Capitolo uno
Un corpo decapitato cadde nella sabbia e la folla ruggì trionfante. Altro sangue impregnò i granelli bianchi, ormai divenuti scarlatti, mentre la testa rotolava accanto agli altri cadaveri mutilati che giacevano al suolo.
Ignorando le urla entusiaste e il clamore assordante, Shera abbassò la spada, cercando di regolarizzare il respiro. Sentiva il sangue colargli sul viso e sollevò la mano libera per ripulirsi. Si guardò intorno, cercando con lo sguardo le altre belve. Qualcuno si stava ancora occupando dei condannati a morte.
Era una fortuna che il crimine fosse così comune nelle grandi città. Una volta finiti gli umani da dare loro in pasto, li avrebbero fatti combattere l'uno con l'altro. Non importava se molti di loro sarebbero morti, altri sarebbero stati comprati a buon mercato per sostituirli.
Era facile vincere contro creature deboli e disarmate. Ma due belve, quando lottavano, avevano pari possibilità di vincere o di morire. La forza di un kery era straordinaria, ma poteva essere sopraffatta dalla velocità di un kamry. Gli hiryn che arrivavano fino a lì erano pochi, ma particolarmente pericolosi.
Qualora avessero dovuto combattere di nuovo, lui avrebbe dovuto essere pronto. Era sopravvissuto per tanti anni, e doveva restare in vita. E non avrebbe permesso alla paura o alla pietà di intralciarlo.
Un kery accanto a lui, già trasformato in orso, squarciò la gola dell'ultimo essere umano sopravvissuto tra grida festanti. Shera socchiuse gli occhi. Era giunto il tempo di tornare in gabbia, nell'oscurità.
Finché non fosse giunto il momento di combattere ancora per il divertimento di tutti.
Il loro padrone scese con calma nell'arena, salutato dagli applausi. Le belve si radunarono attorno a lui, ancora sporche di sangue, e gli consegnarono le armi.
Come tutti gli altri, Shera tenne la testa bassa, ma sapeva bene che il padrone stava sorridendo compiaciuto. Gli aveva assicurato ulteriore prestigio.
In quel momento desiderò che la sua gente avesse ancora posseduto la magia, per paralizzare ognuno degli esseri umani che lo stavano guardando e ucciderli uno per uno. Ma i kamryn avevano da tempo perso tutti i propri poteri. Quando gli esseri umani si erano evoluti avevano smesso gradualmente di usarli, per convincere i nuovi venuti a fidarsi di loro e a stabilire un legame pacifico, finché non avevano perso del tutto la capacità di utilizzarli.
Era stato un errore. Avevano sottovalutato l'intelligenza e la rapacità di quella specie, come tutti.
E nell'arco di qualche secolo gli orchi, i naryn, gli elfi e le sirene si erano estinti. I kamryn erano sopravvissuti, rifugiandosi nel deserto che si faceva sempre meno esteso, e avevano condiviso il destino degli altri popoli nati da allora. La schiavitù.
Ma per lui era troppo tardi per bramare la libertà. Almeno lui aveva scelto di diventare una belva e aveva creduto di sapere quello che lo aspettava, anche se il tempo gli aveva svelato che non era così. Altri si trovavano a vivere in quell'incubo contro la propria volontà.
Mentre seguiva gli altri attraverso le strade, verso la casa del padrone, desiderando dentro di sé strappare la gola a tutti quelli che si fermavano a guardarli, sperò di potersi almeno concedere del riposo. Tra le belve era lui ad avere ottenuto il maggior numero di vittorie, e normalmente questo significava che avrebbe potuto dormire e mangiare più degli altri. Significava anche che qualcuno avrebbe cercato di ucciderlo nel sonno per prendere il suo posto.
Nessuno ne era ancora stato capace, anche se lui non poteva sbarazzarsi dei suoi rivali o mutilarli per impedire che ci riprovassero. Se lo avesse fatto, nemmeno le sue abilità lo avrebbero salvato dalla condanna a morte che lo avrebbe atteso.
E lui doveva evitare a qualunque costo di fare una fine del genere.
Pur di continuare a vivere e a combattere avrebbe tollerato ogni cosa, anche l'umiliazione di essere considerato soltanto un animale. Anche la consapevolezza che lui, membro del Popolo del Leopardo, si era ridotto a uno schiavo. Anche la sensazione quasi costante del sangue e della sabbia che aderivano alla sua pelle dorata fino a coprire le macchie che la segnavano e a dargli la sensazione che tutta la sua esistenza si fosse ridotta a loro.
Attorno a sé sentiva i suoi compagni parlare tra di loro, e vide un hiry e un kery sorridersi. Si chiese se avesse dovuto avvertirli di ignorarsi il più possibile, più tardi. Prima o poi avrebbero dovuto combattere l'uno contro l'altro, costretti dalle esigenze del pubblico o spinti dall'invidia reciproca. Nessuno di loro poteva permettersi di stringere legami. Lo aveva imparato a sue spese.
