Parte 3

"Cosa ti aspetti... da me, in quanto tuo consorte? [...] All'impero serve un erede... Ma io, che sono un maschio, quale beneficio posso portarvi?"

Detto ciò si decise ad alzare nuovamente lo sguardo.

Avrebbe tanto voluto sapere che espressione aveva assunto il suo sovrano sotto la maschera dorata, ma non gli era possibile.

Temeva così tanto la domanda che gli aveva posto che non si era accorto di aver smesso subito di parlargli in modo informale, mentre la pronunciava.


Quando Lang Ah Rinn, dopo un silenzio che sembrò infinito, tese nuovamente la mano verso di lui, Yanhvar non si ritrasse. Lasciò che gli sfiorasse il viso e che gli accarezzasse i capelli con il tocco gentile della sua mano guantata.

"Non ti chiederò molto altro," rispose lasciandolo confuso per un istante. "Giacerai con me per rendere valida la nostra unione. Poi, per la questione degli eredi, ci sono sempre le concubine. Che siano figli miei o tuoi, non farà alcuna differenza. Saremo sposati, perciò saranno di entrambi, cresciuti allo stesso modo e con l'accesso alle stesse possibilità," continuò, in tono piatto.

All'improvviso non percepì più la mano dell'imperatore sul suo viso come leggera. Era diventato un gesto soffocante, ora che il rifiuto gli chiudeva la gola. La profonda consapevolezza di non volere una vita così, della quale non capiva il senso. Il fatto che fosse in trappola, perché a lui doveva tutto.

Lang Ah Rinn si accorse della sua espressione vuota, persa in riflessioni poco piacevoli, e spostò la mano. Soppresse un sospiro nella maschera.

"Perché... scegliere me, anziché una donna?" chiese allora il giovane, richiamando la sua attenzione. "In questo modo sarebbe stato più... facile."

"La vita non è fatta di scelte facili," rispose subito l'imperatore. "Te l'ho detto, quando sono partito cercavo un consorte, non una donna. Un giorno... potrò spiegarti il perché."

Lo aveva chiaramente infastidito, perciò il ragazzo non si sentì nella posizione di parlare di nuovo.

Per dire cosa, poi? Meglio restare zitto e riflettere, perché aveva molto a cui pensare adesso.

Per sua fortuna vennero raggiunti da Bosan con gli altri soldati al seguito, quindi il breve momento di silenzio imbarazzante terminò.

Montarono a cavallo e ripartirono, ma questa volta Yanhvar sentiva il cuore pesante. Non guardò con curiosità i paesaggi sconosciuti che attraversavano, non osservò con entusiasmo il cammino nel cielo dei Fratelli.

Seduto davanti al suo sovrano nonché futuro marito, si perse a riflettere su ciò che sarebbe successo da quel momento in avanti. Intanto prese coscienza del calore del suo corpo che, stando così vicino a lui, gli scaldava la schiena.

Giunse alla conclusione che, visto che aveva rischiato di essere venduto come schiavo, qualsiasi destino sarebbe stato migliore di quello a cui era sfuggito.

Avrebbe servito il suo imperatore nel modo che lui avrebbe preferito.

Si fermarono al tramonto stabilendosi in una radura pianeggiante.

Lang aiutò Yanhvar a scendere da cavallo, mentre il giovane si proponeva di imparare a fare da solo almeno quello per non essere un peso.

Degli uomini accesero il fuoco per preparare un pasto a base delle provviste che avevano portato con loro.
Vedendo la fiamma divampare sotto al pentolone il ragazzo si rese conto di quanto volesse bere una tazza di tè. Dovette reprimere il desiderio.

Al posto di quello, senza chiedere niente, l'imperatore gli offrì l'acqua da una borraccia. Lui chinò il capo per ringraziarlo silenziosamente e l'accettò, prendendone un sorso.

Non era ciò che voleva, ma doveva ammettere di essere assetato.


Lang si era accorto che l'atteggiamento del suo futuro consorte era cambiato. La sua espressione, quando avevano parlato fuori dalla locanda, non gli era passata inosservata.

Si sentì libero di togliere la maschera, dato che non c'era nessun altro oltre a loro nelle vicinanze, e trascorse il tempo che li separava dal pasto a tenerlo d'occhio.

Yanhvar faceva finta che andasse tutto bene.

Dei soldati avevano srotolato una mappa per controllare quanto mancasse al palazzo e il giovane si era subito mostrato interessato.

