Capitolo undici
"Aiutami..."
Skitnal si fermò, guardandosi disperatamente intorno. La voce di Kael continuava a piangere e a chiamarlo, nell'oscurità, ma lui non riusciva a trovare suo fratello.
"Skitnal... aiutami, ti prego..."
Voleva solo che smettesse. Quel suono – quella preghiera a cui non riusciva a rispondere – lo stava facendo impazzire. Ma la voce penetrava dentro di lui, nella sua anima, e continuava a ripetere la stessa supplica, sempre più disperata.
Doveva trovare Kael. Doveva salvarlo.
Ma la voce proveniva da ogni lato, rendendogli impossibile capire dove si trovasse, e per quanto provasse a chiamarlo, le sue labbra non si muovevano.
Sentiva il sangue colare lungo la propria schiena da centinaia di ferite, seccandosi e aderendo alla sua pelle come un manto. Il dolore stava iniziando ad accecarlo, ma non si poteva fermare. Per quanto ne sapeva, poteva già essere troppo tardi.
"Skitnal..."
Sto arrivando, promise. Voleva urlarlo, ma non ci riusciva.
Doveva trovare la strada, ma era completamente perso.
Kael smise di chiamarlo e si limitò a piangere. Skitnal sentiva il cuore battere sempre più forte, come se artigli invisibili stessero per strapparglielo. Chiuse gli occhi, percorso da una nuova fitta di dolore. Si sentiva soffocare. Il buio lo stava annegando, denso e vischioso.
E sapeva che suo fratello continuava a soffrire, ma non poteva fare nulla, se non ascoltare. Ogni minimo suono affondava nella sua mente come un coltello acuminato. Non riusciva nemmeno più ad avanzare.
No. No. Basta.
Tentò di fare un altro passo. Il suo corpo cedette. Cadde in ginocchio, e mentre cercava di rialzarsi, finalmente la marea di oscurità parve retrocedere di fronte a una luce fredda e accecante.
Kael era di fronte a lui, incatenato e sofferente, e i ceppi che lo trattenevano stavano lentamente cambiando forma, trasformandosi nei tentacoli di una creatura informe e mostruosa.
Skitnal li fissò paralizzato per l'orrore. Poteva vedere gli occhi dell'essere illuminarsi sempre di più, il suo ghigno allargarsi a ogni nuova lacrima di Kael. Doveva fare qualcosa – doveva fermarlo prima che potesse fare del male a suo fratello – ma il suo corpo non gli obbediva.
Kael lo fissò negli occhi. "Skitnal..." implorò di nuovo. "Aiutami..."
Le forze che lo stavano bloccando si dileguarono e Skitnal si alzò di scatto, barcollando. Non riusciva ancora a respirare.
Voleva intervenire. Lo desiderava con tutte le sue forze.
Invece si voltò e fuggì, accompagnato dal grido disperato di Kael e dalla risata del mostro.
...
Anche quando si svegliò, Skitnal continuò a sentirsi soffocare. Cercò freneticamente Kael, passando pochi istanti di panico prima di vederlo apparentemente addormentato poco lontano.
Solo fino ad alcuni mesi prima, sarebbe stato sollevato nello svegliarsi da un incubo. Ma il sogno che aveva fatto si era già avverato, e lui non poteva più rimediare.
Cercando di dominare la nausea, si voltò a guardare il fratello. Non avrebbe dovuto addormentarsi. Gli aveva detto che lo avrebbe sorvegliato perché non gli accadesse nulla di male durante la notte, e non era riuscito nemmeno a stare sveglio.
La notte era fresca e pacifica, il silenzio quasi totale, ma non sarebbe bastato a calmarlo questa volta, non ora che sapeva quello che aveva fatto.
Si morse il labbro a sangue. Non poteva permettersi di piangere. Doveva essere abbastanza forte per entrambi. Doveva portare Kael a casa. Allora avrebbe saputo cosa fare.
Continuava a ripeterselo anche se sapeva che non era vero. Tornare non gli avrebbe fatto capire come aiutare Kael a dimenticare qualunque cosa fosse successa. Eppure era tutto quello che doveva fare, dopo averlo lasciato troppo a lungo nelle mani del nemico.
