Memorie intrecciate

Autore: crilu98

Carte: la ruota della fortuna, il carro, le stelle

***

Babilonia, 329 a.C. — Estate

Il conquistatore era entrato in città coperto di gloria insieme al suo esercito di barbari.
Dall'alto della sua postazione in cima alle mura, un uomo aspettava paziente che il nemico arrivasse più vicino. Le sue dita si aprivano e chiudevano ritmicamente attorno all'impugnatura dell'arco di squisita fattura, ma a parte quel piccolo segno di nervosismo l'uomo era perfettamente immobile, tanto da assomigliare alle statue delle sfingi che adornavano le porte di Babilonia.
Aveva la pelle ambrata tipica dei persiani, occhi penetranti che luccicavano d'odio, capelli ricci e neri tenuti a bada da una fascia di cuoio.
Seguiva con lo sguardo il corteo trionfale del conquistatore, che sembrava infinito e faceva un baccano infernale mentre attraversava le vie della città; il giovane condottiero avanzava in groppa a un possente destriero nero e scalpitante, più simile a un demone che a un cavallo.
La corda dell'arco si tese, l'asticella della freccia grattò contro le dita callose dell'uomo, la punta di bronzo si fissò sul suo bersaglio, la testa ricciuta di Alessandro il macedone.

«Io non lo farei.»

Le parole erano state pronunciate sottovoce, quietamente, ma la fredda lama della spada che si poggiò silenziosa contro il suo collo rendeva tangibile la minaccia insita in quell'avvertimento.
L'arciere lanciò un'occhiata alle sue spalle, osservando di sottecchi l'uomo che era riuscito a seguirlo fin lassù e a coglierlo di sorpresa proprio quando stava per attuare il suo proposito di vendetta.
Era uno degli invasori, senza dubbio — lo rivelavano la sua armatura, la disordinata barba rossiccia e la carnagione pallida, troppo chiara anche per un greco; doveva essere nato negli estremi angoli della Macedonia, tra le montagne ai confini del mondo.  
Nell'incrociare il suo sguardo furioso, le labbra si arricciarono in un sorriso di puro divertimento. 

«Ah!» esclamò il soldato, spingendo più a fondo la lama quando vide la mano dell'altro scivolare verso il pugnale che portava alla cintura.
«Se fossi in te non farei neanche quello!»

«Chi sei tu per negarmi il piacere della vendetta?» sbottò l'arciere, inviperito. «Avevo tre fratelli — tutti massacrati dalla sete di potere di quel ragazzo! Dimmi, pensi che m'importi qualcosa di morire?»

Il macedone l'osservò con aria pensosa: aveva il potere di mettere alla prova le parole del persiano e vedere se davvero non temeva la morte.
Sarebbe bastato lasciar scorrere la spada per vedere il sangue sprizzare.
Aveva ucciso molti uomini nella foga della battaglia, ma allora non aveva badato ai loro volti, non aveva udito la sofferenza nella loro voce.
Percepì che uccidere lì, in cima alle mura di Babilonia, sarebbe stato diverso: recidere con indifferenza la vita di un uomo disarmato significava attraversare la sottile linea che separa un soldato da un assassino.
Il loro destino correva lungo il filo della sua lama.

«Chi sono io? Rallegrati, sono l'uomo che sta per salvarti la pelle e scortarti fuori da qui.»

Mantenne la parola: mentre Alessandro prendeva ufficialmente possesso di Babilonia, il macedone e il persiano si scrutarono a lungo, fuori dalle porte della città.

«Tietti stretto il dono che ti ho fatto oggi, non sprecarlo alla ricerca di una cosa effimera come la vendetta: i tuoi fratelli sono morti e l'odio non li riporterà in vita. Su, va', ragazzo, vattene!»

Lo guardò allontanarsi in sella a un vecchio ronzino: sperava di non vederlo mai più, ma qualcosa, nel profondo del suo animo, gli suggeriva che si sarebbero reincontrati presto.