Gli aveva detto di non essere mai stato al di fuori del villaggio e forse non conosceva bene la geografia dell'impero. Era normale che volesse capire dove si trovassero... O forse gli serviva saperlo per poter scappare.

Il pensiero, una volta sbocciato poche ore prima, non aveva più mollato il sovrano.

Avrebbe accettato, anche se con l'orgoglio a pezzi, un suo rifiuto. Al contrario non avrebbe accettato la sua fuga, messa in atto di nascosto pur di non parlare apertamente con lui.

Stese un telo sul prato. In mancanza di locande nella zona avevano sempre dormito all'aperto, salvo i giorni di brutto tempo nei quali avevano allestito delle tende. Per lui non era un problema e i soldati erano abituati.

Yanhvar si era seduto con gli altri, ma non stava parlando con nessuno.

Aveva lo sguardo rivolto al cielo e il suo animo si era quietato. L'aria fresca della sera gli aveva imposto di avvolgersi bene nel mantello, ma lo aveva anche rinvigorito.

Lang gli si avvicinò distraendolo dalla contemplazione della Nutrice.

La sua espressione corrucciata, nella penombra, era indecifrabile per il giovane.

L'imperatore gli fece segno di seguirlo sul telo che aveva steso e lui obbedì in silenzio.

Si coricò sorprendendosi quando lo sentì stendersi dietro di lui, troppo vicino per non essere notato.
La mano sinistra dell'imperatore superò il suo corpo e andò a posarsi sul tessuto, dove Yanhvar poté vederla bene.

Lo teneva vicino a sé quasi senza toccarlo.

La cosa inizialmente gli riportò alla mente tutti i pensieri di quel pomeriggio insieme all'angoscia per la sua nuova situazione senza via d'uscita.

Poco dopo, però, si fece confortante: avvertiva il calore di Lang alle sue spalle e il suo braccio, appoggiato a lui in un punto, non era pesante né gli dava fastidio. Dimenticò presto il freddo della notte, mentre si abbandonava al sonno.


I giorni successivi non furono molto diversi, ma non per questo furono monotoni.

Attraversarono a cavallo i boschi e le distese verdeggianti dei campi, fermandosi a mangiare e a dormire dove capitava.

Con Lang ci furono poche occasioni per parlare, non di loro due almeno. Era come se, per entrambi, fosse diventato un argomento difficile.

Anche le sere trascorsero allo stesso modo, con l'imperatore che si addormentava al suo fianco tenendolo vicino a sé. Qualche volta era successo all'aperto, altre volte invece nelle sale comuni delle locande, troppo affollate per offrire camere singole.

Non che l'imperatore, nascosto dietro alla sua maschera, volesse ottenere trattamenti di favore facendo presente il suo rango nobiliare.

Yanhvar ritenne che fosse meglio così.

Dividere il letto con Lang in una stanza solo per loro due... Sarebbe successo prima o poi, ma era felice che il momento venisse rimandato il più possibile.

Non lo infastidiva la sua presenza, ma non sapeva cosa aspettarsi da lui né come reagire.

Riuscì a poco a poco a dimenticare, seppur non del tutto, il suo timore nei confronti delle donne. Infatti ne videro molte sul loro cammino verso la capitale.

In ogni caso, dopo la prima notte, le mattine si fecero sempre più pesanti e la sua insolita stanchezza si trascinò persino fino al pomeriggio.

Desiderava un tè rinvigorente, ma non poteva averne e si sentiva sempre più a terra, a volte anche tremante per la mancanza di forze.

Nascose il suo malessere all'imperatore, ma lui se ne accorse lo stesso quando svegliare il giovane diventò difficile.

Non avevano niente per curarlo e le sue condizioni non sembravano poi così critiche. Lui stesso negava di stare male, insistendo perché non pensassero a lui e proseguissero il viaggio, per questo non si fermarono a consultare i guaritori dei villaggi vicini.

Ci vollero due settimane intere per giungere nelle zone periferiche di Roth, dove affittarono una carrozza per continuare a viaggiare non visti.

All'interno, in compagnia di Lang che adesso aveva tolto la maschera, Yanhvar non riuscì più a resistere al sonno e si addormentò.

L'imperatore lo osservò a lungo, consapevole che nessuno potesse vederlo.

