1.1
A tutte le ragazze che cercano il proprio principe, a quelle che lo devono ancora incontrare e a tutte coloro che l'hanno trovato.
LIBRO I
1.
SELENE
Era meravigliosamente elettrizzante cominciare la giornata con le colorite discussioni con sua mamma. Perché sua mamma non si arrabbiava, non sbraitava furibonda sfondandole i timpani dal telefono, facendosi sentire da tutti i palazzi circostanti. Oh no. Sua mamma riusciva, fin da quando lei era una piccola poppante piagnucolona, a mostrare la sua ira furibonda con poche, mirate, precise parole, mantenendo toni pacati ma più acuti, giusto per assicurarsi che il messaggio arrivasse forte e chiaro. Il viso solo trasformava la dolcezza apparente in una smorfia contrariata ed intimidatoria. Fortunatamente, in quel caso non poteva vederla, anche se, dalla silenziosa pausa che aveva assunto subito dopo il suo tentativo di rifiuto, poteva vagamente intuire la sua appuntita espressione. Beathrice della Faille de Leverghem Prunas-Tola-Arnaud, contessa di Bonorva, discendente di un'antica famiglia della nobiltà isolana Italiana, aveva vissuto in Francia, dove aveva conosciuto suo padre, il Conte Philippe de Lannoy, dall'antichissima impronta nobiliare belga, erede per giunta del Granducato del Lussemburgo. L'attuale casato dei Lannoy, dove lei era nata e cresciuta era situato però sulle Fiandre, in una zona sperduta ed incontrastata situata tra Lille e Roubaix. Dispersa perfino dai navigatori satellitari. I ricordi della sua infanzia in quei luoghi incantati erano per lo più tutti felici, mai quanto quelli trascorsi nella loro magione estiva in Sardegna, in Italia, nella terra di origine di sua mamma, dalla quale probabilmente aveva ereditato il carattere focoso e dittatoriale, tipico delle donne di quella particolare regione. Suo padre invece era sempre stato un placido uomo pacato, dall'aspetto elegante. Era un appassionato di auto d'epoca, un collezionista di barche in legno a motore, alle quali aveva dedicato molto più tempo che alle auto, trascinando lei, sua madre e sua sorella per mare dai tempi in cui la memoria probabilmente ancora non le si era formata. Ecco, lui era il classico tipo che in quelle circostanze delicate, non amava sporcarsi le mani se non con i motori, quando si improvvisava meccanico, dove si svestiva della sua imbracatura nobiliare per calarsi meglio nel ruolo. Peccato che fosse solito fare più danni che riparazioni. Nelle questioni di famiglia, dove gli unici motori rombanti erano le urla stridule delle donne di casa, lui preferiva defilarsi, lasciando a sua madre la gioia di tenere le redini. Cuore matriarcale. Infatti in quella conversazione, lui non si era fatto vivo neanche per un saluto.
- Tu ci andrai – la sua intimidazione era quasi cordiale. Solo sua mamma riusciva ad essere minacciosamente gentile.
- Ma... -
- Fammi sapere cosa decidi di indossare, a più tardi tesoro – il suo tentativo di replica, già vano in partenza, era stato immediatamente stroncato e con altrettanta minacciosa eleganza la comunicazione fu interrotta. Adorava sua mamma, ma non capiva come avesse sempre il potere di metterla nei guai.
Sbuffò guardandosi allo specchio. Erano le 3 del pomeriggio, non avrebbe mai trovato un parrucchiere aperto disposto a farle un'acconciatura degna dell'incontro in un massimo di trenta minuti. Il suo errore era stato illudersi che sua madre avrebbe trascurato che l'attuale regina Meredith di Danimarca era stata una sua cara amica ai tempi dell'università e, come aggravante, erano venuti a conoscenza di essere legati da qualche parentela lontanissima e ormai dispersa.
Aveva lasciato che trascorresse pacificamente quei primi tre mesi nella nuova città, dandole il tempo di ambientarsi, cercare di rigenerarsi e di fare nuove amicizie in tranquillità, prima di inondarla con la solita infinita lista di doveri. Copenhagen aveva rappresentato il definitivo strappo con la sua vecchia vita. E seppur si trovasse in una città straniera e meravigliosa, la sua amica d'infanzia Mary, partecipe con lei di quella nuova avventura, probabilmente convinta da sua madre, e un nuovo assolutamente inaspettato amico, nonché coinquilino, di nome Kevin, erano stati i giusti compagni per trascinare i suoi resti in quello che poteva rappresentare un nuovo scorcio di vita.