Roma, I secolo d.C. — Primavera

Il fuoco era dilagato all'improvviso, violento e inarrestabile.
Un uomo fuggiva nel disperato tentativo di sottrarsi alla sua furia, tallonato dalle fiamme che divoravano senza pietà case, botteghe, piazze. S'innalzavano contro il cielo notturno come bestie inviperite, ruggendo e sibilando mentre procedevano nella loro opera di distruzione, quasi fossero cosa viva.
L'uomo aveva all'incirca una ventina d'anni ed era un fabbro dal fisico robusto, eppure quella corsa infinita lo stava sfiancando: gli sembrava di star correndo da ore, ma non dovevano essere passati che pochi minuti da quando si era svegliato per la puzza di fumo che saliva dalla strada di fronte. Aveva ben presto perso di vista i suoi vicini che come lui si erano dati alla fuga, portandosi appresso i pochi averi che erano riusciti ad afferrare prima che la loro insula si accartocciasse su sé stessa e crollasse a terra come una foglia morta.
A un tratto gli parve di udire qualcosa — una voce umana — provenire dall'inferno alle sue spalle e colto da un presentimento si voltò, scrutando le fiamme con occhi penetranti che luccicavano di indecisione.

C'era una figura, in mezzo all'incendio, così piccola che il fabbro per un attimo pensò di essersela immaginata. 
"Ma no, c'è davvero!" 
Era una bambina col viso sporco di fuliggine, gli abiti macchiati di carbone e i capelli scompigliati. Sola, arrancava a casaccio lungo la strada, barcollando e voltandosi più volte a guardare le fiamme che si facevano più vicine con un'espressione di puro terrore dipinta in viso.
Poi lo vide e nell'incrociare il suo sguardo inquieto, le labbra si arricciarono in un sorriso di puro sollievo.
Gli tese le braccia in una muta richiesta di soccorso e l'uomo, già deciso ad abbandonarla al suo destino, esitò. Non era mai stato un uomo particolarmente coraggioso e anche in quell'occasione l'istinto lo tirava per la manica, suggerendogli di raggiungere il ponte, attraversare il fiume... Sarebbe bastato voltarle le spalle per mettersi in salvo. Piccola e stanca com'era, la bambina non sarebbe mai riuscita a guadagnare l'altra sponda del Tevere. 

"Cosa stai aspettando?" sibilò una voce nella sua testa. "Se torni indietro a prenderla morirete entrambi!"

L'uomo scattò in avanti proprio nello stesso momento in cui la bimba, con un ultimo guizzo di volontà, si rialzò in piedi per raggiungerlo. La sollevò per le ascelle e se la strinse al petto mentre il calore delle fiamme sempre più vicine gli mozzava il respiro.
Tossendo per il fumo che gli aveva invaso i polmoni, il fabbro riprese a fuggire.

Il loro destino correva lungo le strade di Roma invase dal fuoco.

Quello scricciolo di bambina non pesava più di una fascina di legna e aveva un'ossatura così delicata che per qualche istante temette di romperla con le sue mani grandi, callose, abituate a maneggiare pezzi di ferro più che esseri umani. Poi però le braccine ossute della piccola di strinsero attorno al suo collo con una forza insospettabile, che rivelava una tempra formidabile dietro il viso dolce e le labbra serrate.
L'uomo oltrepassò il ponte sul Tevere qualche istante prima che il fuoco lo divorasse, lasciandosi cadere accanto alla riva per riprendere fiato, protetto dalla corrente del fiume.
La bambina non accennò a sciogliere l'abbraccio, ma allungò le gambe per saggiare l'acqua con la punta dei piedi — tirandole poi su con uno strillo divertito.
Abbassando gli occhi nei suoi, il fabbro rimase stupito dal miscuglio di sollievo e paura che vi scorse.
Quella creatura non poteva avere più di quattro, cinque anni, si disse, eppure gli sembrava di conoscerla da molto tempo.
Scacciò la sensazione con uno sbuffo: 

"L'avrò vista passare davanti alla bottega con la madre o la nonna!"

«Andiamo» disse poi, col tono più gentile che riuscì a trovare. Aveva infatti notato con la coda dell'occhio che le fiamme non accennavano a spegnersi e c'era il rischio che qualche scintilla appiccasse l'incendio anche su quel lato del fiume.
«Andiamo a cercare i tuoi genitori...»

Londra, 1888 — Inverno

Nevicava da due giorni e una soffice coltre bianca aveva avvolto Londra.
Seduta accanto alla finestra della sua camera da letto con un ricamo incompiuto in grembo, una nobildonna osservava i fiocchi che danzavano nell'aria dietro i vetri incrostati di ghiaccio. Colta da un'improvvisa ispirazione, la donna aprì la finestra e chiuse gli occhi nell'assaporare il vento gelido che le sferzò il viso: c'era un tempo da cani, fuori, e nessuno avrebbe potuto vedere e giudicare quell'attimo di follia, di spregiudicatezza del tutto inadatta a una Lady della sua posizione. Nessuno avrebbe potuto rimproverarla — neanche suo marito, partito per un breve viaggio la settimana prima. 

