Parte 1

In quella notte senza stelle, la pioggia scrosciava senza sosta abbattendosi sul sentiero lastricato, sulle case di legno e sugli alberi circostanti.

Nel villaggio tirava uno strano vento gelido che sembrava voler preannunciare qualcosa di lugubre, tanto che Yanhvar si affrettò a mettere a posto gli strumenti usati per la lezione, così da poter tornare a casa al più presto.

In quel periodo i paesini della zona stavano subendo degli attacchi da parte dei banditi.

Se fossero arrivati fino a lì, questo pensava il giovane, il Gran Maestro li avrebbe respinti. Peccato che non fosse presente in quel momento: avevano chiesto il suo intervento in un altro villaggio più a rischio del loro, quindi lui era partito senza esitazione dopo aver fatto le dovute raccomandazioni ai maestri più alti in grado.

Terminato il suo compito, Yanhvar spostò lo sguardo sulla stradina bagnata, ancora martoriata dalla pioggia, che lo separava dalla sua dimora. Nell'aria, piccole particelle di magia scintillavano fiocamente, in attesa che qualcuno di capace le incanalasse.

Lui sentiva quella stessa magia fremere leggera sulla superficie della sua pelle, in un contatto che non poteva definirsi nemmeno un solletico.

Forse si sarebbe ammalato, pensò, ma era un piccolo prezzo da pagare per riuscire a mettersi al caldo nel suo letto.

Stava per muovere un primo passo fuori dal porticato quando del clamore in lontananza lo distrasse. Si strinse nella veste, infreddolito, mentre cercava con lo sguardo cosa avesse prodotto quel frastuono.

Un brivido gelido gli corse lungo la schiena.

Niente.

Aveva sentito chiaramente un rumore, ma in quella notte senza stelle il villaggio sembrava deserto, quasi fosse disabitato.

Si decise a procedere e fu allora che le vide: luci di lanterne in movimento accompagnate dal rumore metallico della battaglia.

Gli si gelò il sangue nelle vene e l'istinto gli impose di arretrare fino a tornare, ora bagnato, sotto alla tettoia.

La torcia posta all'interno dell'edificio illuminò la sua figura rendendolo visibile, anche se per metà si era nascosto dietro a una colonna.

I briganti erano arrivati davvero e non c'era neanche l'ombra dei maestri. C'era soltanto lui, pietrificato dal panico, che osservava quella scena consapevole di non potersi difendere in alcun modo.

No, c'era qualcun altro.

Una figura in armatura si fece strada, a cavallo, tra i predoni, affrontandoli brevemente uno a uno. La sua lama si scontrava con le loro finché, inevitabilmente, questi perdevano l'equilibrio e finivano a terra.

Dietro di lui ne giunsero altri, un piccolo gruppo di soldati al suo seguito. Erano pochi, ma sembravano riuscire a tener testa ai banditi.

In particolare il loro comandante, che indossava una maschera dorata a coprirgli il viso, sembrava imbattibile e senza paura come un eroe uscito da una storia antica.

Yanhvar si riscosse e decise di approfittare della confusione per sgusciare non visto nell'oscurità, sotto la pioggia, e mettersi in salvo.

Era impotente e quasi non scorgeva più la magia tutta intorno a loro, consapevole di non poter attingere a essa per aiutare i soldati come avrebbe voluto. Scappare era la sua unica possibilità.

Procedendo circospetto per sparire dal loro campo visivo, continuò a tenere d'occhio lo sconto per assicurarsi che non si spostasse fino a raggiungerlo.

E poi avvertì un clangore diverso da quelli prodotti da spada contro spada: qualcuno aveva colpito il viso del soldato misterioso facendogli cadere la maschera che lo copriva.

Il giovane discepolo la vide roteare in aria e finire a terra poco distante da dove si trovava, scontrandosi con i ciottoli del sentiero lastricato.

Quando alzò di nuovo lo sguardo sullo scontro riuscì per un attimo a scorgere il volto dell'uomo illuminato dalla lanterna.

Gli occhi sottili che risplendevano di una luce gialla, la fronte corrugata nella foga di combattere.

