Capitolo ventisei
Anche quando aveva deciso di dare retta a Mejri e dirigersi a est, Dirsjt aveva continuato ad avere un cattivo presentimento. Aveva voluto credere che fosse solo apprensione, che dovesse ancora abituarsi a essere lontano da Hxarin-sur.
Ma ora capiva di avere perfettamente ragione.
Quando per giorni non aveva visto altro che il territorio piatto e monotono del deserto si era convinto di non avere nulla da temere a parte l'aria calda e secca. Aveva cambiato idea quando, pochi secondi prima, la sabbia appena davanti a lui era esplosa in un turbine soffocante e qualcosa di enorme e mostruoso ne era emerso. Qualcosa che assomigliava alla testa squamosa di un serpente.
Si guardò intorno, cercando di capire se Sil e Mejri si erano allontanate a sufficienza. L'umana stava gridando il suo nome, e lui pregò che non fosse ferita, che lei e il bambino stessero bene. Si rimise in piedi, mentre la creatura portava indietro la testa. Era riuscito a evitare che lo colpisse. Non era sicuro di poterlo fare di nuovo.
Provò a estrarre il pugnale che Mejri era riuscita a rubare e a dargli prima della loro fuga. Sapeva come usarlo, ma a cosa sarebbe servito? Il collo della bestia era tre volte più spesso del suo corpo, se anche la lama fosse andata oltre le squame non avrebbe fatto alcun danno.
Forse però l'animale sarebbe stato distratto dal riflesso della luce sul metallo. Doveva attirare il più possibile l'attenzione su di sé. Forse sarebbe stato capace di trattenerlo finché le sue compagne non fossero scappate il più lontano possibile.
Si maledisse in silenzio per non avere dissuaso Mejri. Salvarsi dagli uomini che stavano dando loro la caccia non sarebbe servito a nulla se il serpente li avesse divorati lì. Peggio ancora, accettando di seguire il suo suggerimento l'aveva messa ancora una volta in pericolo.
Non osava distogliere lo sguardo dal mostro e controllare se lei e Sil fossero ancora dietro di lui. Sperò che per una volta lo avessero ascoltato e fossero fuggite. Se fosse stato fortunato le avrebbe raggiunte.
Ma non poteva attaccare, solo provare a scappare e assicurarsi che la creatura non lo seguisse. E senza nessuno al suo posto che fungesse da diversivo per coprire la sua fuga, era consapevole di non avere molte speranze.
La testa del serpente scattò nuovamente verso di lui, e Dirsjt balzò all'indietro evitandola a malapena. La sua velocità gli avrebbe dato vantaggio, ma non sarebbe potuto andare avanti così ancora per molto. Non appena le sue energie avessero iniziato a scemare, non sarebbe più stato in grado di proteggersi.
Sarebbe morto lì. La sua libertà sarebbe finita prima ancora di cominciare. Non avrebbe più rivisto Mejri – non avrebbe mai visto suo figlio.
Ma non permise alla consapevolezza di gettarlo nello sconforto. Doveva resistere il più a lungo possibile. Doveva fare sì che la sua morte servisse a qualcosa. Era stato un errore venire lì, ma voleva essere l'unico di loro a pagare.
Perse presto la concezione del tempo, del tutto insensibile ai richiami di Mejri. Perché non se ne era ancora andata? Sarebbe stato più facile confrontare quell'essere se avesse saputo che lei era al sicuro.
Schivò a fatica l'ennesimo attacco e sentì le gambe cedere. Aveva sottovalutato quanto il cammino fino a quel momento lo avesse stancato. Sentiva che non sarebbe più riuscito a muoversi, per quanto ci provasse. E il tempo che aveva guadagnato forse non sarebbe stato abbastanza.
Sollevò lo sguardo e rimase paralizzato mentre, per un istante, il serpente lo fissava. Il suo occhio era una sconfinata distesa azzurra, appena interrotta dalla pupilla sottile, ed era privo di qualunque espressione. Solo vederlo bastò a impedire qualunque suo tentativo di muoversi, come se fosse ipnotizzato.
Si preparò alla fine, chiedendosi cosa avrebbe provato quando fosse giunto nel mondo degli Spiriti.