Erano passati così tanti anni dall'ultima volta che aveva parlato con qualcuno da avere quasi dimenticato il suono della sua stessa voce. Ma non importava. Non se lo avvicinava al suo obiettivo.
Ora doveva solo fare tutto il possibile per trionfare anche al prossimo spettacolo.
...
Mejri si rimise seduta sul suo letto, sprofondando nello spesso strato di stoffe lussuose, gli occhi fissi sulla parete finemente affrescata davanti a sé.
Voleva credere che i pensieri che stavano rapidamente affollando la sua mente fossero solo frutto di una paura irrazionale, ma la verità le era fin troppo chiara.
Chiamò Dirsjt con voce atona e sentì i suoi passi rapidi mentre la raggiungeva. Solo allora osò distogliere lo sguardo dal muro e si guardò intorno, finché non fu certa che non ci fosse nessuno a parte loro. Nonostante ciò, sussurro appena, certa che lui l'avrebbe udita lo stesso.
"È finita. Siamo morti."
Il suo amante le rivolse un'occhiata interrogativa e si sedette accanto a lei. "Cosa è successo? Stai male?" Lo sentì esitare per un istante. "Siamo stati scoperti?"
Lei scosse la testa. "Non ancora. Ma..." Dovette inspirare a fondo più volte prima di continuare. "Credo di essere incinta."
Aveva cercato di ignorarlo il più possibile. Ma, anche se non era mai stata madre, sapeva riconoscere i sintomi. Il suo ciclo di luna era in ritardo, era sempre stanca, aveva il seno costantemente dolorante e nausee troppo frequenti per essere dovute a qualunque altra cosa. Se sua madre o sua zia fossero state lì con lei, avrebbero potuto capirlo immediatamente.
Dirsjt non rispose.
Non sarebbe dovuto succedere. Avevano fatto tutto il possibile per evitarlo. Se si fosse saputa una cosa del genere, sarebbero stati uccisi entrambi.
"Ne sei certa? Non potrebbe... essere stato tuo marito? In fondo è andato via solo da poche settimane..." Mejri lo interruppe con un cenno della mano. "Non penso. Non credo nemmeno che sia fertile." Sapeva che oltre a lei Jilab aveva avuto altre mogli e amanti, ma a quanto ne sapeva nessuna di loro gli aveva mai dato un discendente. Era possibile che ognuna di loro conoscesse modi per evitare una gravidanza, ma era altrettanto probabile che fosse lui a essere sterile.
"E comunque non possiamo permetterci di rischiare." Se anche un bambino nato dalla loro unione non avesse ereditato la pelle quasi nera del padre, sarebbe stato subito evidente che non era del tutto umano.
Mejri cercò con tutte le sue forze di non piangere. Lei e Dirsjt avevano fantasticato spesso sulla possibilità di dare vita a una famiglia insieme, ma quello era un sogno che non sarebbe mai dovuto diventare realtà.
"Devo... devo trovare il modo di sbarazzarmene prima che lui torni." Si accorse che le tremava la voce e si maledisse. Avrebbe fatto meglio a tenere tutto nascosto a Dirsjt prima che lui potesse opporsi.
Si strinse le mani, continuando a guardare davanti a sé per non vedere come avrebbe reagito. Non c'era altra soluzione. E da quel momento avrebbero evitato di rivedersi. Non poteva permettere che accadesse ancora una volta.
Non riuscì a trattenersi più a lungo. Si voltò verso l'amante mentre la prima lacrima le scorreva su una guancia. "Ti prego, capisci. Se non lo faccio moriremo entrambi." Dirsjt era impallidito, ma non disse nulla. Si limitò ad annuire lentamente, tenendo gli occhi fissi sui disegni marmorei del pavimento.
Mejri chiuse gli occhi, cercando di non pensare a quello che stava per fare. "Vai a chiamare Sil."
Come Dirsjt, Sil era una dei suoi schiavi kamryn. Era stata il dono di nozze che Jilab le aveva fatto, ed era l'unica a conoscere il suo segreto. Era stata una guaritrice, prima di essere fatta prigioniera. Per due anni, con uno dei suoi infusi, aveva impedito a Mejri ogni gravidanza indesiderata.
Avrebbe dovuto funzionare anche quella volta, pensò la ragazza con frustrazione.
Era troppo tardi, ormai. Ma faceva ancora in tempo a rimediare. Sil avrebbe saputo cosa fare. Certamente aveva aiutato molte altre donne nella sua stessa situazione.
Mentre ascoltava Dirsjt allontanarsi, spense le candele che illuminavano la sua stanza e restò da sola nel buio.
...
Lienhe sorrise mentre il vento faceva vibrare le sue piume. Batté le ali ancora una volta, salendo ulteriormente. Sapeva che, da qualche parte sulla terra, Kirthum correva insieme a lui.