Quella notte suo fratello aveva pianto fino ad addormentarsi, e lui non era nemmeno riuscito a trovare il modo di confortarlo. Ogni parola che avrebbe voluto dire gli era rimasta intrappolata in gola. Aveva avuto paura che, se lo avesse toccato, gli avrebbe fatto male.
Non avrebbe mai potuto dimenticare il modo in cui lo aveva guardato quel giorno.
Chiuse gli occhi, combattendo con se stesso per non crollare lì, anche se solo gli alberi e le nubi sarebbero stati testimoni delle sue lacrime. Non poteva tornare indietro e cambiare il passato – non poteva rimediare ai propri peccati.
Sapeva che non avrebbe mai potuto cancellare dalla propria mente o dal proprio corpo i mesi che aveva passato come schiavo. I suoi occhi non si erano ancora abituati alla luce. Aveva passato le notti trascorse dalla sua fuga a cercare di convincersi che il buio non lo stesse schiacciando, lottando per ogni singolo respiro. Le sue cicatrici non avevano mai smesso di fare male.
Ma in quel momento gli sembrava tutto nullo rispetto a quello che aveva visto negli occhi di Kael.
Tornò a guardarlo. Stava ancora dormendo, ma lui poteva solo immaginare gli incubi che dovevano aggredire la sua mente.
Kael era suo fratello minore. Era suo dovere proteggerlo. Ma non era riuscito a fermarlo, e seguirlo non era bastato. Avrebbe dovuto opporre resistenza, combattere con tutte le sue forze per non essere separato da lui.
Ma lo aveva tradito. Lo aveva abbandonato.
Tremando, si avvicinò a lui. Voleva solo prenderlo tra le braccia, come quando erano bambini. Ma non poteva più farlo. Lo avrebbe ferito se ci avesse provato – e lo aveva già danneggiato abbastanza.
Perdonami...
...
Mejri non riuscì a trattenersi dall'indietreggiare quando la porta fu spalancata, anche se sapeva di non avere nulla da temere. Quello era l'unico posto dove si fosse mai sentita veramente al sicuro.
Il volto che si presentò ai suoi occhi le portò alla mente ricordi tanto vividi da farle credere che sarebbe scoppiata in lacrime in quell'istante.
Invece sorrise alla vecchia che la stava fissando a occhi spalancati. "Zia... posso entrare?" fu tutto quello che riuscì a chiedere, con voce tremante.
Un istante dopo, la donna la abbracciò e lei non poté che abbandonarsi alla stretta di quelle fragili braccia, senza più riuscire a trattenersi dal piangere.
Era tornata. Finalmente era tornata a casa.
"Mejri... io..." la sentì dire. Sciolse controvoglia l'abbraccio per guardare nuovamente la zia negli occhi. Non riusciva a smettere di sorridere, nonostante fosse consapevole di avere poco tempo. "Vi spiegherò tutto. Posso entrare?"
Nel vedere Hirn esitare, si voltò verso Dirsjt e Sil. "Loro sono con me. Non preoccuparti. Ho... molte cose da raccontare."
Non sapeva come avrebbero reagito, ma sperava che, dopo tutto il tempo che era passato, i suoi zii non la respingessero. Non avrebbe potuto tollerarlo.
Inspirò l'aria all'interno della casa come se fosse appena rinata e avesse bisogno di prendere il primo respiro. Quelle erano le stanze in cui era cresciuta, in cui aveva giocato con Parnel e in cui sua zia le aveva sistemato fiori tra i capelli nei giorni di festa.
Ma per quanto le paressero strette dopo gli anni che aveva trascorso a Hxarin-sur, le sembravano anche troppo vuote.
Cercò di reprimere i ricordi di ciò che aveva perso quando finalmente i suoi occhi si posarono su una seconda figura, un vecchio privo della mano destra seduto in un angolo. "Sono tornata, zio."
L'uomo era impallidito e la stava fissando, ma quasi subito la sua espressione si tramutò in un sorriso incredulo. "Mejri..."
