Il bambino stregone
Autore: The_newbohemian1
Carte: la luna, il diavolo, la morte
***
Alzi gli occhi iniettati di sangue vermiglio sulla folla, muovi le pupille dilatate sui volti degli spettatori, studiandone la fisionomia.
Sono diversi da te, dalla tua gente, ridicoli nell'abbigliamento, chiassosi nei modi.
Ti osservano con disgusto e ammirazione, con paura e attrazione, ridono di te, ti lanciano noccioline e ti avvicinano alla bocca disidratata una banana.
Nessuno si è opposto alla tua cattura, nel villaggio, e il mercante ha guadagnato una discreta cifra.
Si sono liberati dello stregone bambino, non piangeranno la tua scomparsa.
Sei solo, lo sai sempre stato.
La tua pelle bianca come il latte di mucca, la tua cornea deturpata da una rete intricata di vene infuocate, i tuoi capelli biondissimi e la corporatura fragile hanno fatto di te un mostro: porti il marchio del diavolo, di tuo padre.
Ti è andata bene, perché a quelli come te accadono cose ben peggiori, gli si amputano gli arti perché le vostre ossa sono miracolose, se ne fanno pozioni e unguenti prodigiosi.
Ti sei sempre chiesto perché ti facessero sentire sbagliato, perché ti sputassero addosso, ti denigrassero, facessero segni di scaramanzia al tuo passaggio, come se potessi lanciare loro il malocchio con un solo sguardo.
Sei nato debole, fragile, incredibilmente sensibile ed emotivo, capace di emozionarti nel vedere il sole sorgere o tramontare, di raccontare le tue paure e le tue disgrazie alle stelle, alla luna; gli astri celesti sono sempre stati gli unici ad ascoltarti.
Una volta, uno sciamano ti disse che in te dimorava un demone arcaico, e che se solo avessi preso coscienza del tuo potere interiore, se solo avessi trasmutato il dolore in energia, avresti potuto distruggere ogni cosa.
Caos e morte dimorano in te, dal principio stesso del tuo concepimento.
Eppure, ti sei sempre sentito un inetto, intrappolato nella maglia delle superstizioni; un reietto, abbandonato da tutti, persino dalla madre che ti aveva dato la vita.
Senti una voce che rimbomba nella tua testa, e non riesci a stabilire se si tratta del ricordo della profezia dello sciamano, se vi sia qualcuno nella tua mente che ti sussurra parole di vendetta e trasmutazione, o se le sevizie e il lungo viaggio in mare ti stiano semplicemente rendendo pazzo.
Hai il potere, ma non riesci a dargli forma.
Più il pubblico ti schernisce, e più vorresti annichilirti, lasciarti morire; eppure una parte di te è feroce, prega che tu accetti di combattere la tua indole delicata, remissiva, sottomessa, per riconquistare la tua libertà.
Per renderti finalmente degno agli occhi di tuo padre.
"Venite, signori, venite a vedere lo scherzo della natura. Dalle foreste del continente nero, il selvaggio dalla pelle di porcellana! Venite a farvi beffe del negro albino, il ragazzo dimenticato da Dio!".
La voce di quel disgustoso saltimbanco è come uno stiletto che ti penetra nelle carni, che ti infilza il cervello.
Ormai sei schiavo da abbastanza tempo, per apprendere questo basta della loro insulsa lingua e intenderne lo scherno.
Non sei mai stato impulsivo, anzi; l'ombra di te stesso, abituato ad uscire di notte, quando il sole non brucia e la gente non può fissarti con malvagità.
Adesso, però, senti che qualcosa in te sta cambiando.
Qualcosa si è rotto, riversando lava incandescente nel tuo cuore.
Stringi le nocche, un formicolio ti attraversa le mani, tutta l'epidermide, andando a illuminare un punto preciso al centro della fronte.
Sollevi la testa, che fino a quel momento avevi nascosto in grembo, e punti lo sguardo sugli spettatori.
Questi, che non si sono ancora stancati di vociare e ridere sotto i baffi, vengono mesmerizzati dalla carismatica espressione che hai assunto.
Non sei tu a parlare, non sei tu a fissare con seducente intensità gli avventori di quel freak show a buon mercato; non lo avresti mai fatto, tu che da sempre sei così pacato, così impacciato, pallido come la luna che tanto ami e ammiri.
Inspiri profondamente, e ad ogni respiro avverti l'aria scaldarti il petto, ribollire come vapore acqueo, posarsi come un macigno sul tuo cuore stanco di scherzi e offese inconcepibili.
E' ora di crescere, di far uscire la vera natura, di assecondare il volere degli altri esseri umani; vogliono un mostro, un demonio sceso sulla terra, e questo avranno.
Spalanchi la bocca ed emetti un urlo primitivo, rozzo, e noti come la gabbia in cui sei prigioniero inizi ad oscillare, le sbarre che si scuotono con violenza.
Il panico dilaga, e a te non importa, tutt'altro; provi un piacere unico nel disseminare il terrore.
Finalmente ti temono per un motivo.
Questa ira primordiale tu l'avevi già avvertita, ma l'avevi in qualche modo repressa; ti spaventava l'idea di essere potente, ed eri troppo umile per capire che assieme alla paura, c'è sempre un principio di ammirazione.