Un suono sconosciuto echeggiò nell'aria. All'inizio fu certo di averlo solo immaginato. Poi vide il serpente fermare quello che sarebbe stato l'attacco letale e voltare la testa. Entrambi rimasero immobili per qualche secondo, fino a quando, improvvisamente, l'animale non tornò sotto la sabbia, presto svanendo del tutto.
Dirsjt non osò muoversi. Era certo che il serpente sarebbe tornato da un momento all'altro. E anche se non lo avesse fatto, qualunque cosa lo avesse fatto fuggire sarebbe stata ancora più pericolosa, e lui non aveva più la forza di combattere.
Sentì dei passi avvicinarsi, attutiti dalla sabbia e pensò che si trattasse di Mejri o di Sil. Ma quando provò ad alzare gli occhi, il viso di uno sconosciuto entrò nel suo campo visivo.
Un kamry. Un pantera come lui, per di più. In una mano reggeva qualcosa di simile a una brocca d'argilla dall'imboccatura lunga e stretta, nell'altra una lancia dalla punta di metallo. Dirsjt non riusciva a intuire le sue intenzioni, ma sapeva che se fosse stato attaccato avrebbe avuto la stessa sorte a cui sarebbe andato incontro se il serpente non se ne fosse andato. Era esausto e non sarebbe riuscito a opporre resistenza.
Voltò la testa e scorse Sil e Mejri. Si erano allontanate come aveva sperato, ma ora si stavano riavvicinando a lui, e poté solo chiedersi se lo straniero fosse disposto ad avere pietà per loro dopo averlo finito.
Ma l'uomo si limitò a parlargli in kamry. "Cosa ci fate qui?" La sua voce era profonda e ferma, ma non pareva ostile. Dirsjt tentò di rispondere, ma la sua gola era troppo secca per permettergli di parlare e tutto ciò che emise fu un mormorio roco.
"Ti prego, non ucciderlo!" Lui fece appena in tempo a udire la voce di Mejri prima che lei lo raggiungesse e lo stringesse. Avrebbe voluto respingerla. L'ultima cosa che aveva bisogno di fare era mettersi ulteriormente in pericolo.
Un'ombra di confusione passò nello sguardo dello sconosciuto, ed era improbabile che fosse perché non capiva il kurjt. Sil indietreggiò di qualche passo, tenendo gli occhi fissi su di lui. "Lei è con noi. Non abbiamo cattive intenzioni." scandì in kamry. Lanciò uno sguardo a Dirsjt prima di proseguire. "Vogliamo solo uscire dal deserto. Niente di più."
L'uomo deglutì. "Nessuno andrebbe nel deserto senza uno scopo. Nessuno di noi. Siete fuggiti, vero?"
Se quelle parole fossero venute da un essere umano sarebbero stati sicuri di essere in pericolo. Ma la maggior parte dei kamryn di Godar era composta da schiavi, e a giudicare dallo sguardo quello di fronte a loro non faceva eccezione.
Dirsjt si stupì che non avesse commentato nulla su Mejri, ma forse aveva compreso che una donna umana senza un uomo libero al proprio fianco non era la normalità.
Riprese fiato e annuì. "Ce ne andremo subito. Ci servono solo indicazioni per la strada migliore per uscire da qui." Lo straniero non sembrava nemmeno più intenzionato ad attaccare. Forse li avrebbe aiutati. Dopo quello che era successo, avrebbero fatto meglio a fidarsi delle informazioni che volevano loro date.
"Posso fare di più." rispose l'altro. Stavolta parlava in kurjt, e Dirsjt sentì Mejri trasalire. "Venite con me. Lirt Ayea si è riaddomentato, non vi attaccherà più." Si allontanò. Sil aiutò Dirsjt a rialzarsi e, lentamente, tutti e tre iniziarono a seguirlo.
...
Dhnir non sapeva neanche dove stesse andando o quanto tempo fosse passato da quando aveva lasciato Cirhen. Il terreno irregolare scorreva rapido sotto le sue zampe, che lentamente lo portavano sempre più lontano.
