Capitolo trentatré

Mentre seguiva Irgyvie, Lienhe si costrinse a tacere i propri pensieri.

La donna aveva lasciato Laem nella stanza in cui lui l'aveva trovata e ora i suoi passi erano rapidi e sicuri, anche se di tanto in tanto si sollevava in volo per brevi tratti. Il corridoio di pietra bianca, venato di sfumature variopinte, era abbastanza alto e largo da permetterglielo. Hapnyan era al suo fianco e le stava parlando. Lienhe vedeva i loro sorrisi – gli occhi del suo amico non erano mai stati così luminosi da quando l'aveva ritrovato – ma non riusciva a concentrarsi abbastanza da sapere cosa stessero dicendo.

Non si era aspettato ciò che aveva scoperto. Era un bene che Irgyvie fosse lì per scelta, se significava che non avrebbero dovuto rischiare di nuovo la vita per portarla via. Ma una parte di lui si rifiutava di credere che la sua ricerca si fosse risolta così facilmente.

Peggio ancora, era certo di essere in trappola.

Non c'era motivo per cui un umano dovesse interessarsi al benessere di un hiry. Era giunto a fidarsi di Gakaen, ma solo perché non aveva mai fatto nulla per danneggiarlo, e dubitava comunque che ne fosse in grado. Ma un uomo abbastanza potente da potersi permettere un intero carico di schiave era molto più pericoloso.

Cercò di convincersi che quello fosse l'unico motivo per cui ogni cosa gli pareva innaturale, ma non riusciva a reprimere il sentimento che stava divorando la sua mente.

Non riusciva a credere che Irgyvie si fosse consegnata a un umano. Accettare di vivere sotto lo stesso tetto era una scelta comprensibile, decidere di sposarlo era diverso. Tantopiù considerando che lui l'aveva comprata, arricchendo gli uomini che trattavano la loro specie come prede – gli stessi che avevano ucciso Kirthum.

Il rimorso lo colpì con violenza non appena formulò quel pensiero. Irgyvie aveva fatto solo ciò che credeva meglio per se stessa e per suo figlio. Al suo posto lui non avrebbe agito diversamente. Ed era possibile che si sbagliasse su suo marito.

Sperava di sbagliarsi. Non aveva bisogno di altri pericoli.

Irgyvie pareva genuinamente in salute. Se fosse stata maltrattata, si sarebbe comportata diversamente. Ma mentre si avvicinavano alla loro meta, lui non poté fare a meno di sentirsi rabbrividire.

Provò a scacciare la sensazione. Presto avrebbe capito se fosse giustificata oppure no. E nel primo caso, avrebbe dovuto essere pronto a salvarsi, e a salvare i suoi compagni, e Laem.

Nel secondo caso, finalmente avrebbe ripagato il suo debito con Kirthum.

Irgyvie atterrò per spalancare un'ampia porta di legno scuro, già socchiusa, e disse qualcosa di incomprensibile. Nonostante il suo tono sereno, Lienhe si sentì gelare. Il suono di quella lingua, anche proveniente dalla bocca di un hiry, non avrebbe mai smesso di evocare ricordi che lui avrebbe solo voluito cancellare.

Esitò prima di entrare nella stanza. Vedere Hapnyan di fronte a sé e percepire alle proprie spalle Dovyr, Uhdryb, Taje e Gakaen lo fece sentire al sicuro, ma non a lungo. Non voleva sentirsi così, fragile e minacciato. Non ne aveva motivo.

Doveva avere fiducia.

Schermandosi gli occhi dalla luce che penetrava dall'ampia finestra, cercò l'uomo che avrebbe dovuto affrontare. Lo individuò, ma si costrinse a non indietreggiare. Non era in pericolo. Doveva solo convincersene.

Era molto più alto e imponente di lui, e solo per un attimo ebbe l'istinto di cercare una via di fuga, temendo un attacco, ma il suo sorriso lo fermò. I suoi occhi erano luminosi e il suo corpo rilassato. Non lo stava guardando come se fosse stato solo un animale.

La sua espressione gli ricordava quella che era apparsa sul viso di Gakaen quando aveva deciso di portarlo via dalla foresta in cui lo aveva trovato. Questa volta però era lui a essere vulnerabile.

Per un momento sperò che avere risparmiato Gakaen spingesse le divinità a convincere l'umano a non fargli del male.

Non era solo. C'erano altri due umani al suo fianco, uno dei quali poco più di un bambino e molto simile a lui, e alle sue spalle una donna hiry, curva per l'età ma con le piume ancora lucide e folte. Quando i suoi occhi entrarono in contatto con quelli di Lienhe, gli sorrise.

L'assurdità della situazione gli parve ancora più evidente.