L'aver perso la maschera non sembrava averlo turbato, anzi dimostrava ancora tutta la sua determinazione.

Doveva essere proprio un eroe uscito da un racconto, per essersi spinto fino alle regioni periferiche e dimenticate per scacciare i banditi.

Questi si spostarono altrove nel tentativo di sfuggirgli, sgusciando tra le case nell'obbedire agli ordini urlati di uno di loro, e i soldati li rincorsero senza esitazione.

Yanhvar si ritrovò allibito, fermo sotto alla pioggia ora meno intensa, a domandarsi se avesse assistito davvero a una scena simile o fosse stata solo una fantasia.

No, la maschera a terra confermava che era tutto vero.

Controllando che nessuno fosse rimasto nei dintorni, si affrettò a raccoglierla e si avviò verso la propria casa.

Una volta qui, si ripulì e si asciugò.

Con indosso abiti asciutti, ma che purtroppo non erano in grado di scaldarlo del tutto, tornò all'ingresso della sua dimora dove aveva abbandonato la maschera e la esaminò.

La strofinò con un panno inumidito per pulirla, stupendosi della sua meravigliosa fattura. Pareva composta da scaglie di oro vero saldate tra loro.

Osservò poi il laccio robusto con cui veniva sorretta, che era stato spezzato dal colpo di spada del bandito. Si domandò se avesse qualcosa per ripararlo, quindi iniziò a cercare nei mobili di casa.

Un po' di tempo dopo, quando bussarono alla porta, aveva finito di lavorare da un pezzo e stava per versarsi il tè prima di andare a dormire.

Si alzò da tavola e andò ad aprire domandandosi se fosse uno dei maestri che aveva bisogno di qualcosa, a quell'ora insolita.

Si ritrovò invece davanti una figura imponente. Un uomo alto e col fisico allenato coperto da un'armatura con dettagli in oro, che indossava un mantello e aveva il cappuccio calato sulla testa.

Anche se non gli vedeva il viso, lo riconobbe subito come il soldato misterioso e la consapevolezza lo fece barcollare per un istante.

"Voi avete qualcosa che non vi appartiene," tuonò lo sconosciuto avanzando di un passo, senza però varcare la soglia.

"Sì!" rispose prontamente Yanhvar, scattando a prendere la maschera per porgergliela subito, a capo chino. "Avete salvato il villaggio... Credo di poter dire, a nome di tutti, che vi siamo infinitamente grati," aggiunse, mantenendo la posizione.

L'uomo esitò prima di raccogliere nelle proprie mani la maschera, ma non rispose alle sue parole.

"Mi sono permesso di ripararla," disse quindi il giovane, alzando lo sguardo.

In quel momento riuscì a cogliere l'espressione minacciosa del soldato che per un attimo lo spiazzò. Poi intuì che era pensieroso per qualche motivo che non lo riguardava, dato che non lo stava nemmeno osservando, e si rilassò. Notò però che aveva una ferita sanguinante a lato del viso, sulla mascella.

"Siete ferito..." disse e, senza paura, sollevò un fazzoletto pulito nella sua direzione.

Il soldato gli impedì di avvicinarsi frapponendo una mano guantata tra sé e la stoffa, e questa volta lo guardò direttamente.

I suoi occhi erano di un insolito color giallo, in quel momento il giovane discepolo ne ebbe la conferma. Erano assottigliati in un'espressione che di gentile aveva ben poco, ma non riuscirono a intimidirlo.

"Non serve. Vi ringrazio per averla riparata," aggiunse, sollevando la maschera per indossarla.

Si fermò un istante prima di farlo, tornando a osservare Yanhvar.

Dietro di lui, gli altri soldati rimasti a debita distanza parevano irrequieti.

Non pioveva più, ma nell'aria fredda si respirava l'odore di umidità. La magia era tornata ben visibile, nella casa e all'esterno, sottoforma di finissime particelle di luce fioca.

Nessuno sembrava presente oltre a loro. Gli altri studenti dovevano essersi rintanati nelle loro case, spaventati. I maestri, invece, perché non si erano visti?