Presto sarebbero tornati a casa, al sicuro, e avrebbero potuto riposare insieme.
Era certo che entrambi avevano svolto il proprio compito nel migliore dei modi. Avevano sempre cacciato insieme e fino a quel momento non erano mai tornati a mani vuote. Ora potevano permettersi di raggiungere i loro compagni.
La foresta sotto di lui stava diventando sempre più rada. Si abbandonò alla corrente, planando verso il suolo, e atterrò di fronte a Kirthum.
L'amico gli sorrise. "Come è andata?" A giudicare dal sangue sulla punta della sua lancia, doveva avere fatto sufficienti vittime. La testa di serpente che spuntava dal sacco sulle sue spalle lo confermava.
Lienhe si limitò ad annuire, ma era quasi certo che Kirthum lo avesse battuto ancora una volta, nonostante non avesse avuto il vantaggio di poter attaccare dall'alto.
Non era nato senza ali. Tutti gli hiryn le possedevano dalla nascita, era parte del loro essere, il retaggio delle aquile che avevano dato loro la vita. E lui non faceva eccezione.
Ma si era perso vagando nella foresta quando aveva solo nove anni, e quando era stato ritrovato non le aveva più. Erano state tagliate o strappate, ma si era rifiutato di spiegare chi fosse stato o come fosse successo.
Lienhe ricordava poco di quei giorni, se non la costante sensazione di avere vissuto un incubo. Aveva provato più volte a cercarlo, anche se glielo avevano sempre impedito, e quando era tornato era rimasto al suo fianco finché non si era svegliato. Aveva strappato una delle proprie piume e gliel'aveva donata.
Era troppo piccolo allora per capire che non avrebbe permesso alle ali perdute dell'altro di ricrescere, ma vedeva ancora la piuma, legata a una striscia sottile di cuoio e pendente sul petto muscoloso di Kirthum.
Con il tempo si era abituato a non volare più. Aveva superato chiunque altro in velocità nella corsa, ed era rimasta una grazia ferina nei suoi movimenti e nel suo passo deciso.
Ma Lienhe avrebbe potuto volare di nuovo con lui.
Non importava. Erano entrambi ancora vivi e liberi, nonostante molti altri del loro popolo non avessero avuto la stessa fortuna. Erano insieme e non si sarebbero mai separati.
Si riscosse dai propri pensieri e sorrise di rimando. "Bene, ma penso che tu abbia fatto di meglio. Di nuovo." rispose.
Decise di non spiccare nuovamente il volo per raggiungere il loro villaggio. Avrebbe camminato al suo fianco.
Kirthum non aveva fatto in tempo a entrare nei confini della loro casa prima che una giovane donna volasse verso di lui. "Irgyvie..." la salutò. Lei poggiò i piedi al suolo per stringerlo a sé. "Sei tornato... avevo paura..."
Lienhe distolse lo sguardo quando l'altro scostò una ciocca di capelli dal viso della moglie.
Erano sposati da poco meno di un anno, ma i loro abbracci, la dolcezza nelle loro voci quando si parlavano e il modo in cui i loro occhi si illuminavano quando si guardavano erano rimasti gli stessi da quando avevano deciso di fidanzarsi. La loro sarebbe stata una lunga vita in armonia. Lui avrebbe dovuto esserne felice.
Ma se vedere Kirthum sorridere gli faceva accelerare il cuore, non poteva sopprimere del tutto i propri pensieri.
Irgyvie e la collana che portava dal giorno del suo matrimonio erano il simbolo che lui gli sarebbe sempre stato irraggiungibile.
Scosse la testa. Quelli non erano pensieri che dovesse fare. Soprattutto non ora che lei aspettava un bambino.
Il suo amico era felice. Era sufficiente.
Si rivolse alla donna. "Dov'è tuo fratello?" Lei stava per rispondergli, ma una voce maschile la interruppe. "Ora ci siamo tutti."
Hapnyan atterrò dietro di loro con un movimento leggiadro. Irgyvie si voltò verso il gemello. "Sì. Non ti preoccupare e riposa qualche ora." Lui annuì. Da quando aveva preso il posto del padre come capo, anche se affiancato dalla madre e dalla sorella, non faceva altro che controllare che nessuno si allontanasse troppo a lungo, volando fino a quando le sue ali quasi non cedevano. Erano molti gli hiryn spariti di recente, rapiti e imprigionati mentre erano lontani dalle proprie case. Per il momento non era ancora successo a loro, e lui era determinato a non farlo accadere.
Lienhe condivideva le sue preoccupazioni, ma avrebbe voluto che si sforzasse di meno. In fondo erano anni che nessuno di loro subiva un danno. Nessun cacciatore sembrava aggirarsi nel loro territorio. Forse la foresta era semplicemente troppo folta per permettere a un nemico di passare.
Erano al sicuro.
Si voltò a osservare il cielo inondato dalle fiamme del sole al tramonto, e fu allora che udì il primo sparo.
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