sua mente, quindi la salutò pedalando verso il paese.
A corto di energie, raggiunse il centro con il fiatone.
Ma nonostante la fame, non aveva per niente intenzione di entrare nello stesso bar dell’ultima volta. Il proprietario aveva bene in chiaro inteso che non provava simpatia per lei.
Le possibilità erano due. Andare alla ricerca di un bar, sprecando energie e rischiare uno svenimento, o andare al market.
Decise di optare per quest’ultima.
Nel pedalare verso il negozio, i suoi occhi caddero su una insegna in legno rustico appesa in alto al muro, con su scritto “Al Ritrovo”.
Incuriosita, Sofia si avvicinò, fermandosi di fronte.
L’esterno era composta da una grande porta in legno e una vetrata, dove si avvicinò lasciando la bici dietro di lei, per dare un’occhiata all’interno.
Vide diversi tavoli e sedie, con lo stesso materiale in legno, spezzato solo dalle pareti in pietra chiara che davano un impatto fresco e moderno all’ambiente.
Non ne era sicura, ma Sofia avrebbe giurato fosse un…
«Buongiorno!»
Sofia emise un urlo soffocato a malapena con le mani, voltandosi di scatto verso colui che aveva parlato. Si trovò davanti un enorme ragazzone di circa due metri come minimo, dai capelli rossi e spalle enormi.
«Mi dispiace di averla spaventata» il suo sguardo chiaro sembrava trasmettere sincero dispiacere. «L’ho vista praticamente col viso premuto al vetro e pensavo fosse interessata ad entrare.»
Sofia cercò di riprendere fiato, notando che l’uomo non sembrava avere cattive intenzioni.
«Mi perdoni, sono stata io la maleducata. Pensò di aver perso un battito… anche due» scherzò col suo solito humour che le apparteneva da sempre, rimanendo piacevolmente sorpresa allorché lui rise invece di mostrarle uno sguardo diffidente. Ormai ci stava prendendo l’abitudine.
«Come ho detto non era mia intenzione, ma per farmi perdonare che ne direbbe di entrare, potrei offrirle qualcosa.»
Solo dopo qualche secondo Sofia si rese conto che stava parlando dell' edificio dietro di lei.
«Oh, non è necessario!» si oppose immediatamente lei, notando solo adesso che l’uomo teneva con un braccio una piccola cassa sulla spalla contenente dei barattoli di vetro.
Che fosse il proprietario? Non poté evitare di pensare lei, mentre l’uomo faceva qualche passo verso l’ingresso.
«Insisto, sarà anche un modo per conoscere la straniera.»
«Straniera?» domandò perplessa, decidendo infine di entrare con lui. Non appena varcò la soglia ebbe la stessa impressione positiva, avuta all’esterno.
«Benvenuta Al Ritrovo, il nostro piccolo pub» le presentò con orgoglio, l’uomo.
Un pub, pensò stupita la donna, mentre si guardava intorno. Certo non era come i pub di sua conoscenza, con mobili moderni e alla moda. Ma nonostante ciò aveva un suo perché.
«Comunque straniera è il nostro modo di chiamare la gente che viene a Monteferrante. Come penso ha compreso è un paese particolare» la informò, mettendo la cassa sul bancone.
«Già, me ne sono accorta» non poté trattenersi dal fare dell’ironia Sofia, sollevando le spalle, per poi irrigidirsi d’imbarazzo allorché senti lo stomaco brontolare rumorosamente.
L’uomo le sorrise con comprensione, non aumentando il suo imbarazzo. «Come promesso, le preparo immediatamente qualcosa, nel frattempo si accomodi in un tavolo.»
«Aspetti» lo fermò Sofia, prima che scomparisse dietro una porta «non mi sono ancora presentata e per giunta ci diamo del lei, quando è evidente che abbiamo all’incirca la stessa età… anche se il mio abbigliamento fa pensare il contrario» commentò alla fine sorridendo imbarazzata.
L’uomo, ad un primo sguardo stupito, sembrò apprezzare le sue parole, allorché le prese la mano fra le sue enormi e scuotendola con energia. «Assolutamente sì! Io sono Biagio Bossi.» 
Sofia poggiò l’altra mano sulla sua per fermarlo, prima che le staccasse un braccio. «Bene, io sono Sofia Vitali, trasferita qui da qualche giorno.»