Tutto meraviglioso, ma lei in quel preciso momento si ritrovava spettinata, struccata, ancora alla ricerca dell'abito adeguato per uno di quegli incontri ai quali non tutti avevano la possibilità di recarsi. Che fortuna. Per concludere il promettente quadro, lei non era esattamente il tipo di ragazza che poteva legarsi i capelli anche al buio e senza elastico in qualsiasi fantasioso modo e risultare comunque bellissima ed elegante. Ma certo che no, lei era sempre stata la vergogna della famiglia, in tal senso. Lo spirito ribelle ed incontrollabile a cui dover impedire continuamente di mettere in imbarazzo la famiglia. Sua sorella Danielle invece era aggraziata di natura e sembrava aver trambugiato da neonata il manuale del bon ton, tanto risultava perfetta nell'applicarne le regole. I capelli le ricadevano sulle spalle in leggere onde dal color castano chiaro, tendente al caramello, occhi verdi, carnagione diafana e perfino il fisico era slanciato. Aveva sette anni più di lei e, nonostante non ne fosse cosciente, era stata in qualche modo la causa involontaria dei suoi guai, rubando tutte le doti che sua madre desiderava riflettere nelle proprie figlie, lasciandola totalmente a digiuno. Mentre sua sorella aveva sempre rappresentato la perfezione e l'esempio da seguire, lei era il ramo storto della pianta, la radice fuori dalla terra, il colore sbiadito. Lei aveva sempre rappresentato quell'elemento da tenere d'occhio, il vulcano dormiente pronto ad eruttare, al quale madre natura non aveva donato altro che un corpicino scoordinato e privato del filtro pensiero - bocca, elemento che sua mamma da tempi immemori tentava di sopprimere. Mentre Danielle rappresentava il classico esempio di raffinatezza ed eleganza innata, lei era stata definita "uno sgorbio inutile ed insignificante" da quell'ignobile citrullo di suo cugino Gilberto. Aveva parlato proprio lui dall'alto del suo profilo dantesco, così rinominato per la nasca pronunciata e non per l'intelletto. Nell'aspetto fisico però la natura non si era accanita particolarmente, era sufficientemente magra da non essere costretta a diete particolarmente ferree, un viso semplice e pulito, mentre i suoi capelli invece erano impossessati da sgraziate onde che fluttuavano a destra e sinistra senza un senso logico, e sembravano rispecchiare esattamente il suo io interiore anche quando venivano domati da roventi attrezzi barbarici, mentre loro cercavano a tutti i costi di restare selvaggi. Tante volte avevano cercato di spiegarle che spesso diventava più importante l'apparenza della sostanza, eppure suo padre le aveva sempre detto che lei era sufficientemente adeguata nella sostanza tanto quanto non lo fosse in apparenza, caro uomo, per questo si erano sempre prodigati tanto per correggerla e farla tacere in tutte le occasioni di rappresentanza era stato il metodo più rapido. Al massimo poteva accennare un sorriso rigorosamente a bocca chiusa e stretta, peccato che su di lei apparisse più come una scoordinata smorfia. Il suo spirito libero aveva finito per ribellarsi alle regole e alle etichette, finendo per commettere gravi e sconsiderati errori, tanto da terminare meno libero di quanto non lo fosse in precedenza. Perfino quell'incontro rappresentava una delle infinite ripercussioni che quella sua stupida indole le aveva causato.
- Grazie per essere venuta, è stata una gioia conoscere la figlia di Beathrice – l'impeccabile eleganza della regina trasudava da ogni parola, da ogni gesto, tanto da sembrare spontanea. Ineccepibile nel suo tailleur color del cielo, impreziosito da gioielli classici ma non troppo vistosi, mentre i capelli castani erano raccolti in una morbida e raffinata acconciatura. Sapeva che la Regina aveva la stessa età di sua madre, eppure sembrava più giovane di almeno 10 anni. Quell'incontro era stato un'imbarazzante chiacchierata sul viale dei ricordi universitari per la Regina ed un veloce riassunto della vita di sua madre, per lei.