Rivolgendo un ultimo sorriso a Hapnyan, Irgyvie planò verso di loro, atterrando al fianco dell'anziana. Sembrava fuori luogo, accanto a quelle creature aliene e senza ali, che fino a pochi mesi prima erano solo nemiche della loro specie.

Eppure i loro occhi brillavano allo stesso modo.

Chiuse le ali e rimase al suo posto, abbassando lo sguardo e spostando nervosamente il peso da una gamba all'altra. Non sapeva se dovesse essere lui a prendere la parola. In ogni caso, non c'era molto che potesse dire.

Abbiamo cercato di entrare con la forza per rapire quella che evidentemente ora è tua moglie. Toglieremo presto il disturbo.

Di certo non avrebbe fatto una buona impressione.

Fu quasi un sollievo quando, dopo che i loro occhi furono entrati in contatto per un tempo troppo lungo, fu l'umano a prendere la parola. "Quindi siete voi la famiglia di mia moglie."

Hapnyan, che si era fermato al suo fianco, si schiarì la voce e fece un passo in avanti. "Sì." Il suo tono era più brusco e fermo di quanto Lienhe si fosse aspettato, e si chiese se non fosse ancora determinato a riportare la sorella a casa, a Tojt.

Non avrebbe potuto biasimarlo, anche se non era certo che il loro precario rifugio tra gli alberi potesse essere veramente considerato casa.

L'uomo annuì apparentemente senza notarlo. "Bene. Sono felice che siate arrivati fin qui. Avrei trovato il modo di contattarvi io stesso se avessi saputo." Si voltò per un istante a guardare Irgyvie. "Se lo desideri, puoi seguirli ovunque tu voglia. Troverò un pretesto per annullare il matrimonio." Lienhe pensò di avere visto l'altro uomo al suo fianco irrigidirsi, ma l'impressione svanì quasi subito. Si rilassò a sua volta pensando a quelle parole.

Qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbero dovuto combattere anche ora.

Tornare indietro sarebbe stato difficile. Anche ammesso che la loro zattera non fosse stata distrutta, sarebbero stati più numerosi e avrebbero avuto un neonato a cui badare. Ma Irgyvie gli aveva detto che il ciondolo che portava al collo segnava il suo stato di liberta. Avrebbero potuto chiederne altri per se stessi. Forse non avrebbero dovuto preoccuparsi degli schiavisti.

Rabbrividì ricordando i pochi mesi che aveva passato come prigioniero. Gli erano bastati per tutta la vita. Dubitava che un riconoscimento formale della sua libertà sarebbe bastato a salvarlo, finché avesse ancora avuto le ali.

Irgyvie non gli rispose, limitandosi a fare un passo in avanti e fissare lo sguardo su Hapnyan. "Perché non restate?"

Non ottenne risposta. Lienhe non si voltò a controllare le espressioni degli altri, ma sapeva che dovevano essere simili alla sua.

Sembrava un'offerta generosa. Significava che avrebbero potuto riposare, per la prima volta dopo tanto tempo, senza rischiare di essere trovati e uccisi sul posto o consegnati a una prigionia senza speranza. Avrebbero potuto avere un momento di vera pace e sicurezza – come nella loro vita forse non era mai davvero successo.

Eppure i dubbi che aveva cercato di eliminare permanevano. Forse si stavano gettando direttamente tra le fauci del nemico, e il giorno dopo sarebbero tornati a essere niente più che schiavi. Non sarebbe sopravvissuto questa volta.

Voleva sperare che quel posto fosse realmente quello che sembrava, un potenziale rifugio in cui lui avrebbe potuto finalmente mantenere la propria promessa. Sapeva che i suoi timori non erano del tutto razionali.

Ma non sapeva come liberarsene.

"Solo per poco." si affrettò ad aggiungere Irgyvie, evidentemente rendendosi conto della loro reazione. "Non so ancora se per Laem sia sicuro viaggiare. Dovrò almeno organizzarmi per trovare un modo di portarlo via. E qui è sicuro. Se partiamo, prima potrete almeno riposarvi."

Aveva lo stesso tono gentile e sereno con cui si era rivolta a loro dal momento in cui l'avevano rivista. Lienhe si chiese perché continuasse a sembrargli così aliena.

Dopo tutti gli sforzi che aveva compiuto per ritrovarla non avrebbe permesso ai suoi sentimenti di farlo allontanare da lei. Qualunque cosa lei avesse deciso di fare, lui sarebbe dovuto restare al suo fianco, vigilare su di lei e su Laem.

Se fosse scappato, avrebbe vanificato il suo giuramento.

