Prometti che tornerai per me
Autore: __Trix__
Carte: l'imperatore, la forza, la morte
***
Prologo
Tra tutte le notti afose e asciutte di questa stagione , per rendermi la vita facile, il cielo stasera ha deciso di vomitare acqua come se non dovesse piovere mai più.
Le scarpe impattano nelle pozzanghere e schizzano acqua sporca sulle mie gambe nude. Sto correndo come se avessi il diavolo alle calcagna e, in effetti, quello che ho dietro è proprio il diavolo per me. Svolto a sinistra e vengo quasi investita da un temerario in motorino. Non mi volto nemmeno a controllare se lui mi stia inseguendo ancora, quando sei preda avverti nelle ossa quell'alito di morte che pompa ancora più forte il sangue nelle vene. Svolto di nuovo, a destra stavolta, e con la coda dell'occhio vedo una serranda che si abbassa su un negozio di lanterne.
Senza pensarci due volte, mi tuffo di pancia e scivolo dentro appena in tempo perché i miei piedi non rimangano schiacciati sotto quella vecchia ferraglia.
La donnina che mi trovo davanti mi guarda con occhi gli sbarrati dal terrore ma io non posso permettermi passi falsi, l'agguanto e le stringo la gola finché non perde i sensi tra le mie braccia.
Scusa, nonnina.
L'abbandono sul pavimento e mi avvicino cautamente alla saracinesca. Mi sembra di sentire dei passi, ed è solo grazie al mio forte autocontrollo se riesco a non urlare quando la saracinesca si mette a oscillare a un millimetro dal mio volto, con un forte rumore metallico.
È lui.
Ho ancora il fiato grosso per la corsa ma ho completamente dimenticato come si fa a respirare. Di nuovo quel diavolo urta forte contro la sottile barriera di lamiera che ci divide, e, stavolta, sono certa che sia lui perché lo sento imprecare a mezza voce.
Il battito del mio cuore sembra un boato alle mie orecchie e sono certa che il gocciolio regolare dell'acqua che cade a terra dai miei capelli mi tradirà da un momento all'altro. Lui si muove lì fuori, prima solo passi, poi una corsa nella pioggia verso chissà dove. Tiro un silenzioso sospiro di sollievo ma devo andare via perché la nonnina si sveglierà da un momento all'altro e io sia dannata se uscirò di nuovo in strada con lui in lì agguato.
Delle scale portano al piano superiore e io le salgo silenziosamente. La soffitta ha il tetto basso e devo scavalcare mille scatoloni per arrivare alla minuscola finestra dall'altra parte della stanza. Mi isso sul tetto viscido di pioggia e cammino cauta, con le scarpe da ginnastica che a ogni passo scivolano sulla lamiera, rischiando di farmi finire sulla strada, sei metri più in basso. Prima di quanto sperassi mi trovo di fronte a un baratro troppo ampio da colmare con un salto. Ho di fronte un'arteria secondaria non molto trafficata, mentre di lato c'è una stradina buia e deserta, il cui canale di scolo mi sembra l'unica opzione di fuga praticabile. Mi rassegno a calarmi lungo il canale ma nell'istante esatto in cui i miei piedi toccano terra nel vicolo, scorgo un movimento nell'oscurità alle mie spalle. Mi volto per fuggire e finisco dritta tra le familiari braccia del mio diavolo.
1. Phi
Luglio 1997, orfanotrofio, periferia di Hoi An
La capanna in cui mi hanno rinchiuso puzza di muffa e non ha finestre. Quando la porta si apre mi ritrovo a sperare che abbiano portato da mangiare perché sono qui dentro da tre giorni con una manciata di riso e un bicchiere d'acqua nello stomaco.
«In piedi, Phi.» Riconosco la voce della direttrice, la signora Son, e la sua mano poco gentile mi tira sulle mie gambe malferme. «Vai a darti una ripulita, c'è qualcuno per te.»
Seguo la Son al catino di acqua piovana e mentre con la spugna gratto via lo sporco incrostato sulle ginocchia, con la mente provo a zittire la speranza che lei sia tornata davvero indietro per me.
È inutile illudersi, sto per essere venduto come schiavo a quella fabbrica tessile in cui lavoro già tre giorni a settimana, come tutti gli altri undicenni prima di me.
"Prometto che tornerò per te." Me l'ha detto quando ci siamo visti per l'ultima volta, con la sua vocina sottile e i suoi occhi tondi da occidentale pieni di lacrime. Mi ha spezzato il cuore che sia andata via senza sapere che le volevo bene, più bene che a un'amica.