Solo in quel momento lui ci aveva pensato, rendendosi conto del silenzio che avvolgeva ancora il villaggio.

"Voi non siete spaventato dal mio aspetto?" gli chiese il soldato, riportando la sua attenzione su di sé.

Il giovane inclinò la testa di lato, perplesso.

Non capiva per quale motivo avrebbe dovuto spaventarsi al cospetto della persona che li aveva salvati.

Certo, aveva una figura imponente ed era un abile guerriero dalla voce profonda e dallo sguardo severo, ma non aveva motivo di avercela con lui.

Piuttosto, il fatto che si stesse rivolgendo a lui con rispetto era strano. Yanhvar era abituato a farlo con gli altri, essendo solo uno studente di bassa lega, ma nessuno lo faceva con lui. Doveva quindi trattarsi di qualcuno venuto da lontano, ma non per questo lui lo temeva.

"No," rispose, sicuro, dopo aver riflettuto per qualche secondo. "Posso medicarvi la ferita, se volete seguirmi in casa. Ci vorrà un attimo, mi sembra il minimo per chi ci ha salvati."

L'uomo esitò nuovamente, ma alla fine annuì. Prima di seguirlo fece cenno agli altri di restare fuori.

Era quasi troppo alto per la piccola casa che Yanhvar abitava da solo. Quando aveva compiuto sedici anni, il gran maestro gli aveva concesso di lasciare il dormitorio comune perché imparasse a svolgere in autonomia le faccende domestiche che esulavano dai compiti del tempio. Un fardello in più, ma che gli permetteva di avere i suoi spazi.

Ora che il soldato era lì con lui, la dimora sembrava essersi ristretta. L'effetto insolito sparì non appena il suo ospite si sedette per farsi medicare, ancora studiando circospetto l'ambiente e il padrone di casa.

Aveva abbassato il cappuccio, rivelando una cicatrice da taglio sull'altra guancia e dei lunghi capelli neri, oltre alla pelle candida e perlopiù immacolata.

Yanhvar non si lasciò intimidire dal suo atteggiamento restio. Intinse il fazzoletto in un unguento appena preparato e lo tamponò delicatamente sulla ferita finché non fu sicuro di averla medicata a dovere.

La magia fluttuava tutta intorno a loro, ma il giovane purtroppo non era in grado di attingervi per rendere più efficace quella medicazione.

In ogni caso, si sentiva sollevato ora che i banditi erano stati allontanati, e l'aver in casa il motivo della loro fuga lo faceva sentire protetto. Inoltre si domandava chi fosse e da dove provenisse.

"Come vi chiamate?" si sentì chiedere, dovette quindi interrompere il suo flusso di pensieri.

"Yanhvar Naye," rispose, stranito. "Ma tutti mi chiamano Naye... Non serve che mi diate del voi, non sono nessuno di importante," specificò.

Anziché rispondere, l'uomo annuì.

Non si era presentato a sua volta, perciò il giovane prese coraggio e si rivolse a lui.

"Voi come vi chiamate?"

Il guerriero esitò nuovamente, spostando lo sguardo dall'arredamento al viso di Yanhvar.

"Lang Ah Rinn," disse poi.

"...Come... l'imperatore..." mormorò il ragazzo, iniziando a sudare freddo.

Il tono calmo e sicuro che aveva usato, insieme al fatto che fosse un soldato con al seguito un piccolo esercito, non gli lasciarono dubbi, e il fazzoletto gli cadde di mano per lo shock.

Si prostrò in ginocchio.

"Vostra altezza, perdonatemi se vi ho offeso! Avrei dovuto portarvi al tempio, non nella mia casa che è così piccola e umile..."

Si morse le labbra. Era mortificato per il fatto che si fosse comportato con leggerezza davanti alla persona più importante di tutte.

Sperò che non intendesse punirlo e si domandò cosa ci facesse lì.

"Ora che sai chi sono, hai iniziato a temermi?" gli chiese l'uomo, ma la sua domanda non sembrava volta a intimidirlo.

Piuttosto, c'era una nota di curiosità nella sua voce.