Non poteva tradire Irgyvie dopo averla cercata per tutto quel tempo. Non poteva tradire i suoi compagni, che avevano messo in pericolo la propria vita, lasciando un posto che temporaneamente aveva offerto loro riparo pur di seguirlo. Non poteva tradire lo spettro del suo migliore amico.

Sarebbe rimasto, anche se fosse stato l'unico ad accettare la proposta, almeno fino a quando non avrebbe capito quale fosse la cosa giusta da fare.

L'umano annuì alla proposta della moglie, e Lienhe non riuscì a trattenersi dal lanciargli un altro sguardo. Non sapeva cosa avrebbe potuto fargli una volta che lui fosse rimasto nella sua casa, in suo potere.

Ma se aveva tenuto con sé Irgyvie per tutto quel tempo, si ripeté, non doveva avere paura. Doveva smettere di permettere al passato di gettare ombre su tutto quello che vedeva.

Sapeva che sarebbe stato quasi impossibile, ma voleva provare. Voleva credere che fuggire non fosse più necessario.

                                                                                           ...

Prima di sposare Jilab, Mejri si era dedicata principalmente ad aiutare i suoi zii nel lavoro, e solo raramente era scesa nel villaggio più vicino per incontrare qualcuno che non fosse parte della sua famiglia. Quando accompagnava Parnel al mercato o alle feste di paese le succedeva spesso di fermarsi a parlare con persone che presto erano diventate quasi familiari, anche se dopo anni di isolamento non ricordava più i loro nomi e i loro volti erano diventati macchie confuse.

Non era abituata a essere circondata da tante persone.

Doreth aveva insistito perché lei, Sil e Dirsjt uscissero dall'alloggio che era stato loro concesso quella sera. Avevano obbedito, ma lei non si era aspettata ciò che aveva visto.

Le case erano poste in due file parallele, le entrate le une di fronte alle altre, e quasi tutti gli ampi, alti gradini che separavano le porte dal terreno erano occupati dai rispettivi abitanti. Sedevano composti e tranquilli, intenti a parlare, leggere o semplicemente guardare il vuoto immersi in riflessioni che lei poteva solo immaginare.

Almeno, pensò con un certo sollievo, nonostante tutte le diverse conversazioni che erano fiorite intorno a lei, le voci erano basse, tanto che si poteva pensare che sotto la luna quasi piena non regnasse altro che il silenzio. Tutti si erano voltati a guardarli quando erano apparsi, inserendosi in un mosaico di cui fino a quel momento non avevano fatto parte, ma nessuno aveva chiesto loro nulla.

Si pentì di avere formulato il pensiero quando una mano la toccò gentilmente sulla spalla sinistra. Si voltò di scatto, incrociando un paio di occhi ambrati. Una donna kamry la stava guardando con un ampio sorriso, reso ancora più luminoso dalla sua pelle scura. "Perdonami. Non ti volevo spaventare. Sono felice di vederti in piedi."

Mejri sbirciò per un istante alle sue spalle, scorgendo, seduto accanto a lei sullo stesso gradino, lo stesso uomo che aveva impedito al serpente di ucciderli. In quel momento sembrava non badare particolarmente a loro, concentrando la propria attenzione sul bambino tra le sue braccia. Osservando la sua espressione, non poté fare a meno di chiedersi se Dirsjt avrebbe guardato il loro figlio allo stesso modo.

"Io sono Hzial." continuò la kamry, apparentemente senza notare l'attimo in cui la sua attenzione si era spostata. "E lui è mio marito, Paum. Siamo felici che siate qui. Immagino che arrivare sia stato difficile."

L'umana provò a ricambiare il sorriso, tentando di rilassarsi. "Io sono Mejri." si presentò a sua volta. "Grazie per averci salvato." Se non fosse stato per le persone che in quel momento sedevano al suo fianco, la sua impulsività avrebbe solo finito per  portarli alla morte.

Lo sguardo di Hzial si fece intenerita. "Non devi avere paura. Qui sarete al sicuro. Qualunque sia il vostro passato, non può più raggiungervi."

Mejri non rispose, limitandosi a sperare che quella fosse la verità. Erano andati così lontano per sfuggire alla vita che era stata loro imposta, non poteva sopportare l'idea di non esserne uscita del tutto.

Eppure non riusciva a smettere di pensare che Jilab, in qualche modo, li avrebbe trovati e sarebbe venuto fin lì, e questa volta non li avrebbe risparmiati. E quando aveva visto Dirsjt combattere con il serpente, non aveva potuto fare a meno di ricordare in modo troppo vivido come Parnel avesse tentato di difenderla quando era stata rapita e come avesse pagato con la vita.