"C'è una tale pace, in questa bufera" pensò la donna con un sorriso estatico, ma un grido che si levò alto nella notte parve contraddirla.
Abbassò lo sguardo verso la strada, allarmata e scrutò le vie che s'incrociavano davanti al suo palazzo: a quell'ora erano deserte, come si conveniva a un quartiere rispettabile.
O forse no.

La donna riuscì infine a intravedere una figura femminile tra le ombre: si trascinava stancamente, appoggiandosi al muro e voltandosi spesso a guardarsi le spalle. Quando si fece più vicina, alla luce dei lampioni a gas la lady vide l'abbigliamento discinto e la capigliatura scomposta e sussultò, lasciando cadere il ricamo che volò fuori dalla finestra e atterrò con un dolce tonfo in un cumulo di neve.
La prostituta alzò su di lei un paio d'occhi penetranti che luccicavano di paura. 

«Aiutatemi!» urlò, fuori di sé, correndo ad aggrapparsi all'inferno sta del cancello. «È dietro di me! È dietro di me, mi insegue!»

Non c'era bisogno che chiarisse a chi si riferiva: da mesi, ormai, il crudele assassino noto come Jack lo squartatore terrorizzava l'intera città con i suoi delitti efferati. Doveva essere stato lui a rendere quella poveretta pazza di terrore, spingendola ad abbandonare il quartiere in cui esercitava la sua professione per rifugiarsi tra i palazzi della buona società.
La nobildonna aveva sentito dire che in realtà non tutte le vittime di Jack erano meretrici che vendevano il proprio corpo — ma quella lì lo era di sicuro e lei non sapeva che fare. 

"Accoglierla in casa? E come potrei? I vicini lo vedrebbero e Richard lo verrebbe di sicuro a sapere. D'altro canto... Ho il cuore di abbandonare una povera donna infelice a un tale destino? No, no... Ma se fosse una messinscena, se fosse una ladra?" 
Sarebbe bastato chiudere la finestra per non udire più quelle grida disperate.

Pochi minuti dopo, la Lady si ritrovò a pensare di essere impazzita: si muoveva furtivamente nelle cucine della sua stessa casa, per preparare una bevanda calda per una prostituta. Sua madre sarebbe svenuta e suo marito sarebbe stato parimenti inorridito. 
"Ma cosa dovevo fare?" si ripeté per l'ennesima volta. "Lasciarla nelle mani di un assassino?"

«So cosa state pensando» proferì l'altra donna. Erano le prime parole che le sentiva pronunciare da quando le aveva fatto cenno di scavalcare il cancello e entrare dalla porta sul retro.

«Davvero?»

«Certo, vi si legge sul muso. Pensate che sono una donna di malaffare e che me merito di essere ingroppata e sventrata da Jack.»

«Se è questo che credete, perché mi avete chiesto aiuto?»

«Beh, m'lady, ho sperato che c'aveste un cuore pure voi!»

La donna intuì di avere davanti una persona con un passato oscuro e doloroso, che si era fatta strada nella vita con le unghie e con i denti e nell'incrociare il suo sguardo battagliero, le sue labbra si arricciarono in un sorriso di pura ammirazione.
Il loro destino correva lungo il bordo di una tazza di tè.

«Ho davvero un cuore. Per questa notte... Per questa notte potete rimanere a dormire qui, dove nessun assassino verrà a turbare il vostro sonno.»

New York, 2001 — Autunno

Il ragazzo entrò nell'ingresso del prestigioso studio notarile con passo sicuro, guardandosi attorno con un sorriso distratto: suo padre aveva rinnovato l'arredamento da poco e quell'ambiente gli risultava allo stesso tempo bizzarro e familiare. La carta da parati a fantasia e il mobilio eccentrico — così anni '80! aveva detto l'architetto, arricciando il naso — erano stati sostituiti da pareti bianche impreziosite da quadri che costavano un occhio della testa e divanetti scuri dalla linea elegante.
Dietro la scrivania c'era anche una nuova receptionist ed era la ragazza più bella che lui avesse mai visto: una bambola dalla pelle chiara, con lunghi capelli scuri e labbra rosse e carnose incurvate in un sorriso di circostanza.

«Buongiorno!» esclamò il ragazzo, avvicinandosi. «Noi due non ci conosciamo, vero?»

Ora che le era più vicino riuscì a cogliere il divertimento e l'intelligenza che brillavano negli occhi verdi, appena schermati da un paio di occhiali senza montatura. Occhi penetranti che luccicavano di curiosità.