Si era accorto che il ragazzo aveva iniziato a tremare negli ultimi giorni, ma aveva dato la colpa al freddo. Gli aveva lasciato il mantello, ma intanto aveva consultato Bosan per capire se potesse trattarsi di un altro sintomo dell'astinenza. Il capitano glielo confermò.

In mancanza del parere di un guaritore, potevano solo lasciarlo riposare e tenerlo d'occhio.

In ogni caso, nel giro di poche ore sarebbero arrivati al palazzo reale e, una volta lì, si sarebbero subito precipitati dal medico di corte perché lo aiutasse. La sua salute era stata messa da parte per troppo tempo.

Lang sospirò. Aveva la fronte corrugata, come sempre, ma lo sguardo tradiva la sua preoccupazione. Sebbene si fosse mantenuto freddo nei confronti di Yanhvar, stava iniziando ad abituarsi alla sua presenza e al fatto che sarebbe rimasto con lui per sempre.

In fondo, non era fuggito.

Certo, la sua situazione si era rivelata complicata sin dal principio, ma la vita non era mai facile.

Ripeté nella sua testa quella frase per darsi coraggio. Aveva sentito spesso suo padre pronunciarla, poi i funzionari l'avevano rivolta a lui quando era dovuto salire al trono prima del previsto.

Persino il guaritore di corte l'aveva ripetuta, quando era stato il momento di guardare in faccia la realtà.

Aveva scelto un consorte su cui nessuno avrebbe avuto da ridire, ma probabilmente sarebbe stato così in ogni caso, chiunque avesse scelto.

D'altra parte, lui incuteva timore in chi aveva intorno.

Persino i suoi soldati, Bosan a parte, faticavano a guardarlo in viso quando non portava la maschera. Per questo la indossava sempre, persino a palazzo.

Yanhvar, invece, non lo temeva. Lo aveva accolto con gratitudine e ingenuità, come se lui fosse uguale a tutti gli altri, e un trattamento così prezioso Lang non l'aveva mai ricevuto.

Era per questo che, tra tutti gli uomini incontrati sul suo cammino, aveva scelto lui.

Quando ebbero attraversato Roth fino a giungere nei pressi del palazzo, l'imperatore svegliò il suo futuro consorte scuotendolo leggermente.

Stavolta il giovane, avendo potuto dormire più del solito, non tardò ad aprire gli occhi.

Notò che il suo sovrano aveva indossato nuovamente la maschera mentre, dai finestrini aperti della carrozza, si vedeva una città colorata, viva e in festa. Erano arrivati a destinazione.


Mentre entravano a palazzo, i servi si inchinarono in modo profondo per salutare con riverenza Lang Ah Rinn.

Yanhvar, sorpreso dallo sfarzo dal quale si trovò avvolto, si accorse di non aver mai visto tante persone tutte insieme.

Il sovrano venne distratto dai funzionari che lo avevano raggiunto per aggiornarlo su ciò che era successo in sua assenza.

Mentre lui ci parlava, il giovane venne attorniato da due cameriere e quella che sembrava una governante. Non lo avevano mai visto, ma dovevano aver capito subito chi fosse.

Prima che potesse rendersene conto venne trascinato via da loro fino a un bagno dove lo lavarono, ignorando le sue proteste, e poi in una camera dove lo vestirono.

Era troppo imbarazzato dalla situazione e intimidito da quelle donne per capire che si trattava della sua camera, dove avrebbe dormito fino al matrimonio e anche in seguito, se l'imperatore non avrebbe desiderato la sua presenza ogni notte.

Lang lo raggiunse lì.

Indossava la maschera, ma il modo brusco con cui aprì la porta e il suo passo cadenzato bastarono per far trasalire cameriere e governante.

Era arrabbiato perché gli avevano sottratto il consorte senza permesso.

Anche Yanhvar intuì il suo stato d'animo. Si spaventò quando, senza proferire alcuna parola, l'imperatore lo afferrò per un polso per portarlo via con sé.

Una volta fuori dalla stanza lo liberò dalla presa, temendo di aver esagerato.

Il ragazzo adesso gli rivolgeva uno sguardo preoccupato, anzi confuso.

"Ti ho cercato per tutto il palazzo," dichiarò in tono severo. "Andiamo dal guaritore, seguimi."

Detto ciò si avviò per primo, controllando però che il giovane lo stesse seguendo.

Sopraffatto dalla situazione, Yanhvar si era dimenticato completamente della stanchezza, dei tremori e anche della magia, che adesso non vedeva più tutta intorno a loro.

