13.
Mi portò successivamente dei pantaloni, alquanto larghi, ma ritrovarmi nuovamente addosso dei vestiti comodi e caldi era ciò che mi serviva.
Mi fece accomodare sul divano, la situazione era abbastanza strana: non ci conoscevamo affatto e forse non volevamo neanche conoscerci, ma mi stava aiutando comunque.
Presi il telefono e mandai un messaggio a Nora ed Amalia per sapere se stessero bene e dissi loro che sarei tornata non appena avrebbe smesso di piovere.
«Ti ringrazio, sul serio»
Dissi per la centesima volta.
«Non devi, non ho fatto nulla di ché»
«Non eri obbligato ad aiutarmi, ma lo hai fatto, quindi devo»
«Allora prego, è stato un piacere»
Rispose infine lui...
«Comunque ti capisco...»
Disse improvvisamente, lo guardai confusa.
«Hai detto di aver paura e ti capisco, non ti stavi riferendo a me, ma anche io mi comporto allo stesso modo: non permetto agli altri di avvicinarsi per evitare che un giorno se ne vadano e automaticamente per evitare di soffrire, e ti chiedo scusa per aver reagito il quel modo»
Disse guardandomi negli occhi, lo capivo.
«Sai... Non permettere a noi stessi di affezionarci forse è la via che ci procurerà meno dolore, ma al contempo non ci porterà ad essere felici e credo che forse sia meglio essere tristi per quel breve periodo a causa di qualcosa che ne è valso la pena, che abbiamo vissuto al massimo, senza rimpianti, invece di essere tristi per sempre per qualcosa mai iniziato.
Altrimenti passeremo la vita a chiederci "Come sarebbe andata se...?"»
Dissi abbassando lo sguardo.
Guardai le mie mani, le mie braccia e pensai a quante cicatrici si nascondessero oltre quei vestiti, dietro quel sorriso, dietro quella voglia di dimostrarsi sempre forte.
Pensai a quante volte mi ero chiesta come sarebbe andata se avessi fatto certe scelte o se non le avessi fatte.
Avevo perso tante cose, molte delle quali avevo deciso io di perderle perché ero spaventata.
Una lacrima mi bagnò il viso, per la prima volta non mi sentivo in dovere a trattenermi dal non piangere davanti a qualcuno, non mi sentivo giudicata, non vedevo la pena nei suoi occhi.
«Stai bene?»
Mi chiese ed io sentii un dolore al petto.
Non riuscii a rispondere, cadde un'altra lacrima, chiusi gli occhi.
«Posso avvicinarmi?»
Lo sentii dire, feci di sì con la testa.
Un'altra lacrima stava per bagnarmi il viso, ma prima che accadesse sentii il calore di una mano toccarmi la guancia, sussultai leggermente, mi asciugò le lacrime.
«Apri gli occhi... Qualsiasi cosa tu stia passando sei più forte di quanto pensi, devi affrontare a testa alta le tue emozioni»
Aprii gli occhi, lo guardai e per la prima volta mi resi conto di quanto i suoi occhi fossero magnetici, ti ci perdevi dentro e chissà quante cose cose vi erano oltre essi, e per la prima volta sentii il desiderio di scoprirlo.
Sorrise delicatamente e pian piano si allontanò nuovamente.
Iniziai a pensare che possedesse un cuore più docile di quanto si potesse immaginare.
Avevo sempre avuto l'abitudine di trarre conclusioni sulle persone senza conoscerle, semplicemente osservando i loro piccoli gesti: a volte ci vedevo giusto, a volte mi sbagliavo di grosso ed in questi casi
sentirsi delusi era inevitabile.
Dovremmo smetterla di farci aspettative, di sperare che qualcosa duri per sempre, in questo modo si rischia di pensare troppo alla destinazione finale e ci si perde le meraviglie che vi sono lungo il tragitto e sono quest'ultime la parte migliore del viaggio.
«Sei una persona che pensa tanto da quel che vedo»
Lo guardai e mi venne quasi da ridere
«Beh, sì, è un po' una tortura per certi versi, ma penso tu lo sappia»
Risposi e lui annuì.
«Non piove più»
Disse e mi resi conto di essermi completamente dimenticata della pioggia.
«Già, beh ecco grazie di nuovo»
Dissi alzandomi
«Figurati, i vestiti puoi tenerli se vuoi»
Sorrisi e mi diressi verso la porta.
«Ti va di accompagnarmi?»
«Posso accompagnarti?»
Dicemmo all'unisono, la situazione erano strana e al contempo la cosa più normale e da adolescente che mi fosse successa negli ultimi 2 anni.
Decidemmo di camminare fino a casa mia, lungo il tragitto non parlammo molto, certe volte lo guardavo però, ed il suo modo di guardare il mondo quasi mi ammaliava.
I suoi occhi brillavano, erano vivi e curiosi mentre osservava il sole tramontare.
Aveva uno sguardo così intenso che inevitabilmente speravi che guardasse te nello stesso modo in cui guardava il panorama.
Quella nuova sensazione, quei pensieri nuovi mi confondevano, non mi sentivo così da molto: per tanto avevo pensato che le emozioni comuni, che provavano tutti gli adolescenti non sarebbero mai potute nascere in me, credevo di essere già un'adulta e che il mio tempo per vivere una vita normale fosse finito...
ma quel giorno, per la prima volta, pensai di essermi sbagliata e che forse anche io avevo un'altra chance, che anche io potevo riprendermi tutti quei pezzi di vita che avevo perso.
“Non farti strane idee Mery”
“Lo so”
Parlai tra me e me.
Il tragitto mi sembrò talmente breve, in un attimo mi ritrovai davanti casa.
«Grazie ancora davvero»
«Lo sai che ringrazi troppo?»
Non potevo dargli torto
«Forse un pochino?»
Risi ed anche lui sorrise
«Ci vediamo al lavoro allora»
Dissi salutando con un cenno della mano
«Già... Senti ti va di darmi il tuo numero di telefono? Sai, per qualsiasi evenienza»
Una parte di me sperava facesse quella domanda.
In casa Nora mi aspettava con un sorriso a trentadue denti sul volto, iniziò a strillare come una bambina, mi abbracciò e forse avevo capito il perché.
«No Nora, non c'è nulla tra me e lui»
Dissi
«Per ora tesoro, per ora»
Feci di no con la testa, quella ragazza era sempre la solita.
Ci mettemmo sul divano e mi obbligò a raccontarle ciò che era successo, riuscii fortunatamente a deviare l'argomento facendo domande su Mark.
«Siamo solo amici, nulla di più»
Percepii una nota di tristezza nella sua voce
«È successo qualcosa Nora?»
Chiesi perplessa, ma lei negò ed io preferii darle la possibilità di scegliere quando parlarne.
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