Capitolo ventidue

Gli occhi di Shera si spalancarono nell'oscurità.

Il kamry scattò in piedi e si guardò intorno, ma non c'era nulla che giustificasse il suo risveglio improvviso. I suoi sensi erano abbastanza affinati da percepire un pericolo, ma al momento pareva che fosse tutto normale.

Il suo primo pensiero fu che, ora che aveva aperto gli occhi, sarebbe stato costretto ad affrontare ancora un giorno. Voltò la testa e un ammasso fumoso apparve al suo fianco, prendendo, per un istante, la forma di un lupo.

Lui si irrigidì immediatamente, mentre la sua bocca si seccava e il suo corpo si preparava all'attacco. Lo riconosceva. Era lo stesso essere che aveva sognato, e che gli aveva detto che lo avrebbe fatto uscire da Erui.

Strinse i denti e lo colpì. Sapeva già che non sarebbe servito a niente, ma se quella cosa esisteva davvero, ed era la stessa che aveva convinto Dhnir a tentare quell'impresa assurda, meritava di essere punita. Aveva passato troppi giorni senza qualcuno da incolpare.

Lo spettro si dissolse. Shera lo cercò, ansimando, ma era sparito nel nulla. Era apparso solo per prendersi gioco di lui.

Ammesso che non lo avesse semplicemente sognato. Sentiva di stare diventando sempre meno lucido, e quella era la spiegazione più plausibile. E la più rassicurante. Almeno gli avrebbe confermato che il lupo non era mai esistito al di fuori della sua immaginazione.

Tornò a guardare la direzione in cui lo aveva visto e si rese conto che Corr era tornato, e lo stava fissando. Il suo cuore si fermò. Lui era reale?

Nel profondo sapeva che non lo era, che anche lui non era altro che la proiezione dei suoi ricordi e pensieri. Ma anche se i suoi occhi penetravano nella sua anima, ferendolo come denti acuminati, non voleva vederlo sparire.

Corr non svanì. Non distolse nemmeno lo sguardo da lui. "Resta sveglio." Shera stava per dire qualcosa, ma lui lo mise a tacere con un gesto. "Non è il momento. Taci."

Lui obbedì. Riusciva a udire dei passi avvicinarsi. Troppo regolari per appartenere a un animale.

Poteva ancora fuggire. Ma questo lo avrebbe solo reso una preda, e lui era stanco di recitare quella parte. Aveva passato la maggior parte della propria esistenza a combattere, e prima di allora era stato un cacciatore, e la sua specie discendeva da antichi e potenti predatori. Se ad arrivare fosse stato un nemico, lo avrebbe ucciso, o sarebbe morto lottando.

Non aveva armi con sé, ma contro un essere umano non ne avrebbe avuto bisogno per vincere. Si sentiva meno debole del giorno prima. Gli sarebbe bastato qualcosa per aiutarsi.

Il suo sguardo cadde su una grossa pietra poggiata sul terreno. Muovendosi nel modo più silenzioso e rapido possibile, la raccolse. Avrebbe potuto utilizzarla.

Finalmente la creatura apparve. Era umano. Gli bastò dargli un'occhiata per riconoscere in lui uno dei servi del suo vecchio padrone. I colori delle vesti e il lupo ricamato sulla tunica erano inconfondibili.

Erano arrivati a cercare così lontano, e non sapeva se fosse per ricondurli a Erui – l'assenza di belve poteva significare l'avvento della miseria per uno come il suo padrone - o sbarazzarsi di loro, come chiunque avrebbe fatto con animali selvaggi e abituati a uccidere.

Ma l'ultima volta che aveva visto un umano, quando la fuga condotta da Dhnir era stata fermata, lo avevano attaccato per ucciderlo, non per fermarlo. Non aveva motivo di pensare che questa volta sarebbe stato diverso.

Il suo avversario non lo aveva ancora notato. Shera aveva scoperto da tempo che gli occhi umani, al buio, erano molto più deboli dei suoi.

Doveva approfittare di quel momento e agire. Aveva sconfitto innumerevoli avversari senza coglierli di sorpresa. Questa volta sarebbe stato ancora più facile.

Inspirò e si gettò contro il nemico, che non ebbe tempo di difendersi. Il suo peso trascinò entrambi a terra. Mantenendosi saldamente al di sopra dell'umano, Shera sollevò la pietra e la abbatté con tutta la forza che aveva sulla sua testa. Colpì più volte, fino a quando uno schizzo di sangue non gli macchiò il viso e l'uomo sotto di lui non smise di agitarsi.

Il kamry gettò via la roccia e scese dal cadavere del nemico, osservandolo in silenzio. Il suo volto era grottescamente sfigurato, ed erano bastati pochi secondi perché lui lo riducesse così.

Aveva passato solo pochi giorni senza uccidere, e ora era tornato a farlo – e a vincere. Era l'unico modo in cui sarebbe potuto sopravvivere.