Il medico di corte era un signore anziano con lo sguardo e la voce gentili. Ascoltò la sua storia, raccontata da Lang senza il bisogno che lui aggiungesse niente, e lo visitò subito dopo aver esaminato il sacchetto contenente il tè sospetto.

Infine decretò che era in astinenza dalla sostanza e gli consegnò una boccetta medicinale per combatterla nei giorni successivi.

Lo avrebbe visitato regolarmente per assicurarsi che migliorasse, o in caso contrario per cambiare cura.

Ascoltato il suo responso, Lang lo consegnò a un cameriere insieme al medicinale e vennero spediti entrambi nella stanza di prima, mentre l'imperatore indugiava a parlare ancora con il guaritore, in privato.


A cena, Yanhvar fece la conoscenza ufficiale della governante e degli alti funzionari. Nessuno, a differenza di ciò che immaginava, fece domande sulle sue origini o questionò i suoi modi. Si sentì comunque fuori posto e capì che avrebbe dovuto imparare molto sulla vita di corte, prima che la sua posizione cambiasse.

La sera venne riaccompagnato nella propria camera, dove si coricò da solo.

Credeva che Lang avrebbe voluto altrimenti, ma non era stato così.

Sdraiarsi in un letto grande e vuoto fu una sensazione nuova, stranissima. Qualcosa a cui non si sarebbe abituato facilmente, a differenza di come si era adattato alla presenza dell'imperatore al suo fianco.

Quel letto era così grande da essere freddo e triste, proprio come il mondo adesso che non era più luccicante di magia.

Yanhvar non era abituato al contatto fisico. Non che al tempio lo evitassero completamente, ma erano tutti maschi, i maestri non li avevano cresciuti donando loro l'affetto tipico di una famiglia e i rapporti stretti venivano ostacolati.

Adesso che aveva iniziato la sua nuova vita lontano dalle usanze del villaggio gli sembrava tutto così assurdo... al punto che non gli pareva possibile che avesse avuto una madre, un tempo. Come se fosse stato solo, tra le grinfie del Gran Maestro, sin dalla nascita. Forse era stato davvero così.

Il contatto fisico con Lang non lo aveva infastidito, anche perché il loro era stato un avvicinamento graduale. Dormire accanto a lui, però, era stato comunque strano... all'inizio. Ci aveva fatto l'abitudine ormai, e adesso la cosa insolita era non averlo con sé.

Colto dai pensieri negativi, dovette comunque arrendersi al sonno che si era fatto troppo insistente, malgrado avesse iniziato a prendere le gocce medicinali ricevute nel pomeriggio.


L'indomani, fece colazione da solo con più cibo di quanto ne avrebbe potuto desiderare.

Trascorse il suo tempo con la governante che gli insegnò le basi del galateo insistendo finché non riuscì a ricordare tutto.

Il resto del suo tempo libero lo dedicò alla risoluzione dei rompicapi in legno che aveva portato con sé dal villaggio.

Si accorse praticamente subito che Lang lo faceva seguire a distanza da alcuni soldati, e questi restavano fuori dalla sua stanza quando lui era all'interno.

Vide l'imperatore solo a cena e, questa volta, consumarono il pasto senza la presenza pressante dei funzionari o di altre persone oltre ai camerieri. L'aria tra loro, però, si era fatta pesante.

Lang Ah Rinn, che era stato lontano da palazzo per diverso tempo, si era trovato nuovamente sommerso dai doveri, dalle carte da controllare e dalle decisioni diplomatiche da prendere. Non aveva avuto tempo per Yanhvar, ma era convinto che il giovane fosse più contento così.

Intavolò una conversazione tiepida cercando di spronarlo a visitare il castello, dato che non aveva visto ancora niente. Aveva saputo, dai suoi soldati, che lui era a malapena uscito dalla sua camera da letto.

Yanhvar rispose con poca enfasi al suo suggerimento, tra un boccone e l'altro.

L'imperatore aveva notato che lui aveva ancora l'aria stanca e presentava ancora i tremori, malgrado cercasse di nasconderlo.

Infatti il giovane sperava che questi sparissero al più presto, sollevandolo dal peso di una delle sue tante preoccupazioni. Inoltre nessun tè assaggiato a palazzo sembrava soddisfarlo, ma era solo il suo secondo giorno lì.