"No!" rispose Yanhvar con decisione, alzando solo il capo. "Sono mortificato, voi siete venuto fin qui, ci avete salvati e io non vi ho nemmeno riconosciuto..."

"E come avresti potuto? Adesso alzati," gli chiese e questo suonò quasi come un ordine alle orecchie del ragazzo, abituato a farsi comandare a bacchetta tutto il giorno dai maestri.

"Riguardo al tempio, ci sono stato poco fa e non sono stati molto... ospitali. Accompagnami tu, ci sono delle cose che mi devono essere chiarite."

"Subito, vostra altezza!"

Yanhvar dimenticò completamente il suo tè serale e fece strada al sovrano, che dopo aver indossato nuovamente la maschera lo seguì.

Era vero, non aveva mai visto l'imperatore prima, ma si sentiva comunque uno stupido per non averlo riconosciuto e per come si era rivolto a lui.

Ora il suo viso era di nuovo coperto, ma Yanhvar lo aveva studiato nei minimi dettagli mentre lo medicava.

Doveva essere molto giovane, poco più grande di lui. Aveva i lineamenti fini, ma non delicati, il che lasciava qualche dubbio su quale fosse la sua vera età.

Spostandosi tra gli edifici in direzione del tempio, sempre più ragazzi li notarono e si affacciarono alle finestre delle proprie case. Vedere che i soldati erano scesi da cavallo e si trovavano in compagnia di un discepolo doveva averli tranquillizzati.

"In questo villaggio siete tutti molto giovani... e tutti maschi," commentò Lang Ah Rinn, che si stava guardando intorno.

Al loro passaggio le particelle di magia si spostavano lentamente, come per aprire la via. Yanhvar le sentì accarezzargli la pelle mentre si facevano da parte.

"Siamo apprendisti del Gran Maestro, vostra altezza," rispose il giovane, che teneva in mano una torcia per illuminare la via.

"Un intero villaggio di apprendisti... Cosa studiate?"

"Magia," rivelò lui, come se fosse la cosa più ovvia.

L'imperatore non rispose, lasciandolo a domandarsi cosa stesse pensando. Indossava la maschera, quindi era difficile comprendere il suo stato d'animo.

In ogni caso, ormai erano giunti al tempio.

Uno dei maestri doveva averli visti, perché li stava aspettando sulla soglia. Aveva l'espressione infastidita e teneva le braccia incrociate.

"Naye! Cosa ci fai con loro?" domandò con tono affilato.

"Sua altezza l'imperatore mi ha chiesto di accompagnarlo al tempio," rispose, cercando di apparire il più rispettoso possibile nei confronti del loro illustre ospite.

Il volto del superiore cambiò totalmente espressione, rendendo palese che fosse sconvolto.

"L'impe..." sussurrò, per poi arretrare e sparire all'interno.

Il giovane rimase interdetto.

Un istante dopo, l'uomo tornò alla porta insieme al Gran Maestro: un vecchio dalla testa pelata, con un lungo pizzetto grigio.

Yanhvar per un attimo credette di vedere un miraggio. Non si aspettava che fosse già tornato e la cosa gli fece sorgere alcune domande, che dovette reprimere non solo perché non era nella posizione per indagare sulle faccende del suo insegnante, ma anche per via della presenza dell'ospite importante.

Accompagnare l'imperatore, anche se solo per qualche breve minuto, era un onore ma anche un'emozione enorme. Trovandosi tra lui e il Gran Maestro, non seppe a chi rivolgersi e cosa dire. Era solo uno studente di bassa lega, cosa ci faceva ancora lì?

Capì che qualsiasi cosa avesse in mente il sovrano non erano affari suoi, e non era nessuno per restare al tempio ad assistere alla sua conversazione con l'anziano mago.

A malincuore, si voltò lentamente verso Lang Ah Rinn e si inchinò in avanti, lasciando sott'inteso il fatto che stava togliendo il disturbo.

"Resta," gli ordinò, risoluto.

Perplesso, Yanhvar alzò di nuovo lo sguardo su di lui. Non potendo vederlo in viso non aveva la minima idea di quale fosse il suo stato d'animo e cosa stesse pensando.