«Come avrai già capito, tutti qui sanno chi sei e devo dire che siamo piacevolmente sorpresi di vedere una donna giovane e di bell'aspetto» la lusingò.
L’altra fece un sospiro a posta rumoroso, guardandolo con occhi dolci. «E’ così bello sentire delle parole gentili e lusinghiere, anche se del tutto false» scherzò, allorché si rendeva conto di non essere al massimo, col suo abbigliamento e lo stress accumulato in quei giorni. Ma comunque in un momento del genere, qualsiasi complimento era bene accetto, anche se finti.
«Direi che hai proprio bisogno di mangiare qualcosa, sei proprio giù di morale» commentò Biagio divertito, andando dentro, suppose, la cucina. «Torno subito!»
Sofia ne approfittò per guardarsi ancora una volta intorno. I suoi occhi si sgranarono, piacevolmente sorpresi, notando dei piccoli fiori arredare ogni tavolo del pub.
Erano piccoli e essenziali, ma adatti all’arredo, di forma a campana e con un colore indefinito poiché sembrava andare tra il viola e il blu.
«Sei bellissima» non poté trattenersi, toccandola lievemente con un dito.
«E tu chi sei?»
Per l’ennesima volta, Sofia rischiò un infarto ed era certa che se non fosse morta quel giorno, sarebbe diventata immortale.
Si voltò verso la porta notando immediatamente una donna bellissima, dai capelli dal taglio semi corto neri e con le punte viola. I suoi occhi scuri sembravano linciarla sul posto e Sofia pensò che la donna non avrebbe esitato a stenderla con un pugno.
«Allora? Chi sei?» le ridomandò quest’ultima con ancora più aggressività.
«Ecco io sono…» cercò di riprendere parola e spiegare la situazione.
«Lena che succede?» Una terza voce s’inoltrò e Sofia notò alle spalle della donna un adolescente dai capelli biondissimi e anche lui con qualche ciocca colorata viola. Che fosse la moda di quel paese?
La donna, che suppose si chiamasse Lena, mise le mani sui fianchi fasciati da dei jeans aderenti, continuando a tenerla d’occhio. «Sembra che siamo in presenza di una ladra» commentò, sotto lo sguardo scioccato di Sofia. «Che cosa? No! Io non sono una ladra…»
«Allora sai parlare, cominciavo a dubitarne.» La vide avvicinarsi a lei con fare minaccioso, trovandosela ad un palmo di naso.
«Ti avverto se hai rubato qualcosa, ti trasformerò quel bel visino così tanto che neanche tua madre ti riconoscerà.»
Okay, questo era troppo! Quanto a lungo una donna poteva essere insultata e minacciata in questo paese?
Bene nel suo era già arrivata al limite!
«Stammi a sentire, non so chi ti credi di essere, ma sono qui da soli due giorni e ho già avuto il mio benvenuto!» Sofia sentiva il petto infuocarsi, come se non avesse aspettato altro che una scintilla per esplodere.
«Non ho corrente elettrica da quando sono qui, gestisco l’acqua rimanente, non faccio un pasto decente perché l’ultima volta che sono entrata in un bar sono stata trattata come una delinquente e con la gente che mi guardava come tale. Per non parlare del mio vicino! Ho dovuto sacrificare le mie migliori scarpe per attirare la sua attenzione affinché potesse soccorrermi dal tetto di una casa in distruzione. Accidenti, sai quanto costano delle scarpe di vera pelle?»
Il silenzio rimase sovrano per qualche secondo anche dopo quello sfogo, con lo sguardo dei due sconosciuti sgranati, mentre Sofia riprendeva fiato.
«Vedo che avete conosciuto la straniera.»
La voce allegra di Biagio interruppe il silenzio, uscendo dalla cucina con un vassoio in mano. «O dovrei dire Sofia Vitali. Prego» la invitò a sedersi, poggiando il vassoio su un tavolo.
Quest’ultima  ritornò in sé, rendendosi conto di cosa aveva appena fatto. Una crisi di nervi senza precedenti, pensò fissando l’altra donna che era rimasta in silenzio, con timore. «Mi dispiace, solitamente io sono un tipo…» s’interruppe vedendo la sua mano alzarsi.
«Va bene» disse la donna di nome Lena, in tono inespressivo, andando verso il bancone sotto lo sguardo divertito di Biagio.
«E tu cos’hai da guardare? Razza di gigante rosso» lo linciò con lo sguardo la donna, entrando in cucina.