Dopo il pasto fu Lang stesso ad accompagnarlo lungo il corridoio, in direzione della camera.

Solo quando furono arrivati alla porta, e il più grande fece per andarsene, Yanhvar prese coraggio e parlò.

"Quando si terranno le nozze?"

Lang, sorpreso dalla domanda, esitò un istante.

Aveva temuto che non lo volesse più sposare, invece gli chiedeva una data. Forse, si disse, lo faceva per rendersi conto del tempo che lo separava dalla sua condanna a vita.

"Quando ti sentirai meglio," tagliò corto, restando però a osservare la sua espressione che si spegneva.

"Io mi sento già meglio, vostra Altezza."

"Lang," sottolineò l'imperatore, e il giovane rispose semplicemente annuendo.

Sembrava deluso.

"Ci vorrà un po' perché tu possa tornare nel pieno delle tue forze, non mettiamo fretta alle cose. In questo tempo potrai abituarti alla presenza delle donne."

"Mi sono già abituato," gli fece notare Yanhvar.

A quelle parole, lo sguardo corrucciato dell'imperatore parve indurirsi ancora di più.

"Quando ci sposeremo, entrambi giaceremo con le concubine al fine di generare un erede. Ne saresti in grado già adesso?"

Il giovane si morse l'interno di una guancia, pentito di aver insistito.

No, non si sentiva in grado né voleva testare la sua risolutezza. Anzi, il solo pensiero di dover adempiere a un dovere simile gli chiudeva la gola.

L'imperatore rilassò le spalle e anche il suo tono di voce si alleggerì.

"Chiederò che domattina ti vengano presentate le concubine. Sarà meglio che tu prenda confidenza con loro il prima possibile," dichiarò, e ancora una volta fece per andarsene.

"Non... non entri, Lang?" gli chiese Yanhvar, che aveva già aperto la porta.

L'imperatore non poteva in realtà, ma per un attimo vacillò senza sapersi spiegare il perché. Studiò lo sguardo del ragazzo ed ebbe l'impressione, alla luce fioca della lampada, che le sue guance si fossero imporporate.

A palazzo le cose funzionavano diversamente, non poteva dormire con lui e assicurarsi in prima persona che non scappasse, non finché non erano sposati. Doveva limitarsi a lasciare delle guardie fuori dalla sua porta.
Quindi no, non poteva entrare.

Scosse la testa e lo salutò, aspettando che il ragazzo entrasse prima di incamminarsi, questa volta davvero, verso le proprie stanze.


Le concubine di Lang Ah Rinn erano tre e gli vennero presentate subito dopo colazione. Sembravano provenire dai più disparati angoli dell'impero.

Una addirittura non parlava, segno che capiva solo marginalmente la loro lingua.

A introdurle a Yanhvar fu la governante, dato che il sovrano era impegnato.

Un tempo le concubine erano state molte di più, ma questo non glielo raccontò nessuno. Erano accorse a palazzo e avevano partecipato a una selezione prima di poter diventare a tutti gli effetti sue amanti. Chi gli avrebbe dato un figlio sarebbe diventata sua moglie, l'imperatrice. Quando però lui aveva iniziato a viaggiare alla ricerca di un consorte maschio, e quindi per loro la speranza di ottenere la corona era sparita del tutto, la maggior parte delle donne era tornata al proprio paese.

Erano passati alcuni anni da allora.

Le tre concubine, che erano meno di quante Yanhvar si aspettava, erano calme e lo trattarono con rispetto e gentilezza. Il giovane non colse i loro nomi, schiacciato dalla pressione che avvertiva addosso.

Sapeva che un giorno, molto presto, avrebbe consumato un rapporto con loro. Erano le concubine dell'imperatore e questo era ciò che lui gli aveva chiesto, anche se non riusciva a capirne il motivo.

Inoltre, probabilmente non era visto bene dalle ragazze. D'altra parte avrebbe occupato il posto che loro desideravano.

Non notò un atteggiamento strano nei suoi confronti, segno che lo disprezzavano o invidiavano. No, le giovani furono cortesi e non si sbilanciarono.

L'incontro durò solo pochi minuti, dopodiché lui uscì dalla stanza preferendo cambiare aria. Si era sentito soffocare in loro presenza.

Non avendo niente di particolare da fare, cedette alle pressioni che gli aveva fatto Lang e chiese alla governante di guidarlo per il castello. Il giro andò avanti per un po' e Yanhvar si sentì sopraffare dallo sfarzo che caratterizzava ogni ambiente.