Esco dal catino e mi getto addosso la maglietta troppo larga e il pantalone di almeno tre taglie più grandi del necessario che la signora Son ha preparato per me. Tengo gli occhi bassi mentre la seguo oltre la porta dell'edificio, oltre il dormitorio, l'ingresso, la porta del suo studio.
Entriamo e quando alzo la testa il mio cuore salta un battito.
Lein è davvero tornata qui per me.
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Ho immobilizzato Lein nella morsa del mio braccio sinistro ma lei morde la mano che le ho messo sulla bocca così forte che temo mi strapperà la carne. «Aaaahi, Lein! Mi farai sanguinare se mordi forte così!» Per tutta risposta i suoi denti affondano definitivamente nel mio palmo e io mollo la presa con un gemito di dolore. Lei si slancia in avanti per scappare ma riesco ad afferrarla per la vita e finiamo a terra insieme, con l'acqua sporca delle pozzanghere a inzupparci i vestiti.
Mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe e, ignorando il dolore bruciante al palmo della mano, la tengo stretta per i polsi.
I nostri sguardi si allacciano per la prima volta dopo cinque anni e nel suo non c'è traccia del calore che ricordavo. Non è per niente l'incontro che avrei immaginato ma il mio cuore comincia ugualmente a funzionare per conto proprio nell'averla così vicina.
«Lasciami andare!» sputa fuori tra i denti, e io stringo un po' di più la morsa sui suoi polsi.
Non è mai stata così bella come adesso, i tratti occidentali sul suo volto sono molto più marcati ora che è diventata una donna. Assaporo con gli occhi suo naso dritto, quegli zigomi pronunciati e tinti di rosa, il neo sulla guancia sinistra che ho segretamente sognato di baciare da quando eravamo bambini...
«Prometto di lasciarti libera, se in cambio tu non scapperai.»
«Prometti?!» Il suo volto si contorce in una smorfia di disprezzo. «Puoi infilartele nel culo, le tue promesse.»
«Oh andiamo, Lein! Sai benissimo che non ho avuto scelta.»
«C'è sempre una scelta!» sibila «E, da parte mia Phi, il giorno che mi hai lasciato lì tu per me sei morto. Hai capito? Morto!»
E per quanto so di averla ferita, per quanto so di aver sbagliato, le parole che mi sputa in faccia sono come acido che mi corrode l'anima.
Dicembre 2008, casa Nguyen, baia di Hanoi
Chiudo la zip del borsone e lo getto davanti alla porta con un sospiro.
Devo ancora abituarmi all'idea che da domani non rivedrò più Lein. Il periodo più lungo che abbiamo passato separati sono state le due settimane in orfanotrofio prima che lei venisse a prendermi con suo padre.
Il suo fottuto padre... Uomo furbo e potente, del quale ho commesso l'errore di sottovalutare la sagacia. Sin dal primo giorno ho sempre saputo tanto di essere un ospite indesiderato in casa sua, quanto di essere perdutamente innamorato di sua figlia. Ho passato gli ultimi undici anni a nasconderlo a me stesso e agli altri, finché non ho più potuto ignorare ciò che provo per lei. E, probabilmente, lui stava aspettando proprio questo. La nostra conversazione riecheggia ancora nelle mie orecchie.
"Se la tocchi anche solo con un dito, ragazzo, la darò in sposa domani stesso al mio socio Bao. Ho visto come la guardi ma non farti illusioni. Tu non hai niente da offrirle. E, poi, a dirla tutta, mi servi sul campo, Phi. Ho bisogno di un Talent Scout giovane e capace."
"Talent Scout?" "Sì, ragazzo, cosa credi che mi renda così ricco, traghettare le persone nella Baia?! Vendiamo ai clienti dei servizi...speciali. Non farne parola con Lein, lei non dovrà sapere."
I rumori della finestra dal bagno che si apre mi riscuotono dai miei pensieri. Lein viene a trovarmi di nascosto tutte le notti prima di dormire, lo fa da quando eravamo bambini e mi si stringe lo stomaco al pensiero che questa possa davvero essere la sua ultima visita.
La porta del bagno si apre di scatto e lei irrompe nella stanza come una furia. I suoi lunghi capelli marroni ondeggiano ogni volta che piroetta su se stessa per fronteggiare un diverso angolo della stanza. Blatera qualcosa su suo padre, su quanto sia arrabbiata con lui per chissà quale motivo ma io non la sto ascoltando. Fisso nella mente i lineamenti del suo viso, arrossato dalla rabbia, le sue labbra gonfie, i suoi occhi grandi e tondi. «Aspetta, dove stai andando?»