- È stato un piacere ed un onore avervi incontrata Altezza – accennò una cordiale riverenza tentennando lievemente sui tacchi. Doveva ringraziare il suo angelo custode se non aveva ancora combinato qualche disastro, si era comportata come se avesse avuto un manico di scopa infilato nel vestito per tutto il tempo e sicuramente non con la stessa disinvoltura che sua madre si era augurata, ma almeno era riuscita ad evitare figuracce. Aveva sudato freddo quando per un attimo le era andato di traverso il tè mentre cercava di deglutirlo senza assaporarlo. Che schifo, lo aveva sempre detestato, ma non aveva potuto rifiutare dopo che la Regina aveva tanto decantato la qualità d'eccellenza inglese dei suoi infusi. Fortunatamente era riuscita a riprendersi con qualche discreto colpo di tosse e senza che nessuno ne prestasse attenzione. Per inciso, quegli intrugli reali non erano riusciti a cambiare la sua idea su quella aristocratica bevanda. Una golosa cioccolata calda affogata al gelato sarebbe stata immensamente più gradita, ma meno regale.
- Miss Lannoy – le fece cenno un signore alto sulla sessantina, dal portamento fiero – Prego mi segua, le mostro la strada –
- Oh non si preoccupi, ricordo dove dirigermi, grazie – cercò di esternare tutta la cordialità possibile, sorridendo al pensiero che presto sarebbe calato il sipario sull'incontro e su quelle malefiche scarpe.
- Come desidera –
Si, preferiva uscire velocemente da quel posto, il suo dovere reale era terminato. Le scarpe le dolevano come non avevano mai fatto, forse non era colpa delle scarpe ma sua che non era più abituata ai tacchi.
Mentre percorreva il corridoio centrale che l'avrebbe condotta nuovamente verso il mondo che tanto amava, lontano da etichette e convenzioni, bon ton e finto perbenismo, il pensiero le venne catturato dalla sua strana ed improvvisa visita. Sua madre e la Regina erano state molto amiche, ma perché l'attuale sovrana di Danimarca doveva voler ricevere lei piuttosto che la sua vecchia amica? Perché non invitare sua madre? Scosse la testa, impedendosi di porsi troppe domande delle quali forse era meglio non cercare le risposte.
Il palazzo era un tripudio di sfarzo e curata eleganza, era rimasta incantata dalle meravigliose composizioni floreali, dai dipinti e dai vasi pregiati che impreziosivano ogni angolo, tanto da sembrare il classico ambiente che appariva nelle rinomate riviste di arredamento. Eppure non le era sembrato così lungo quel corridoio quando l'aveva percorso all'andata. Da dove erano spuntate quelle armature?
HARRY
Pioveva. Le gocce d'acqua, come una scarica di piccoli fastidiosi aghi, gli solleticavano la pelle e lentamente gli appesantivano i capelli, mentre lui lasciava che cadessero privi di vita sul viso. Il dolore nel petto era incessante, un martellio costante che echeggiava in ogni battito, tanto da farlo desiderare che smettesse, mentre quella domanda tornava a tormentarlo, come il peggiore degli incubi ripercuoteva il sonno dalla sua silenziosa quiete.
Tutto era cambiato da quel fatidico giorno. Perché non lui? La verità era diventata un pesante fardello, era un boia pronto a ricordargli la sua colpa, ad attenderlo per la sua esecuzione. Il suono delle note funebri delle campane rimbombava sordo in un campo spoglio. Così come era rimasto il suo animo. La sua condanna era la cessata speranza. Una vita stava terminando ed in quell'aura di fine, anche la sua gli stava volteggiando intorno come un fantasma, come lo spirito di un'era passata, spinta da un ultimo respiro di vento, ciò che restava di lui.