Ciò che lo affascinava di più, però, era la città.

Roth, la capitale dell'impero, era grande e meravigliosa.

Aveva potuto vederla a malapena, dato che aveva dormito durante gran parte del viaggio, e adesso poteva ammirarla dagli alti balconi che davano sull'esterno.

Da lontano, come un uccello in gabbia, proprio lui che aveva trascorso all'aperto quasi tutta la sua vita, lavorando alle dipendenze del Gran Maestro.

Hai tempi aveva una prospettiva, qualcosa in cui sperare, sebbene fosse tutto falso. Adesso... non lo sapeva bene. Aveva accettato ciò che gli aveva chiesto l'imperatore, ma non era del tutto convinto di volerlo davvero.

Non voleva ritrovarsi prigioniero di quella situazione, con niente da fare e sentendosi inutile.

Perché proprio lui? Perché Lang Ah Rinn non lo aveva semplicemente liberato, com'era successo agli altri ragazzi del villaggio? E perché il bisogno di bere del tè si era fatto martellante, fisso, e la sua sete insaziabile?

Con le mani strinse il corrimano, l'aria fresca che gli solleticava il viso.

Poteva quasi sentire le persone che si muovevano lontane nella città, ma era solo un'illusione. Qualcosa di evanescente, che riuscì a distrarlo solo marginalmente.

Il mondo, negli ultimi giorni, si era fatto più grigio. Non aveva del tutto perso i colori, ma gli sembrava che avesse comunque perso una parte fondamentale. L'aria non era più carica di magia, così come la terra non lo era di energia. Niente era come l'aveva sempre percepito.

La vista di Roth riusciva a distrarlo anche da questo, ma non del tutto.

L'assenza di Lang contribuiva ad aumentare il suo sconforto.

Comprendeva che avesse degli obblighi, che fosse molto occupato, ma non riusciva a smettere di pensare che lo aveva trascinato lì per poi lasciarlo solo, in preda ai pensieri negativi.

Pranzò in totale solitudine, se non fosse stato per la governante che si premurò di ribadire ancora una volta a cosa servissero tutte le posate presenti sulla tavola.

Dopo il pasto bevve un tè insipido, dopodiché si avviò verso lo studio del medico.

I corridoi del palazzo erano tutti uguali tanto che, se non fosse stato accompagnato da un cameriere, si sarebbe perso più e più volte.

L'anziano lo visitò come il giorno precedente, gli fece delle domande, infine lo rassicurò: il peggioramento dei suoi sintomi era dovuto alla cura, che aveva iniziato a contrastare l'astinenza.

Le sue parole non gli diedero davvero conforto.

Sulla strada per la sua camera, dove intendeva stare da solo a risolvere i suoi rompicapi, notò Bosan. I loro sguardi si incontrarono e il più giovane avvertì il bisogno di rivolgere la parola a una persona amica. Non che lui e il capitano lo fossero, si conoscevano giusto da qualche settimana, ma gli altri dipendenti del castello, a differenza di lui e Lang, erano per Yanhvar dei completi estranei.

"Altezza," lo salutò chinando il capo il soldato.

Il giovane strabuzzò gli occhi, confuso.

"Bosan, non dovete trattarmi con rispetto, non serve," sottolineò, trovando molto strana la cosa.

"Presto sarete il consorte dell'imperatore," gli fece notare il più grande. "Sarebbe scortese il contrario."

"Capisco..." rispose, ma gli dispiacque di non essere riuscito a fargli cambiare atteggiamento. "A proposito di lui, lo avete visto oggi?"

"Sì, vengo dal suo studio proprio adesso," rispose il soldato, corrugando leggermente la fronte.

Non aggiunse altro e lo stesso fece Yanhvar. Non sapeva cosa fosse il caso di dire e cosa no, quindi preferì tacere, salutarlo e ritirarsi nella sua camera.


Rivide Lang a cena, quella sera.

Gli chiese della sua visita dal medico, della quale era stato informato, e il discorso proseguì in modo tiepido.

Yanhvar si ritrovò più volte a osservarlo per lunghi istanti, a domandarsi se l'imperatore non si fosse pentito della sua scelta. Dopotutto, non sembrava contento di parlare con lui.