Ci siamo. «Partirò per conto di tuo padre domattina.»
«Per andare dove?»
«Per adesso a Son La, ma ha lasciato intendere che non sarà un viaggio breve.»
«Per fare cosa?»
«Lavorare per lui.» Ah, se solo tu sapessi, Lein.
Apre la bocca, la richiude, poi la riapre ancora. «Stai scherzando.»
«No, sono serissimo.» Cazzo se sono serio. La vedo fermarsi un attimo a pensare, e sono costretto a distogliere lo sguardo quando comincia a mordersi il labbro inferiore.
«Parlerò io con lui.»
«Non è un'offerta che posso rifiutare, Lein, tuo padre è stato molto chiaro su questo. Nulla di ciò che dirai potrà fargli cambiare idea.» Ma è meglio per tutti che tu non sappia perché. «Sapevamo entrambi che finita la scuola mi avrebbe mandato via.»
«Tu lascia fare a me, ok? Andrò da lui adesso...»
Lei fa per andarsene ma io la trattengo afferrandola per il braccio. «Non andartene, ti prego.»
Le parole mi scivolano fuori dalle labbra senza che me ne renda conto. Ci ritroviamo troppo vicini, a guardarci negli occhi come due disperati e non so chi si avvicina per primo, so solo che ci ritroviamo nel mio letto a fare l'amore per tutta la notte.
All'alba lei è ancora tra le mie braccia. «Prometti che tornerai per me.»
Accarezzo le sue labbra con il pollice e pronuncio una promessa che so già di non poter mantenere.
-
Allento la presa solo un attimo, il tempo di incassare quelle parole che pesano come macigni, e lei libera le braccia dalla mia stretta e picchia sul mio diaframma, facendomi perdere il respiro. Mi butta a terra con lo slancio delle gambe e prova a scappare di nuovo. Ho la prontezza di afferrarle la caviglia e farla cadere, ma l'acqua del canale di scolo mi finisce sugli occhi e non riesco a vedere nulla, nemmeno il calcio che mi centra lo zigomo e mi fa perdere definitivamente la pazienza.
Strattono con forza la sua gamba e lei scivola come una saponetta sull'asfalto viscido di pioggia. Le sue natiche sbattono con violenza contro le mie gambe e le mie mani addestrate corrono come serpenti a torcerle le braccia dietro la schiena.
«Ora basta giocare.» Abbiamo entrambi il fiato corto e siamo abbastanza vicini l'uno all'altra da sentire il sapore dei nostri respiri.
«Mi tratti proprio come una delle tue puttane, Phi.»
Averla così vicina mi fa sentire vulnerabile e so bene di non potermelo permettere.
«Mi costringi tu a farlo.»
«Sei proprio un cagnolino ben addestrato, adesso non ti resta che riportarmi dal padrone.»
«Zitta e ascolta, Lein.» sussurro, sovrastando appena il rumore della pioggia.
«Non crederò a nessuna parola che esce dalla tua bocca.»
«Dovresti, invece.»
«Perché?»
Mi abbasso fino ad arrivare a toccare il suo orecchio con le labbra e, in un sussurro appena udibile, sgancio la mia bomba.
2. Lein
«Perché ho scoperto dov'è tua madre. Fai finta di nulla, c'è qualcun altro con me.»
Lo sento pronunciare queste parole e mi dimentico tutto. Dimentico di odiarlo a morte, dimentico che è un bugiardo, che di lui non devo fidarmi.
«Cosa?»
«Stai al gioco.» sussurra di rimando e con un movimento fluido si stacca dal mio corpo e mi tira in piedi insieme a lui.
«Hai imparato piuttosto bene a maneggiare una donna inerte, Phi.»
«Inerte non direi.» Mi rigira con uno strattone e ci ritroviamo faccia a faccia, troppo vicini per i miei gusti.
Avevo dimenticato che fosse più alto di me, cosa rara per un autentico muso giallo come lui. La maglietta completamente bagnata di pioggia aderisce al suo corpo come una guaina e non riesco a non notare che è molto cambiato dall'ultima volta che l'ho visto. Un brivido che non ha nulla a che fare con la pioggia mi corre lungo la schiena quando il mio sguardo ricade sulla curva della sua mascella e mi maledico per aver alzato gli occhi su di lui.