Lei lo vide irrigidirsi quando notò i due kamryn dietro di lei. "Sono con me. Non sono pericolosi." si affrettò a rassicurarlo, prima di sorridere a Dirsjt. Ricordava confusamente che, quando era ancora una bambina, Ydur le aveva raccontato di avere perso la mano nella stessa battaglia in cui erano morti suo fratello e la sua cognata, nell'ultima guerra contro i kamryn – un conflitto che si era protratto tanto a lungo da costringere ad arruolare anche le donne, e che si era concluso con la sottomissione completa dei loro nemici.
Ma quello che era successo tra lei e Dirsjt era la prova che poteva esserci qualcosa di più della violenza e della schiavitù tra le loro specie.
Doveva fare in fretta. Avrebbe potuto avere meno tempo di quanto avesse sperato.
"Sono venuta ad avvertirvi." iniziò. "Mi stanno cercando. Probabilmente verranno qui, quindi dovete andarvene."
Avrebbe voluto poter dire parole diverse. Per la prima volta aveva rivisto le persone che l'avevano cresciuta, dopo avere creduto di averle perse per sempre, e avrebbe voluto parlare con loro di cose senza alcuna importanza, come aveva fatto un tempo, felice solo per la loro compagnia.
Ma non poteva fermarsi, per quanto lo desiderasse. Le loro vite erano in pericolo in quel momento, e lei doveva salvarli.
Non permise loro di interromperla. "Sono scappata. Se mi troveranno, mi riporteranno indietro, e... e di sicuro attaccheranno anche voi." Ripensò alla morte di Parnel e le si chiuse la gola. "Quindi sono venuta a chiedervi di seguirci. Vogliamo andare abbastanza lontano perché lui non ci trovi."
"Vogliamo?" la fermò quasi subito Hirn. Mejri scambiò uno sguardo con Dirsjt e lo prese per mano sorridendo. Era inutile tenerlo nascosto più a lungo, ma credeva che avrebbero accettato la verità.
"Io e Dirsjt siamo innamorati, zia. Sono incinta."
Vide suo zio spalancare gli occhi e si preparò a qualunque sua reazione. "Ho deciso di andarmene per questo. Venite con me, vi prego. Non voglio che vi accada nulla."
Non ottenne che il silenzio come risposta, e si preparò al peggio. Sapeva che erano anziani e che avrebbero preferito non spostarsi.
Ma non voleva vederli morire.
"Non serve che andiate fino in fondo..." mormorò alla fine. "Anche solo fuori da Xifler va bene..." Doveva riuscire a convincerli in qualche modo. Non se ne sarebbe andata finché non lo avesse fatto.
Il silenzio continuò, e lei temette veramente che avrebbero rifiutato. Distolse lo sguardo. Non voleva vedere i loro occhi.
Forse l'avrebbero preferita con Jilab piuttosto che con un kamry. Forse consideravano la sua una richiesta insensata, e la credevano pazza.
Ydur si alzò di scatto e la strinse a sé, bagnandole il vestito di lacrime. Mejri si irrigidì un momento per il contatto inaspettato, poi si abbandonò tra le sue braccia. Le sembrava di essere tornata bambina, quando ancora credeva che nessuno potesse farle del male, con i suoi familiari a proteggerla.
"Qualunque cosa..." mormorò l'uomo. "Qualunque cosa, pur di stare con te."
Mejri sollevò lo sguardo per vedere la zia sorriderle. Non doveva più temere per loro. L'avrebbero seguita, e lei li avrebbe protetti.
Ora era veramente completa. Non era più sola, come quando era stata portata via da lì. Aveva ritrovato quelli che per lei erano stati i suoi genitori. Aveva Sil. Aveva Dirsjt, e il loro bambino.
Quel posto apparteneva al passato. Non vi sarebbe mai potuta restare, anche se gli uomini di Jilab non fossero stati un pericolo. Parnel era morto e lei non era più la stessa.
Ma il futuro poteva essere ovunque, e lei l'avrebbe trovato.
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