«Lei è il figlio del capo» replicò,, stringendosi nelle spalle e indicando con un gesto della mano il corridoio che si estendeva dietro di lei. «La sta aspettando, ma immagino che conosca la strada.»

Lui si portò la mano al petto, fingendo un'espressione costernata.
«Mi congedi in questa maniera così fredda, bellezza?»

«Non dovrei?»

Nell'incrociare il suo sguardo ammiccante, le labbra della receptionist si arricciarono in un sorriso di pura civetteria.
Sarebbe bastato fingersi indaffarata per sottrarsi alla sua corte, ma non lo fece, lasciandosi invece distrarre da chiacchiere banali— come ti chiami, da dove vieni, da quant'è che lavori qui — che non le erano mai parse così interessanti.
Voleva sapere tutto di quello sconosciuto perché aveva la strana sensazione di averlo già incontrato: cercò nelle sue parole una conferma a quell'istinto, ma non la trovò.
Erano cresciuti in due città diverse, avevano frequentato scuole differenti e circoli di amici agli antipodi, vivendo vite parallele e distanti che li avevano infine condotti lì, in quell'ufficio al sedicesimo piano della torre Sud del World Trade Center.
Stavano chiacchierando da soli dieci minuti e quel ragazzo l'aveva già conquistata con il suo fascino da finto rubacuori; aveva scoperto che invece di seguire le orme del padre si era gettato a capofitto nell'ingegneria edile e che accarezzava il sogno di poter aprire un giorno uno studio tutto suo.
Lui, dal suo canto, fu sorpreso e deliziato nello scoprire che lei, oltre ad avere i suoi stessi gusti in campo musicale, aveva un gran cuore: quel lavoro part-time le serviva per pagarsi l'università, grazie alla quale aspirava a diventare un'insegnante.
Entrambi pensarono che fosse un segno del destino essersi incrociati per un caso fortuito quella fresca mattina di settembre.
Ma il loro destino, in realtà, correva lungo la traiettoria di un aereo.
Uno schianto lontano, poi uno più vicino.

Il fuoco, il fumo, le grida.

Corsero insieme lungo l'unica rampa di scale rimasta intatta, inseguiti da quel destino a cui cercavano disperatamente di sfuggire.

A un tratto si voltarono a cercare l'altro e non lo trovarono.

Soli, persi nel caos, perirono entrambi.

Terra Unita, 4321 — Estate

«Ehi! Fai più attenzione, mi sei venuto addosso!»

«Scusami, non era mia intenzione. Ecco, ti aiuto...»

«Lascia stare, ho già fatto. Senti, ma ci siamo già incontrati io e te? Hai un volto familiare.»

«Me lo chiedono in tanti, quindi dev'essere piuttosto un volto comune. Però, ora che me lo fai notare, anche la tua faccia non mi sembra del tutto estranea...»

«Oh, è per via della plastica — ho chiesto al chirurgo di darmi un look da icona dei primi anni 2000.»

«Ti sta bene.»

«Grazie. Duemila anni fa gli umani avevano un gusto estetico incredibile!»

«Proprio vero. Ma dove potremmo esserci conosciuti noi due? Chissà perché me ha l'impressione... Forse durante l'attacco kermiano del '13?»

«Oh, no, al tempo ero su Marte dai miei nonni.Tornammo solo dopo il trattato di pace. Perché penso d'averti visto al Ripper?»

«La discoteca? Boh, no, ci sono andato giusto un paio di volte... Non era lì che trovarono morte tutte quelle ragazze?»

«Sì, una cosa orribile... Io ho una sfiga pazzesca, c'ero anche all'incendio del Plaza due anni fa!»

«Cavoli, brutta faccenda pure quella, un sacco di morti!»

«È pur vero che oggigiorno ne salta sempre fuori una e i morti non si contano...»

«Hai ragione, il mondo ormai è andato a rotoli, a nessuno importa più nulla del destino dei singoli esseri umani. Io penso che non dimenticherò mai l'invasione dell'Impero intergalattico, nonostante siano passati molti anni... Persi due fratelli in quella guerra.»

«Mi dispiace davvero molto.»

«Grazie. È strano, mi sembra davvero facile parlare con te, come se non fosse la prima volta. Davvero, ho la certezza che ci siamo già visti, sai, tipo una sensazione di deja-vu, però connessa a un momento importante della mia vita.»

«Beh, in attesa che ci torni la memoria, che ne dici di andarci a prendere qualcosa?»

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