Tira fuori una fascetta e la stringe attorno ai miei polsi. A stento riesco a trattenermi dal tirargli un'altra testata e fuggire via di nuovo. Noto con orrore, dai suoi gesti estremamente naturali, che questa non è la prima volta che effettua un'operazione di questo tipo. Copre la fascetta con un pezzo di stoffa e quando cominciamo a camminare finge di tenermi sottobraccio.
«Le donne che rendi prostitute per mio padre hai l'obbligo di testarle o le selezioni sulla fiducia?»
Lui coglie il sarcasmo nella mia voce ma risponde alla domanda come se gliel'avessi posta seriamente. «Per lo più sulla fiducia.»
«Per lo più.»
«Sì. E poi non rapiamo nessuno, Lein, sono donne che già fanno questo per mestiere.»
«È questo che ti dici per dormire tranquillo la notte?»
Lui mi lancia una lunga occhiata che non mi do pena di decifrare. «Può darsi.»
Lasciamo che il silenzio si frapponga tra noi come una barriera e camminiamo nella pioggia fianco a fianco per non so nemmeno quanto tempo. All'improvviso mi dice: «Ricordi cosa facevamo all'orfanotrofio prima di addormentarci?»
Lo guardo e rivedo il bambino che è stato durante le lunghe notti passate lì, quando pur di liberarmi dai miei incubi si è ingegnato a nascondere un tronco di bamboo nel suo cuscino per violare il coprifuoco e parlarmi prima di dormire. Avevo cinque anni, però, mentre adesso ne ho ventitré, e vorrei ricordare a me stessa che questo diavolo io lo odio! «Sono solo ricordi di un'infanzia infelice.»
«Tu tienili a mente, Lein.»
-
L'uomo alla mia destra russa in maniera regolare da più di mezz'ora, ormai, ma so che mio padre l'ha mandato qui per controllarci, perciò aspetto che sia Phi a cercarmi per primo. Dormiamo a terra, in una bettola di quart'ordine nella periferia di Hoi An ma sono contenta di essermi almeno cambiata i vestiti sporchi di pozzanghera e di aver fatto una lunga doccia prima di mettermi a letto.
Apro gli occhi e vedo il cuscino di Phi muoversi in modo impercettibile, fino a sistemarsi in mezzo a noi. Sento anche il lieve tocco del suo piede contro il mio e avvicino l'orecchio al tubo nascosto nel cuscino per sentire quello che ha da dire.
«Ci controlla.»
Tocco il suo piede e avvicino la bocca al tubo. «Ho capito. Dimmi di mia madre»
«Io non dovrei saperlo. Un mese fa ho origliato per caso la conversazione di due Scout che dicevano di avere preso l'Italiana e che l'avrebbero portata da tuo padre da lì a una qualche giorno.»
Tocco il suo piede per interromperlo. «Perché la vuole?» Prima di rispondere esita qualche secondo di troppo.
«Ha scoperto che lei vuole smascherare il suo business. Non so cosa abbia intenzione di farle.» Potrei essermi fatta un'idea a riguardo ma è troppo spaventoso persino pensarci. Il suo piede sfiora ancora il mio. «Perché sei scappata di casa?»
Davvero non lo sa? «Voleva farmi sposare Bao.» Lo sento irrigidirsi all'istante nell'udire il nome del socio ultracinquantenne di mio padre.
«Come hai scoperto cosa vende veramente tuo padre nelle sue crociere?»
Non c'è bisogno che tu sappia come l'ho scoperto. Non ti darò mai la soddisfazione di rivelarti che l'ho scoperto perché stavo cercando te, brutto diavolo. «L'ho scoperto e basta. Perché ha mandato proprio te a cercarmi?»
«Perché crede che io non sia più una minaccia per te, ora che sono sposato.»
Mi sarei sentita più viva se un treno mi avesse investita ma spero di non averlo dato a vedere.
Tocco tre volte il suo piede, segno che la nostra conversazione è finita.
3. Phi
Non ho più modo di parlare con Lein perché il passaggio sicuro che ci hanno procurato è un vecchio camion carico di frutta. Siamo pigiati stretti insieme all'altro Scout tra banane e noci di cocco, con lei nel mezzo che sonnecchia a labbra socchiuse.
Non dovremmo essere lontani, abbiamo viaggiato tutto il giorno ed ora è notte fonda. Lein si accascia sulla mia spalla e il profumo dei suoi capelli mi annebbia la mente.
Non so che reazione mi aspettavo quando le ho detto che sono sposato, sicuramente non quell'ostinato silenzio. Come vorrei poterle parlare, dirle quanto mi è mancata in tutti questi anni. Vorrei raccontarle di tutta la merda che ho dovuto affrontare, dirle che ho sempre pensato a lei, in ogni momento.