Il giardino nascondeva un angolo immacolato, un angolo meno curato e sfavillante rispetto al circostante trionfo di fiori e piante rare. Sua madre aveva sempre avuto il pollice verde ed un'innata, quanto per lui insensata, devozione verso il mondo vegetale, curava il giardino più della sua stessa casa. Quell'angolo era stato meno sfruttato dalle sue singolari idee per il giardinaggio, erano rimasti perfino i resti di un piccolo e prosciugato pozzo, nascosto dall'abbraccio dell'edera. Adorava quel posto, un malconcio rattoppo in una stoffa di seta pregiata, come lui per la sua famiglia. Quell'angolo disgraziato rappresentava in pieno la metafora della sua esistenza. Perché preoccuparsi di curare qualcosa con tendenze selvatiche quando si ha un intero giardino incline solo a mantenere la perfezione impostagli. Amava quell'angolo anche sotto un cielo piangente. Non si erano mai preoccupati di riscattarlo, di cercare la bellezza sotto quelle erbe incolte. Esattamente come avevano fatto con lui. Non l'avevano mai forzato, una volta scoperta la sua indole ribelle, a modificarsi, a cambiare, ad adattarsi. L'avevano lasciato andare per la sua strada, pattuendo solo di presenziare alle maggiori ricorrenze e preservare una parvenza di regalità in quelle pubbliche e mondane occasioni. Tutto scorreva come un ruscello traballante mosso solamente dal bisogno di proseguire il suo corso.
La corona. Finché lui sarebbe stato lontano dalla corona, la sua vita sarebbe rimasta intatta. Provava quello sprezzante gusto di malata soddisfazione quando leggeva la furia rabbiosa infestare gli occhi di suo padre.
Ed ora sarebbe dovuto diventare re. Re, un sorriso sghembo e dolorante tirò il suo viso con devastante angoscia, ciò da cui aveva provato a scappare per tutta la vita e che aveva continuato ad aleggiargli intorno come un'ombra, aveva finito per unirsi a lui, imbrigliandolo in un destino che aveva sperato mai lo trovasse. Ciò che aveva continuamente rifiutato mentre si rifugiava nella parte disinteressata e spassosa che quella vita poteva offrire.
Gettò l'ennesima sigaretta spenta nel pozzo, lo sfogo di tutte le sue frustrazioni. Non si era mai avvicinato alla parola responsabilità, o dovere verso la sua corona, verso il suo paese. Lui era il fratello piccolo, lui era la pecora nera, lui aveva rappresentato anche la vergogna per la sua famiglia, i problemi e le instabilità. E non aveva mai voluto cambiare le cose finché non si era innamorato di Isabelle. Era stato un fulmine, folgorante come un miracolo e da allora aveva cercato di modificare il suo stile di vita, si era impegnato nel compiacere i suoi genitori e suo fratello. Lui era sempre stato l'unico a non giudicarlo, a non farlo sentire fuori luogo o inadatto, l'unico che non voleva essere compiaciuto.
Fred. Un susseguirsi di radiazioni nervose invase il suo sangue, una bolla di rabbia, dolore e frustrazione, mentre tutto si traduceva in un grande e disperato senso di colpa.
Nothin' goes as planned. Everything will break. People say goodbye, in their own special way. All that you rely on and all that you can fake will leave you in the morning but find you in the day. Oh you're in my veins. Everything will change. Nothin' stays the same. And nobody here's perfect. Oh but everyones to blame. All that you rely on and all that you can save will leave you in the morning and find you in the day. Everything is dark. It's more than you can take. But you catch a glimpse of sun light. Shinin', Shinin' down on your face. Oh you're in my veins and I cannot get you out. Oh you're all I taste at night inside of my mouth. Oh you run away cause I am not what you found. Oh you're in my veins and I cannot get you out.
Angolo Ila:
Ciao a tutte! Sembra passata un'eternità dall'ultima volta che vedevo Wattpad da questa prospettiva e, vi dirò, l'imbarazzo e l'ansia sono le stesse.
Sono trascorsi anni, tanti errori e tanti cambiamenti mi hanno portata qui, a condividere con voi un'altra storia partorita in questi ultimi anni e che spero seguirete con lo stesso meraviglioso entusiasmo con cui avete accompagnato Vertigo e Crush!
Anche perché...ho assolutamente bisogno del vostro giudizio imparziale per capire se questa storia è decente o meno e in seguito vi spiegherò il motivo della mia richiesta.
Grazie a tutto coloro che decidono di seguire le mie piccole follie!
Che ne pensate dei protagonisti? Avete suggerimenti?
Un bacio!
Ila
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