Perché doveva rimanere?

"Io sono il Gran Maestro di questa comunità," annunciò l'anziano, con un tono di voce che trasmetteva autorità.

Il più giovane tornò a guardarlo, confuso dal suo atteggiamento.

Facevano parte dell'impero, quindi perché il mago non sembrava voler mostrare accoglienza al loro ospite?

"E io sono Lang Ah Rinn, imperatore di Velus" tuonò il soldato mascherato.

Gli uomini al suo seguito si erano fatti tesi. Squadravano l'anziano come si guarderebbe un nemico e Yanhvar se ne accorse.

"Ho saputo che avete scacciato i banditi. Grazie per aver protetto il villaggio mentre ero via," disse il Gran Maestro, chinando appena il capo.

"È stato un caso. Ero in viaggio per motivi personali e ho saputo dei problemi che sta vivendo questa regione. Preferirei parlarne dentro, se non vi dispiace."


Il vecchio mago fece un cenno a qualcuno che si trovava all'interno, dopodiché si fece da parte.

"Solo voi, mio imperatore. Non c'è spazio per tutti nel nostro umile tempio."

"In tal caso, mi farò accompagnare soltanto dal capitano delle guardie."

Si voltò verso uno dei soldati e gli indicò di seguirlo.

"Naye, va' a casa. Per oggi hai fatto abbastanza," gli disse il Gran Maestro con tono di critica, dopo che i due forestieri furono entrati.

Il giovane schiuse le labbra per rispondere, ma venne interrotto.

"Preferirei che fosse presente," sottolineò l'imperatore.

"Come desiderate," rispose il vecchio, dopo un attimo di esitazione.

Seguendoli all'interno, Yanhvar si domandò cosa stesse succedendo. Ormai era notte, avrebbe dovuto essere a letto da tempo, invece era lì per volere del sovrano in persona.
Perché voleva che restasse?

Prima di entrare con loro nella saletta dove si sarebbero seduti a parlare, il giovane si accorse che, nei corridoi vicini, gli altri maestri bisbigliavano e si muovevano con aria tesa. Non li raggiunsero per salutare l'ospite, quasi ne fossero spaventati.

Si accomodarono a terra intorno a un tavolino basso sul quale non c'era nemmeno una tazza di tè. Lo avrebbe preparato lui se solo glielo avessero chiesto, ma il Gran Maestro non sembrava volergli riservare quella cortesia.

"Cosa vi porta nel nostro umile tempio?" domandò.

"Una domanda, anzi molte. Cosa fate qui?" chiese, con fare inquisitorio.

Il vecchio non si scompose.

Piuttosto rivolse lo sguardo a Yanhvar, che nei suoi occhi lesse qualcosa di freddo e accusatorio. Lo aveva visto così solo quando aveva commesso degli errori gravi, in passato.

"Ho ragione di credere che il nostro Naye vi abbia già detto di cosa ci occupiamo."

"È esatto, ma credo di avere il diritto di sentirlo da voi, in quanto vostro imperatore," sottolineò, e la sua voce si fece minacciosa.

Il vecchio non si lasciò intimorire.

"Magia," disse solo, con enfasi.

Alla sua parola, questa si mosse impercettibilmente attorno a loro facendo vibrare l'aria.

Era impossibile capire cosa stesse pensando l'imperatore, dato che indossava la maschera. Il soldato al suo fianco, al contrario, era un libro aperto. Aveva sgranato gli occhi in un'espressione di indignato stupore. Come chi, incredulo, si ritrova a prestare orecchio alla bugia peggiore di sempre.

"Perché non ne ero a conoscenza?" rispose freddamente Lang Ah Rinn.

"Perché questo posto, ufficialmente, non esiste. Ho stipulato un contratto di segretezza con il precedente imperatore, vostro padre. Non deve aver avuto modo di parlarvene, a quanto sembra."

"Gradirei vedere questo... contratto," disse, dopo un breve momento di silenzio.

Yanhvar aveva i nervi a fior di pelle.

Ancora confuso come prima se non di più, non sapeva se aspettarsi di essere punito dal maestro da un momento all'altro, oppure criticato dall'imperatore per via di qualcosa che aveva fatto senza essersene reso conto.