Non sarebbe mai veramente stato liberato da Erui. Non avrebbe mai potuto avere una vita normale. Restare lì, fuori dal mondo che era stato suo per tutti quegli anni, lo avrebbe distrutto. Anche se fosse riuscito a continuare a vivere, avere rinunciato a tutto se stesso per diventare nient'altro che un assassino non avrebbe più avuto senso.

Era salvo. Aveva eliminato il suo avversario. E la sua vita ora si sarebbe ridotta a questo? Una fuga continua in cui non avrebbe fatto altro che sporcarsi invano di sangue.

Anche solo i pochi movimenti che aveva compiuto per combattere lo avevano lasciato esausto. Rimase seduto, incapace di alzarsi o di distogliere lo sguardo dal corpo. Sentiva che non sarebbe riuscito a rialzarsi. Eppure, sapeva che, se fosse apparsa un'altra minaccia, avrebbe saputo per istinto come reagire.

Non poteva tornare a essere una belva, ed era tutto ciò che sarebbe stato ormai. Era condannato a restare in quel limbo fino a quando la morte non fosse sopraggiunta anche per lui.

Era completamente perso. Lì non aveva altri che la propria mente delirante a tenergli compagnia, il suo corpo deperiva giorno dopo giorno, e non sapeva dove andare. Quelli erano i suoi ultimi giorni e non c'era niente a confortarlo, neanche la consapevolezza che tutto quello che aveva fatto era servito a qualcosa.

Non si era mai lasciato schiacciare dai propri pensieri da quando era bambino. Ma non riuscì a trattenersi. Provò ad alzarsi e ad allontanarsi da lì, ma le sue gambe smisero di sostenerlo quasi subito. Si aggrappò al primo albero che trovò, stringendolo così forte da ferirsi con la corteccia, e tutto quello che aveva sempre represso abbandonò il suo corpo in un flusso di bile e lacrime.

Quando ebbe finito, non sentì alcun sollievo. Soltanto una stanchezza ancora superiore a quella che lo aveva avvolto prima.

Non ebbe ancora molto tempo per pensare. Corr riapparve al suo fianco. "Seguimi." disse, con una voce troppo ferma per essere contraddetta.

Mentre lo guardava allontanarsi, Shera si chiese cosa fosse veramente quel fantasma e dove lo stesse portando. Ma era troppo sfinito per resistere o trovare un'altra strada, e obbedì.

                                                                                          ...

I loro salvatori non avevano ancora detto una parola, ma Lienhe sapeva che si erano accorti di lui, Hapnyan e Dovyr. Non volle interromperli mentre liberavano gli schiavi che erano stati imprigionati in quella nave, ma presto avrebbe dovuto inevitabilmente parlare con loro.

Forse avrebbero persino potuto aiutarli. Almeno, era una speranza che poteva ancora coltivare. Se fossero stati incredibilmente fortunati, Irgyvie sarebbe anche stata tra di loro.

Scosse la testa alla propria ingenuità, un attimo prima che uno dei nuovi arrivati si avvicinasse a lui. "Chi siete e cosa ci facevate qui?"

Si stava preparando a rispondere, ma Hapnyan lo precedette. "Veniamo da Tojt. Eravamo schiavi, ma siamo riusciti a scappare e stiamo cercando..."

Il loro interlocutore lo interruppe con un sorriso. "Se state cercando riparo, avete avuto fortuna. Noi siamo tutti fuggitivi. Ci siamo trovati per caso e abbiamo deciso di liberare altri che non sono riusciti a farlo da soli. Potete unirvi a noi. Insieme siamo al sicuro dagli umani."

Sembrava troppo bello per essere vero. Che lentamente l'età della loro sottomissione stesse finendo, che finalmente avessero trovato il modo di ribellarsi e di smettere di vivere nella paura, pareva niente più di un sogno.

Ma stava avvenendo di fronte ai loro occhi. Se loro avessero semplicemente voluto ingannarli, non avrebbero mai ucciso gli umani sulla nave.

"Allora, avete visto..." La voce di Hapnyan stava tremando. "Avete visto... tra quelli che avete liberato, anche una donna incinta, o con un neonato? Stiamo cercando mia sorella e mio nipote. Dovrebbero essere finiti a Firmia." Lienhe guardò il suo viso pallido e teso, pregando che finalmente la risposta fosse quella che desideravano. Forse la loro ricerca poteva finire.

Sentì il respiro sfuggirgli e gli occhi riempirsi di lacrime quando l'uomo con cui stavano parlando scosse la testa. "No. Non ancora. Mi dispiace."

Non avevano motivo di pensare che fosse tutto finito, ma con ogni secondo lei diventava sempre più irraggiungibile, e la speranza di trovarla si affievoliva sempre di più.

La sua espressione doveva riflettere quella cupa di Hapnyan, ma l'hiry a cui aveva rivolto la domanda si affrettò a sorridere di nuovo. "Siamo tutti di Tojt. Ci siamo limitati alle navi finora, non ci siamo mai avvicinati a Firmia. Ma alcuni di noi potranno aiutarvi."