Non riusciva a capire perché si fosse trasformato in quel momento, ma non importava. In quella forma, la sua mente riusciva a pensare di meno a quello che stava succedendo. In forma umana non sarebbe riuscito a ricordare altro che il volto distorto dal dolore del suo compagno.
La sensazione che aveva provato quando lo aveva visto non era molto diversa da quella che aveva sentito quando aveva perso Hjkyan. Stava succedendo in modo diverso e il suo rapporto con Cirhen non era lo stesso – ma stava succedendo di nuovo, e lui, di nuovo, era del tutto impotente.
Aveva qualche conoscenza di guarigione, ma non abbastanza per poterlo salvare. Poteva solo sperare di incontrare qualcuno che fosse disposto ad aiutare un perfetto sconosciuto – e soprattutto a non uccidere uno schiavo fuggiasco – o che semplicemente l'infezione sparisce da solo. Entrambe le ipotesi erano troppo improbabili per avverarsi.
Quasi sicuramente, Cirhen sarebbe morto presto.
Dhnir smise di correre. La sua forma umana riprese il controllo. Crollò al suolo e si raggomitolò su se stesso, permettendosi di piangere. Aveva salvato la vita a Cirhen più volte, e, per quanto poco lo conoscesse, in quei giorni avevano affrontato insieme tutto ciò che li minacciava. Odiava sapere che alla fine fuggire non era bastato a salvarli. Odiava sapere che sarebbe rimasto di nuovo l'unico sopravvissuto. Odiava la consapevolezza che ancora una volta sarebbe rimasto a guardare.
Quando l'ondata più violenta dei suoi pensieri fu passata, si sforzò di calmarsi. Non sarebbe stato utile a nessuno se si fosse lasciato andare troppo a lungo. Si pulì il viso e prese un respiro profondo.
Non si sarebbe arreso. Avrebbe tentato qualcosa fino all'ultimo. Per quanto inutile, non avrebbe certo potuto fare di peggio. Forse sbagliava a pensare subito che fosse giunta la fine. Era possibile che Cirhen resistesse ancora per qualche giorno, e nel frattempo sarebbe riuscito a trovare una soluzione.
Non era così, ma almeno se fosse riuscito a convincersene sarebbe riuscito a muoversi anziché restare a piangere senza risultato.
Osservò i dintorni e una macchia rosso brillante catturò il suo sguardo. Si avvicinò cautamente prima di capire di cosa si trattasse. Un piccolo arbusto di odyhnra era cresciuto nel sottobosco e aveva già prodotto le sue bacche. Erano trascorsi anni dall'ultima volta che ne aveva mangiate, ma ricordava il loro sapore dolce e la rapidità con cui avevano fatto effetto.
Il fatto che fossero cresciute lì significava che era più vicino a casa di quanto immaginasse. Sentì le lacrime affiorare nuovamente agli occhi quando realizzò che, nel momento in cui vi fosse arrivato, non ci sarebbe stato nessuno al suo fianco.
Ma non permise alle proprie emozioni di travolgerlo di nuovo. Si avvicinò e raccolse tutte le bacche che trovava, facendo attenzione a non schiacciarle. Il minimo che avrebbe potuto fare per Cirhen era assicurarsi che non soffrisse.
Tenendo delicatamente in mano i piccoli frutti scarlatti, tornò nel luogo da cui era venuto, sperando che non fosse già troppo tardi.
Quando giunse nel posto in cui aveva lasciato Cirhen, per un attimo pensò di essersi sbagliato a pensare che non si sarebbe ripreso. Il kamry aveva riaperto gli occhi e al suo arrivo aveva debolmente voltato la testa per guardarlo e sembrava averlo riconosciuto.
Ma era ancora troppo pallido e non si muoveva. Dhnir lo raggiunse e provò nuovamente a toccarlo. Era ancora febbricitante e l'odore alieno della ferita permaneva. "Dov'eri?" mormorò il più giovane. "Mi sono svegliato e non c'eri più. Pensavo che mi avessi abbandonato."