Distogliendo l'attenzione dal suo viso, fece caso al fatto che le cameriere ne erano impaurite. Facevano del loro meglio per non farlo notare ma era comunque palese, e il fatto che lui non rivolgesse loro lo sguardo gli fece immaginare che ne fosse al corrente.

Dopo il pasto e un altro tè insipido, Yanhvar venne accompagnato alla sua stanza.
Come la sera prima, nessuna guardia era presente. Solo lui e Lang.

Ancora una volta indugiò sulla porta, questa volta intenzionato a trovare parole più giuste per invitarlo dentro, nella speranza che accettasse.

"Lang... vorresti entrare a parlare un altro po' con me, in privato?"

L'imperatore lo studiò a lungo con i suoi occhi gialli, poi annuì. In quell'istante Yanhvar avvertì tutta la tensione che aveva accumulato svanire.

Entrarono insieme, lui chiuse le porte e invitò il sovrano ad accomodarsi sul divanetto della stanza, rivolto, come anche due poltrone, verso un tavolino basso.
Uno spazio perfetto per gustare del buon tè.

"Pensavo che non apprezzassi le nostre conversazioni a tavola," ammise Lang, guardandosi intorno.

Non aveva dimestichezza con ogni stanza del palazzo, ma aveva ordinato che al suo consorte venisse affidata la migliore tra quelle degli ospiti e poté constatare che era un ambiente all'altezza della sua richiesta.

"Cosa ti ha dato questa impressione?" domandò, confuso, il giovane che si era seduto su una delle poltrone.

"Rispondi a malapena..." continuò l'imperatore, lasciando poi libero un sospiro.

"È perché temo che siate voi a non voler parlare con me... che abbiate cambiato idea sul mio conto... E non si respira un'aria piacevole a tavola..." ammise, sentendosi uno stupido.

Abbassò lo sguardo e strinse i pugni sulle ginocchia, sotto lo sguardo attento di Lang.

L'imperatore si era accorto che i tremori c'erano ancora, e chissà quando lo avrebbero abbandonato. Si accorse anche della sofferenza nei suoi occhi e nella sua voce.

"Io non ho cambiato idea, Yanhvar. Hai... ripreso a parlarmi con riverenza," gli fece notare.

Il giovane tirò un sospiro di sollievo.

"Scusami, non mi sono ancora abituato," ammise poi, con un sorriso che gli affiorava sulle labbra.

Lang, che non si aspettava di vedergli fare un'espressione rilassata e gioiosa, rimase senza parole per un istante.

"Le... le cameriere," disse il giovane, cambiando discorso. "Ho avuto l'impressione che ti temessero, ma non ne capisco il motivo."

Anche l'imperatore rilassò il viso, senza però smettere del tutto di corrugare la fronte.

"Il fatto che tu non ci faccia caso mi sorprende ogni volta," ammise rivolto altrove, poi tornò a guardarlo. "Sono i miei occhi ciò che temono. Il loro colore è il motivo per cui porto la maschera."

"E perché mai?" gli chiese subito Yanhvar, confuso. "Sono di un colore così raro e particolare..."

"Sono come quelli di mia madre. Lei è morta alla mia nascita, ma è riuscita a conquistare mio padre al punto che lui ha mandato via tutte le altre concubine e non ha preso una seconda moglie in seguito. È per questo che sono figlio unico, il che è insolito nella stirpe imperiale," svelò.

Quando tornò a guardare Yanhvar, capì di non avergli dato una spiegazione sufficiente.

"In tutto il regno si è diffusa la diceria che lei fosse una strega e che i suoi occhi ne fossero la prova. Chiaramente mio padre ha messo a tacere subito queste voci, ma il raro colore dei miei occhi basta a spaventare chiunque mi incontri," continuò.

"Ma è terribile," commentò senza paura il più giovane. "È per questo che non hai mai creduto alla magia?"

"Sì... in effetti," ammise, non aspettandosi quella domanda.

Yanhvar annuì, ritrovandosi però senza altre domande. Temeva che il suo silenzio lo avrebbe allontanato e sperava di poter prolungare il loro tempo insieme. Non voleva trovarsi da solo in un letto freddo, non così presto.

"Lang... tu sai che ho compiuto diciotto anni mentre eravamo in viaggio. Mi piacerebbe sapere quanti anni hai tu," si decise a chiedere.

"Ventisei," rispose, sorprendendolo.