Il camion si ferma con uno scossone e il tendone viene aperto rivelando le luci artificiali dello Scambio.
Siamo arrivati. «Lein, svegliati.»
«Sono sveglia.» risponde, anche se la sua voce impastata rivela il contrario.
Scendo dal camion e mi trovo di fronte a tutto il corpo di sicurezza del signor Nguyen. «Phi e Lein, venite con me.»
Mi pare di ricordare che l'omone cinese che stiamo seguendo si chiami Meng. Ci guida attraverso un lungo tunnel del magazzino in cui io non sono mai stato prima.Bussa a una porta sulla destra e la familiare voce di Nguyen esclama: «Avanti.»
Avverto Lein irrigidirsi al mio fianco. La porta si apre e di fronte a noi c'è il signor Nguyen, appoggiato alla ringhiera del balcone di un sontuoso ufficio che si affaccia direttamente sul fiume rosso. Indossa una camicia viola arrotolata sui polsi, con un elegante gilet grigio che mette in risalto il suo fisico snello. «Che bel quadretto di famiglia, finalmente riuniti!» batte le mani e il suono metallico dei suoi anelli che cozzano l'uno contro l'altro riecheggia nella stanza. «Lein, cara, ancora ti tengono legata? Meng!» L'omone si avvicina e taglia via la fascetta dai polsi arrossati di Lein.
«Venite a sedervi qui fuori, ragazzi, c'è un'aria fresca davvero magnifica.»
Avanzo un passo indietro rispetto a Lein, attento a non guardarla mai, nemmeno per errore. L'aria salmastra del fiume si insinua nelle mie narici e una gradevole brezza fresca accarezza il mio viso accaldato. Il signor Nguyen si rivolge alla figlia, sogghignando. «Lein, di' un po', ti sei goduta le tue vacanze ad Hoi An? Spero tu mi abbia portato una lanterna come souvenir!»
Lei alza lo sguardo e l'odio che vi leggo mi spaventa, mi induce a chiedermi che parti della sua vita io mi sia perso in questa lunga assenza. Lei non risponde ma il signor Nguyen non perde occasione di lanciare un altro affondo, rivolto a me stavolta. «Phi, come sta tua moglie, invece? Ho saputo che tuo figlio cresce bene.»
Pronuncia quelle parole con gli occhi fissi su Lein, che stavolta casca in pieno nella tela del ragno.
Sento il suo sguardo addosso ma non oso incrociarlo perché ho paura di vedere cosa vi leggerei. «Stanno entrambi bene, grazie, signor Nguyen.»
Lui sposta i suoi occhi verde intenso su di me e so in anticipo che sta per arrivare una nuova stoccata. «Sai, anche Lein si sarebbe dovuta sposare ma è fuggita a una settimana dalle nozze.»
«Dov'è mia madre?» dice Lein di punto in bianco.
Faccio del mio meglio per apparire stupito mentre suo padre incrocia le gambe e si appoggia al parapetto. «Era il tuo regalo di nozze, figlia mia.»
«Dov'è?»
«Sai, ho pensato molto a cosa fare di lei. Poi mi sono detto che c'è un unico trattamento che puoi riservare a un regalo scartato: gettarlo via.»
Le mani di Lein tremano con prepotenza e io non resisto, la devo guardare mentre beve le parole avvelenate di suo padre, con il volto deformato dalla sofferenza. «Che ne hai fatto di lei?»
«Cosa volevi che le facessi, Lein? Le ho dato la fine che meritava.» Vedo quell'uomo godere del dolore che provoca a sua figlia con il viso sereno di un angelo. «Ti ha lasciata in un orfanotrofio per setti anni, se non fosse stato per me chissà cosa ti sarebbe successo! È meglio se la smetti di tormentarti per lei. Quella donna è sempre stata un cancro, ha portato solo distruzione e morte nelle nostre vite.»
«Tale madre tale figlia, allora.»
Lei è rapidissima, troppo rapida per lui e troppo rapida persino per me. «Leinle' non lo fare!»
Vedo la scena srotolarsi al rallentatore davanti ai miei occhi e sento il mio avvertimento andare perduto nell'aria mentre lei scatta a braccia tese verso suo padre. La forza del suo impatto li catapulta entrambi oltre il parapetto e, con un volo che profuma di morte, scompaiono entrambi dieci metri più in basso, dritti nel fiume rosso che li attende.
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