Sofia, mentre sedeva davanti al vassoio ben fornito di varie leccornie, non sapeva se essere più stupita dal suo sfogo o dell’avere ancora un viso non tumefatto.
Oh beh, se doveva pensarci, tanto valeva nutrirsi, pensò mentre prendeva uno dei piccoli panini con un ripieno al formaggio e qualcos’altro non ancora identificato.
Ma non appena lo assaggiò, capì che non gli importava perché le sue papille gustative stavano danzando felici.
Stava quasi per gemere di piacere, ma quel gemito rimase sulla gola notando gli occhi neri del biondino adolescente fissi su di lei. Non era certo piacevole avere un orgasmo di sapori con qualcuno che non smetteva di fissarti.
«Posso aiutarti?» chiese con calma, opposta all’altro allorché sbatté le mani sul tavolo con energia. «Assolutamente sì!» le urlò quasi, super eccitato. «Per prima cosa dimmi, da dove vieni?»
«Eehm… da Milano…»
«Assolutamente fantastico!» Urlò il ragazzino, sollevando le braccia in segno di vittoria.
Davvero, cos’avevano la gente di quel paese?
Istintivamente lo sguardo di Sofia cadde sul panino che aveva in mano e, a malincuore, lo riposò sul vassoio.
«Sta tranquilla Sofia» intervenne ancora una volta, Biagio «Crist è un fanatico della moda e del mondo fuori da Monteferrante» spiegò, sotto lo sguardo infastidito dell’adolescente.
«Non sono fanatico» si difese quest’ultimo «e che amo le città dove sia normale la tecnologia come i cellulari, che c’è di male?»
Nel sentire la parola cellulare, a Sofia venne in mente uno dei suoi tanti problemi. «Biagio, mi chiedevo se fosse possibile fare una resurrezione» mormorò prendendolo dalla sua tracolla e mostrandoglielo.
Biagio non si fece pregare e prese immediatamente il cellulare e il suo caricabatteria. «Me ne occupo io, tu finisci pure» e così dicendo si allontanò.
Sentendosi meglio, riprese il suo panino pronta ad addentarlo, ma s’interruppe a metà procedimento allorché lo sguardo di Crist non lasciava mai il suo. Okay…
«Che ne dici…Crist, se ti raccontò qualcosa di Milano, non appena termino qui?»
Sofia si sentì quasi una persona migliore, nel notare lo sguardo felice del ragazzino. «Sarebbe grandioso!»
«Ottimo» mormorò lei, lanciandogli dopo uno sguardo obliquo, che finalmente  il ragazzino afferrò.
«Oh… certo, vado ad asciugare i bicchieri» disse dirigendosi verso il bancone, insieme a Biagio.
Quindi lavoravano insieme, suppose incuriosita. Che strano trio!
Di nuovo rilassata si concentrò sulla sua non ordinaria colazione. Il suo sguardo cadde come una calamita sui fiori addobbati sul tavolo.
«Avete davvero un buon gusto in fatto di fiori» si complimentò con i due.
Biagio segui lo sguardo della donna. «Oh grazie, ma noi non c’entriamo nulla. Abbiamo un botanico che si occupa di quasi tutti i negozi e ristoranti per decorare con fiori e piante le stanze» spiegò «Oltre ad essere un esperto di piante ha anche buon gusto e ha pensato che, dato il periodo quei fiori fossero adatti per il pub, poiché occupano poco lavoro e hanno bisogno di pochissima luce.»
Sofia guardò se possibile con più interesse i fiori. Un uomo con un tale amore per la natura, da conoscerne ogni suo aspetto, doveva essere una persona con un’anima profonda. Probabilmente era un anziano signorotto di compagnia. Riusciva proprio a immaginarselo.
Continuò il suo pasto con l’umore molto più alto, rispetto a quando era arrivata.
Poco dopo la porta si aprì, ma Sofia non si diede pena di girarsi presa com’era a nutrirsi con verdure di stagione fresche.
«Buongiorno ragazzi, sono venuto a portarvi le ultime piante richieste.»
Sofia rischiò di soffocare con una carotina, tossendo in modo rumoroso e decisamente poco femminile.
Avrebbe riconosciuto quella voce anche in mezzo a una folla. Si voltò, incrociando per l’ennesima volta, in tre giorni di fila, lo sguardo di Bel culetto.
Al diavolo la sua fissazione per gli anzianotti!

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