Yanhvar aveva creduto che ne avesse di meno, ma non osò dirlo. Sorpreso da quella rivelazione si ritrovò senza parole, incapace di aggiungere altro.

"Devi scusarmi, mi sarebbe piaciuto festeggiarti ma, in viaggio, ho perso la cognizione del tempo. Potremmo recuperare in questi giorni," continuò l'imperatore.

La sua proposta gli arrivò del tutto inaspettata, facendogli strabuzzare gli occhi. Poi però si impose di tornare calmo e abbassò lo sguardo.

"Perché avreste dovuto festeggiarmi? Ci conosciamo a malapena..."

"Questo non ha importanza. Io ho scelto te come mio consorte, non dimenticarlo."

C'era qualcosa di autoritario nel suo tono in quel momento, ma a Yanhvar le sue parole fecero piacere lo stesso.

"Allora la proposta mi fa molto felice," rispose.

"C'è qualcosa che vorresti come regalo? La maggiore età segna un traguardo importante, e come tale va celebrato nel miglior modo possibile."

Il giovane strinse i denti.

Desiderava solo una cosa, del tè, ma era tutto ciò che non avrebbe mai potuto avere.

La sua mano sinistra, stretta a pugno sul suo ginocchio, prese a tremare infastidendolo.

Lang si sporse in avanti e appoggiò una mano sulla sua facendolo sobbalzare per la sorpresa. Si ritrovò a pochi centimetri dai suoi occhi chiari e profondi, indecifrabili.

"So che oggi hai conosciuto le concubine. Se mi prometti che non scapperai, puoi ritenerti libero di..."

"Scappare per andare dove?" lo interruppe Yanhvar, voltando il viso per non incrociare il suo sguardo. "Non lo farò, hai la mia parola. Era così sin dall'inizio," sottolineò, suonando più freddo di quanto avrebbe voluto.

Ciò che stava per offrirgli non gli era piaciuto affatto.

L'imperatore spostò la mano, come scottato dalla sua reazione.

"Mi fido di te, Yanhvar," puntualizzò.

"Per questo lasci delle guardie fuori dalla mia porta e mi fai seguire ovunque io vada? Non c'è bisogno che stiano a distanza, le ho viste," ribatté, infastidito.

Lang strinse i denti e la sua espressione si indurì ulteriormente.

Avrebbe voluto dirgli che erano lì per sua protezione, ma ormai era ovvio che non fosse soltanto questo.

"Cosa vuoi sentirti dire, che ho temuto te ne andassi di nascosto? Finalmente ho scelto un consorte, non voglio che mi sfugga tra le dita."

Le sue parole e il suo tono offesero Yanhvar, che sentì gli occhi inumidirsi.
Abbassò lo sguardo e si voltò altrove con l'intenzione di tornare calmo e non farglielo notare.

Nel frattempo Lang Ah Rinn si rese conto di ciò che aveva detto e si alzò in piedi, ma prima di muovere un passo verso la porta si rivolse nuovamente a lui.

"Ho viaggiato per mesi interi alla ricerca di un consorte, ogni anno da quando sono diventato imperatore. Alcuni non hanno voluto saperne, altri si sono rivelati inadatti, e tutti quanti erano accomunati da una cosa: avevano paura di me. Quando ti ho trovato, avevo ormai perso le speranze..." detto questo, avanzò verso la porta con l'intenzione di andarsene, ma si fermò. "Sei l'unica possibilità che mi è rimasta. Un tuo rifiuto mi distruggerebbe... ma sarebbe accettabile, al contrario di scoprire che sei fuggito."

Detto ciò uscì senza più ripensarci, sbattendo la porta alle sue spalle.


Note di quella che scrive

E così la nostra coppia è alla loro prima lite... ma bene. Visto cosa succede a non parlarsi chiaramente, tenendo segrete le cose importanti?

A proposito, cosa ne pensate del capitolo e della storia finora?

Qui abbiamo scoperto qualcosa in più su Lang Ah Rinn, ma mancano ancora alcuni tasselli per poter vedere davvero l'intero puzzle...

Forse questo capitolo era un po' lento, ma i prossimi dovrebbero avere un ritmo più interessante. Inoltre, magari avrete notato che lo stile "vagamente solenne" del primo capitolo va lentamente a perdersi, perché ho scritto questa storia in un lungo arco di tempo senza riuscire a mantenerlo... sigh. Spero che nella lettura non dia troppo fastidio.

A presto!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top