Dhnir si irrigidì. Se Cirhen fosse morto prima che lui lo raggiungesse, quella sarebbe stata l'ultima sensazione che avrebbe provato. "Ti ho portato queste." disse solo abbassando la mano verso di lui. "Sono bacche di odhynra. Ti faranno bene. Servono per il dolore." aggiunse. Non avrebbe voluto dargli false speranze.
Cirhen annuì, con un cenno quasi impercettibile. "Grazie. Dammele." Dhnir gli sollevò la testa e lo aiutò a inghiottirle. Sarebbero bastati pochi minuti perché funzionassero.
Nessuno dei due parlò di nuovo, fino a quando l'espressione del kamry si rilassò leggermente. "Non mi resta molto tempo." Non era una domanda. "Grazie per avermi permesso di venire con te. Non volevo restare solo." Il kery non disse nulla. Non poteva contraddirlo.
A cosa erano serviti quei giorni – a cosa era servito fuggire se alla fine il destino di Cirhen era rimasto lo stesso? Se fosse rimasto a Erui prima o poi sarebbe morto comunque, probabilmente presto, ma almeno la sua fine sarebbe stata rapida.
"Mi dispiace di averti seguito per nulla." continuò Cirhen. La sua voce era stranamente calma, ma forse era solo per effetto della odhynra. "Mi sarebbe piaciuto vedere dove mi avresti portato."
Dhnir avrebbe voluto dargli la possibilità di vedere il gelido splendore in cui era nato. Non sapeva cosa avrebbero fatto una volta che fossero arrivati lì insieme, che genere di vita avrebbero vissuto. Forse avrebbe tenuto Cirhen con sé, e sarebbe stato quasi come riavere Hjkyan indietro.
In ogni caso, non aveva più senso pensarci, perché non sarebbe mai accaduto.
"Parlamene." disse dolcemente Cirhen. "Se non la vedrò mai, voglio sapere com'è la tua casa." Dhnir si morse il labbro a sangue e gli accarezzò i capelli. Non sapeva se sarebbe riuscito a parlare in quel momento, ma non poteva non rispondere alla sua ultima richiesta.
"Non so se fosse davvero un luogo adatto a te." si sforzò di dire, ma decise quasi subito di non tergiversare troppo a lungo. L'altro sarebbe potuto morire prima che lui finisse di parlare. "Fa sempre molto freddo e la neve e il ghiaccio sono ovunque." Gli venne in mente che probabilmente Cirhen non sapeva nemmeno cosa fossero. "Quasi nessun umano vive lì. È un luogo sicuro." Tranne che per i cacciatori, avrebbe voluto aggiungere, ma lo tenne per sé. Non voleva che nessuno dei due pensasse alla brutalità del loro passato.
Abbassò lo sguardo e vide che Cirhen lo stava ancora guardando. I suoi occhi erano molto più sereni di prima, e Dhnir provò a proseguire. "E quando arriva l'alba, si riflette sulla neve e il mondo si inonda di luce." Tremò mentre parlava. Lui avrebbe mai visto ancora una volta il sole sorgere nel luogo a cui la sua anima era sempre appartenuta?
Cirhen gli sorrise. "Deve essere bellissima." Dhnir annuì, ricacciando indietro lacrime di cui non si era accorto. "Lo è." Ma il suo compagno non avrebbe mai saputo quanto lo fosse davvero, e lui forse non vi sarebbe mai tornato.
Rimase accanto a Cirhen fino a quando lui non smise di respirare.
Fissò il suo corpo per qualche secondo, incapace di muoversi. Un'altra vita andata persa per niente. Quante altre volte avrebbe dovuto vedere la stessa cosa ripetersi?
Non aveva molto tempo per abbandonarsi al lutto. Non era sicuro fermarsi troppo a lungo in un posto per lui. Ma non poteva lasciare il suo corpo così, esposto alle intemperie e alla fame degli animali.
Si alzò stancamente e iniziò a cercare pietre e ad ammassarle intorno e sopra a Cirhen. Controllò che il piccolo tumulo fosse abbastanza robusto e iniziò ad allontanarsi. Lo avrebbe pianto più tardi, durante il cammino. Per il momento, doveva solo pensare a ricominciare a muoversi e ad avvicinarsi al proprio obiettivo.
Doveva andare avanti, come aveva sempre fatto.
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