Sperava che non fosse questo il motivo per cui lo aveva voluto lì. Lo conosceva da poco, ma aveva una grande stima di lui sin da prima, stima che si era accresciuta in quei brevi istanti insieme.

Il vecchio mago chiese a uno dei suoi sottoposti di portargli i documenti e nell'attesa che tornasse calò un silenzio gelido nella stanza.

Il giovane, a disagio, si strinse nella veste come per trovare conforto. Fu inutile.

"Mentre aspettiamo, potreste essere così gentile da mostrarmi una delle vostre magie," chiese l'imperatore, spezzando la tensione che si era creata.

"Purtroppo al momento non mi è possibile. Ne ho compiuta una per tornare in fretta qui da un villaggio vicino e necessito di tempo per riprendermi."

"Di quanto tempo stiamo parlando, di preciso?"

"Ore, giorni forse, a seconda del caso."

Alle spalle del sovrano, il soldato aveva assunto un'espressione diversa. Era arrabbiato.

Non credevano alle parole dell'anziano, Yanhvar stava iniziando a rendersene conto.

Non capiva come fosse possibile, ma in effetti, a differenza sua, non avevano avuto alcuna prova di quanto fossero veritiere. Non avevano visto di cosa fosse capace la magia, non erano stati istruiti a cosa fosse e a come farne uso.

"Tu invece?" gli chiese Lang Ah Rinn, facendolo tornare al presente.

Il giovane ci mise un attimo per capire che stava parlando con lui, ma poi si riscosse e spostò lo sguardo dal sovrano al maestro e di nuovo al primo, agitato.

"Io non sono in grado, la mia magia sarà sbloccata con la cerimonia... tra sei lune," rivelò, sentendosi con le spalle al muro.

Ancora una volta, il vecchio mago gli rivolse uno sguardo gelido.

"Cerimonia?" chiese l'illustre ospite, questa volta al Gran Maestro.

"Si tratta del raggiungimento della maggiore età. Per i nobili avviene a sedici anni, per i giovani maghi invece si attende fino ai diciotto. La cerimonia serve per sbloccare il potenziale magico, sotto l'influsso benefico della Nutrice," spiegò.

Finalmente arrivò il maestro con i documenti e Yanhvar, notando l'attenzione di tutti spostarsi su quelli, si sentì più leggero.

Il vecchio mago estrasse il contratto da una pila di pergamene ingiallite e lo consegnò al loro ospite, che lo esaminò a lungo.

Quando ebbe finito, lo riconsegnò all'uomo senza commentare.

"E cosa avviene dopo la cerimonia?" chiese invece. "Resterà qui ad allenarsi nell'uso della magia?"

"No, i giovani maghi maggiorenni partono per un viaggio nel quale impareranno tutto ciò che occorre per dominare questa antica arte."

Seguì un altro silenzio carico di tensione nel quale il soldato fissò il mago con occhi taglienti mentre quest'ultimo, calmo, rimaneva in attesa di una risposta da parte dell'imperatore.

"In tal caso mi piacerebbe che Yanhvar venisse con me alla capitale, dopo la cerimonia. Potrebbe mostrarmi qualche magia, e sarebbe utile avere qualcuno così dotato al mio fianco."

Il capo delle guardie lo osservò incredulo, schiudendo le labbra, mentre il Gran Maestro sgranava gli occhi.

"Non si può!" ribatté in tono alterato. "Un mago deve andare dove il suo destino ha deciso."

Il giovane adesso era più confuso che mai. Gli era da sempre stato detto che, in futuro, uno di loro avrebbe potuto ricevere l'onore di servire l'imperatore come suo consigliere. Adesso che l'opportunità si era presentata, e proprio a lui per giunta, perché il maestro si opponeva in quel modo?

"Non mi importa della cerimonia," tuonò il sovrano, cambiando completamente atteggiamento. "Ho deciso, lui verrà con me. Le vostre tradizioni non contano niente davanti a un mio ordine, spero che questo vi sia chiaro."

Detto ciò, si alzò e tese una mano al giovane perché facesse lo stesso.