Concentri le pupille sulla tua prigione, focalizzi l'energia infuocata sul metallo arrugginito, finché le sbarre non si frantumano, milioni di schegge che volano a velocità impressionante, andando a graffiare gli spettatori in prima fila.
A nulla valgono gli interventi degli uomini del circo, perché riesci a spazzarli via con un semplice movimento della mano, quelle stesse mani che ogni giorno della tua vita hanno rischiato di essere tagliate e vendute in cambio di due galline.
Sei esasperato, realizzi solo ora quanto dolore il tuo corpo di adolescente ha sopportato, quanto la tua mente prodigiosa è stata inquinata dai commenti altrui.
Sei il figlio del diavolo, questo fa di te una creatura semidivina, ed è bene che l'umanità impari ad accettarlo.
Poter usare il proprio potere è meraviglioso, una sensazione estatica, penetrante, quasi sensuale, che ti inebria i sensi.
Hai scoperto di poter spostare gli oggetti quando eri ancora un bambino, e ti nascondevi dalle angherie dei tuoi compagni; ti concentravi fino a sentire le tempie esplodere, tutto per creare un diversivo e poter fuggire nella direzione opposta.
Al tempo, era la paura il sentimento dominante che attivava il tuo potere.
Ora, è l'odio.
La vendetta è bella, è dolce come il miele, e brucia sulle ferite degli spettatori, che si accalcano per uscire dal tendone.
No, non fuggiranno.
Pagheranno, a nome di tutti coloro che ti hanno fatto del male.
La struttura appare bloccata, come per magia, una forza oscura che impedisce loro di aprire la porta, di sollevare la tenda, di guadagnarsi uno spiraglio verso la salvezza.
Poveri, patetici.
Non sai fin dove puoi spingerti, ma ti basta richiamare alla memoria le botte, il senso di debolezza, l'umiliazione, la fragilità, per diventare sempre più forte.
Basta uno sguardo per dar fuoco all'impresario del circo, una pira umana che si dimena e si contorce in spasmi raccapriccianti; basta uno schiocco delle tue dita per spezzare a metà una donna che ti indica con il dito bitorzoluto e urla la parola: "Mostro".
Panico e disperazione ti riempiono le orecchio, il naso, gli occhi, in una sinestesia totalizzante.
Ti diverti a far roteare in aria dei ragazzini, coloro che ti hanno lanciato le noccioline, per poi scaraventarli fuori dallo spettacolo.
Sono contusi, ma vivi; a loro l'onorevole compito di tornare a casa e diffondere la voce: il figlio del diavolo è in città, e vuole pareggiare i conti con l'umanità intera.
Una grassa signora che ha sostituito l'espressione altezzosa con una maschera tragica viene strangolata dalla forza invisibile che si sprigiona dalle tue membra telecinetiche, e tu ridi, ridi come non hai mai fatto in tutta la tua misera vita.
Quando ai tuoi piedi vedi solo cadaveri e corpi moribondi, ti senti svuotato, anche se euforico.
Un applauso mesto si alza da un punto indistinto.
Sollevi gli occhi, sorpreso e infastidito: chi è sopravvissuto alla sua furia cieca?
Un uomo ben vestito, i lunghi capelli neri acconciati in morbide treccine, muove alcuni passi verso la tua direzione.
Indossa un completo elegante, di ottima fattura, e porta un cappello a cilindro sul quale sono stati appuntati minuscoli teschi di animale; o forse, sono teschi di piccoli umani?
La sua barba è anch'essa intrecciata, con perline pregiate e conchiglie, e il pomo del suo bastone è di un scintillante colore giallo.
Oro?
La sua pelle è scura come la notte, i lineamenti marcati tradiscono un volto piacevole, eppure i suoi occhi, privi di iride e sclera, sono braci incandescenti, cenere che ricopre due cavità vuote.
Non serve altro per comprendere che l'uomo materializzatosi all'improvviso, è tuo padre.
"Finalmente, la tua transizione è completa", sussurra, con atteggiamento sinceramente compiaciuto.
La voce, quella voce; la voce che per tutti questi anni ti ha sussurrato parole di ambizione e rivincita, di furore e morte.
E' quella, la voce che ti ha accompagnato nella tua vita.
L'uomo ti tende una mano, mentre con l'altra segna un cerchio perfetto sul pavimento.
Da sotto i suoi piedi, una profonda depressione si crea nel terreno.
Lo segui, intimorito.
Lui ti esorta, dolcemente: il suo fascino è abbagliante, la sua bellezza folgorante, e tu non puoi fare a meno di chiedergli: "Sei mio padre?".
L'uomo ride, divertito, per poi replicare: "Certo, Ade. Io sono il padre di tutti i reietti, delle creature della notte, dei bambini stregone, come te".
"Come posso chiamarti? E cosa devo fare per te", chiedi, in preda all'emozione.
Finché discendete il ventre della terra, e l'aria si fa pungente, l'uomo ti rincuora: "A tempo debito ogni cosa verrà svelata. In quanto al nome, puoi chiamarmi nel modo in cui tutti nel nuovo continente si rivolgono a me".
"Quale sarebbe, di grazia?".
"Papà Legba ".
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