Lienhe tentò un sorriso, ma nemmeno quella proposta bastò a risollevarlo. Poteva ripetersi quanto voleva che era solo questione di tempo prima che la ritrovasse, ma il tempo era esattamente quello che forse non aveva più. In fondo non sapeva cosa le stessero facendo a Firmia. Aveva voluto pensare che fosse meglio della sua prigione a Tojt, ma non poteva averne la certezza.

"State con noi e vedrò cosa possiamo fare." concluse l'altro. Hapnyan annuì, ma il suo corpo era ancora rigido.

Quando nessuno badò più a loro, Lienhe lo attirò a sé e lo abbracciò. "Dobbiamo cogliere quest'occasione. Magari siamo finalmente sulla strada giusta." L'amico rimase fermo nella sua stretta. "Lo so. Sembra la soluzione migliore. Ma..." Sembrava che parlare gli stesse costando uno sforzo sempre maggiore. "Potrebbe comunque non bastare."

Lui chiuse gli occhi. Doveva continuare a ricordarsene. Almeno si sarebbe preparato al peggio.

Sciolse l'abbraccio e guardò Hapnyan negli occhi. "Andiamo a vedere dov'è finita Dovyr e uniamoci a loro. Magari alcuni sono dei nostri."

Si voltò e provò a risalire sul ponte, sperando che Dovyr fosse ancora lì. Probabilmente lei avrebbe accettato. In quel modo avrebbe potuto fermare altre navi senza mettere troppo in pericolo la propria vita. Sarebbe stata una soluzione solo temporanea, ma li avrebbe protetti, almeno in parte.

La individuò quasi subito e la trovò aggrappata al ponte, mentre osservava il mare. "Dovyr?" la chiamò. Lei si voltò e gli sorrise. "Abbiamo avuto fortuna, vero? Perdonami. So che sono stata imprudente, ma non potevo restare a guardare."

Lui la fermò con un cenno. "Lo so. Ho parlato con uno di loro, ci ha proposto di restare insieme a loro per un po'. Io e Hapnyan pensiamo di accettare." Dovyr annuì distrattamente. "Renderebbe tutto più facile. Credo che sia la cosa giusta da fare."

Ma era ancora assente, ed era tornata a guardare il mare. Lienhe esitò, senza sapere se andarsene oppure no, ma decise di fermarsi quando la udì parlare. "Se morissi qui, non vedrò mai più Taje."

Lo aveva mormorato in modo quasi inudibile, ma lui poteva dire che ci aveva pensato a lungo. Si portò al suo fianco e rimase in silenzio, incerto su come rispondere.

"Capisco quello che tu e Hapnyan volete fare, davvero." riprese lei, voltando la testa per guardarlo negli occhi. "Irgyvie è mia amica. E non voglio più vedere nessuno di noi schiavo. Ma mi sono pentita di non essere stata con lei più a lungo prima di partire."

Lienhe strinse i denti. Lui non aveva nessuno a cui tornare, e si era lanciato in quella missione senza il minimo ripensamento. L'aveva resa la sua ragione di vita. Ma per Dovyr non era così, e ancora una volta si chiese se non fosse stato lui a costringerla.

"Non è colpa tua. Sono stata io a scegliere." aggiunse lei, come se gli avesse letto nel pensiero. "È solo che... voglio rivederla. Lei e Uhdryb. Vorrei che ci avessero già raggiunti." Il suo compagno le aveva promesso che sarebbe arrivato insieme a Taje, ma ancora non erano apparsi, ed entrambi speravano che non fosse accaduto loro niente di male. Per un attimo, Lienhe ricordò Gakaen, e sperò, nonostante tutto, che stesse ancora bene.

Non sapeva neanche come Uhdryb avesse deciso di occuparsi di lui. Dubitava che avesse scelto di ucciderlo. Ma certamente l'umano non poteva volare. Era più probabile che ormai fosse al sicuro insieme agli altri della propria specie.

Rimasero a fissare l'orizzonte, ignorando tutto ciò che li circondava, fino a quando una macchia non apparve in lontananza. Si stava avvicinando sempre di più, e presto assunse la forma indefinita di una piccola zattera.

Lienhe sentì Dovyr sporgersi sulla balaustra per osservare meglio, e la imitò. A bordo dell'imbarcazione c'erano tre persone, e riusciva a distinguere le ali di due di loro. Quando le onde la avvicinarono, la visione dei loro volti confermò i suoi sospetti.

Si allontanò dal parapetto e si preparò a dire a Hapnyan che finalmente Uhdryb li aveva trovati, ma un pensiero lo fermò subito. Poteva immaginare come gli hiryn che li avevano salvati avrebbero reagito alla presenza di Gakaen.

Non avrebbe comunque avuto bisogno di crederselo. Alcuni si erano accorti della zattera, e dell'umano che vi si trovava a bordo. Non volle lasciare loro tempo di reagire in qualche modo.

"Vi prego, non attaccate!"

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