Lui gli rivolse uno sguardo smarrito ma carico di emozione. Lo aveva scelto davvero e ciò aveva dell'incredibile.

Sperava solo che aspettasse la cerimonia, altrimenti sarebbe stato inutile.

Mise con esitazione la mano sulla sua e l'imperatore lo aiutò ad alzarsi con un gesto delicato, come se non volesse spezzarlo.

Il Gran Maestro li osservò con sguardo infuriato.

Li seguì fino alla porta, sebbene fosse chiaro a tutti che non potesse imporre nulla all'imperatore.

"Cosa volete dal mio apprendista?" si limitò a chiedere, quando loro ebbero varcato l'uscio.

"Le mie intenzioni non vi riguardano. Avete tanti altri apprendisti, ve ne farete una ragione."

"Avete scelto lui?" chiese il capitano delle guardie, mentre si allontanavano dal tempio.

"Sì," rispose brevemente il sovrano, con tono infastidito.

Yanhvar, ancora al suo fianco, aveva molte domande ma non sapeva come porle, né se fosse il caso.

"Ehm, vostra Altezza... Sono onorato, ma spero che vorrete aspettare dopo la cerimonia, altrimenti non sarò in grado di usare la magia," si decise a precisare.

Lang Ah Rinn si voltò verso di lui, ma non rispose.

"Ti accompagno a casa. Intanto vorrei che mi raccontassi tutto ciò che sai sulla cerimonia," disse dopo qualche secondo di silenzio.

Mentre camminavano, di nuovo seguiti dai soldati, Yanhvar gli raccontò di come si svolgesse e di cosa accadesse dopo.

Ogni giovane mago maggiorenne partiva insieme a un maestro verso una meta ignota, stabilita da quest'ultimo. Durante il viaggio gli iniziati capivano quale fosse il loro destino. Si separavano dal maestro, che tornava al tempio, e proseguivano da soli verso altri luoghi dove avrebbero appreso tutto sulla magia, direttamente sul campo.

"I maghi sono mai tornati? Scrivono lettere al tempio?" domandò poi il sovrano.

"No..." rispose Yanhvar, perplesso. "I maestri dicono che sono troppo impegnati con la loro nuova vita, per questo non mantengono i rapporti con noi."

Dopo averlo detto udì un breve sospiro da parte dell'imperatore, anche se suonò ovattato per via della maschera.

"Alcuni diventano persino consiglieri per la vostra corte, o generali," aggiunse imbarazzato, a sguardo basso. "È per questo che volete portarmi con voi?"

Ancora una volta, Lang Ah Rinn non rispose.

Ormai erano arrivati a destinazione e il giovane temette che si sarebbero separati prima che potesse essergli chiara la situazione.

"Se mi permetti di seguirti all'interno, potrò rispondere alle tue domande."

Lo sguardo del giovane si illuminò e un sorriso spontaneo gli si dipinse sul volto.
Non dovette rispondergli a parole, aprì la porta e gli fece segno di entrare, allargando un braccio e chinando il capo con riverenza.

"Bosan, tu aspetta qui," ordinò l'imperatore, rivolgendosi al capitano delle guardie.

"Sì, vostra altezza," rispose questi, mentre loro entravano insieme in casa.



Note di quella che scrive

Io che inserisco gli spazi tra i paragrafi su Word, così da avere tutto già pronto per copiarlo su Wattpad: 😎
Sempre io che, incollato il capitolo qui, trovo degli spazi doppi, strani, e quindi devo rifarli tutti a mano: 🤯

Cavolate a parte, rieccomi con una nuova storia BL dai tratti fantasy/storici. Adoro scrivere queste cose e spero che il primo capitolo vi abbia incuriositi!

A proposito, secondo voi cosa ha in mente l'imperatore?

Vi avviso già che la storia è completa, perché ho deciso di non pubblicare mai più qualcosa che sto ancora scrivendo con il rischio di interromperlo a metà. Quindi cercherò di non farvi aspettare troppo per gli aggiornamenti.

Nell'attesa del prossimo capitolo mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.

A presto! xx

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