"Nessuno sarebbe tanto folle da attraversare il deserto, a meno di non essere disperato." si intromise un'altra voce, stavolta alla sua destra. Mejri voltò la testa verso il gradino opposto, posando lo sguardo sul giovane che aveva parlato. Nonostante il pallore, sulla sua pelle erano visibili macchie rosate identiche a quelle dei kamryn. Il colore dorato dei suoi occhi confermava la sua natura. "Nessuno potrà mai trovarci."

Dirsjt stava fissando il vuoto, apparentemente assorto nei propri pensieri. "E se dovessero trovarci?" chiese piano.

Paum sollevò lo sguardo dal neonato che reggeva. "Non spaventarli, Zolin." Il ragazzo che aveva parlato si limitò a sogghignare, scoprendo una fila di denti bianchi e appuntiti. "Questa era una città degli orchi. È ben difesa, e ci sono ancora le loro armi."

"Gli orchi si sono estinti." ribatté Dirsjt. Mejri vide che gli tremavano le mani. "E forse anche noi..."

"Abbiamo il serpente." replicò Hzial con un sorriso ora forzato, prima che Sil, che non aveva ancora detto una parola, si alzasse di scatto, afferrando Dirsjt per un polso con abbastanza forza da sollevarlo in piedi e trascinarlo oltre la soglia. Mejri provò a scusarsi con i vicini, prima di rinunciare e seguirli dentro.

Mentre Sil scompariva nella stanza in cui era stata ospitata in quei giorni, Mejri si guardò indietro, assicurandosi che nessuno li stesse seguendo, allontanandosi dalla porta abbastanza da essere quasi certa che nessuno li sentisse. "Che ti prende?" sibilò all'amante. "Siamo appena arrivati! Vuoi passare per portatore di sventura e farci cacciare?" Non potevano permettersi di dare anche un minimo pretesto che spingesse i loro ospiti a mandfarli via. Quella città poteva essere ancora un mistero, ma per il momento era più sicura del deserto.

Dirsjt scosse la testa, e solo in quel momento lei riuscì a notare quanto fosse impallidito. C'era qualcosa di sbagliato.

E lei era rimasta al suo fianco quasi tutto il giorno e non se n'era accorta.

Quando ricambiò il suo sguardo, lui sembrava più stanco di quanto avesse creduto. "Perdonami." iniziò a mezza voce. "Sono solo... è la prima volta che posso vivere da uomo libero da quando ci siamo conosciuti."

Mejri deglutì. "Non è un bene?" Da quando aveva messo piede fuori da Hxarin-sur, le sembrava di essere tornata a vivere. Era stata convinta che per i suoi compagni fosse lo stesso.

Ma Dirsjt tremava, e lei vide che stava piangendo. "Non voglio che finisca come allora." mormorò.

La ragazza si sentì raggelare mentre la serenità di pochi minuti prima la lasciava. Non aveva pensato, fino a quel momento, a quali pensieri dovessero piagarlo. Lui non le aveva mai raccontato della vita che aveva preceduto il loro incontro, e si era limitata a pensare che ci fosse un motivo se preferiva tacere. Aveva creduto che restare al suo fianco, e ancora di più andarsene dalla loro prigione, lo avesse aiutato.

Si ritrovò paralizzata, chiedendosi quanto a lungo avesse sbagliato.

"Dirsjt, io..." L'entrata di Sil interruppe i suoi tentativi di trovare le parole giuste. La kamry aveva recuperato la sacca con cui aveva viaggiato e ne stava estraendo qualcosa. Pochi secondi dopo, pose una manciata di foglie al compagno, che le accettò, iniziando a masticarle nervosamente.

Mejri non poté che fissarli di nuovo, certa che quella non fosse la prima volta. "Cosa...?" Sil le rivolse un sorriso spento. "Succede meno di quanto pensi."

Non rispose, limitandosi a tornare a osservare Dirsjt. Aveva già smesso di tremare e il suo respiro si era calmato quasi del tutto. "Perdonami." ripeté lui deglutendo qualunque cosa stesse mangiando. "Non volevo comportarmi così davanti a te."

La ragazza scosse la testa. "Ne hai tutto il diritto. Quanto spesso pensi cose simili?" Cercò di celare il più possibile la frustrazione. "Perché non mi hai detto che stavi male? Non te ne farò mai una vergogna, lo sai."

In quei tre anni non erano state poche le volte in cui si erano trovati l'uno a piangere sulla spalla dell'altra. Mejri sapeva che Dirsjt non l'avrebbe mai respinta se avesse cercato conforto, come lei non avrebbe respinto lui. Anche durante la loro fuga, più volte si era trovata a rifugiarsi tra le sue braccia, liberando la paura e i ricordi dolorosi e lasciando che venissero rimpiazzati dal suo calore.

Ma lui, ricordò improvvisamente, non aveva più fatto lo stesso.

E se non fosse stata così concentrata su se stessa e sui propri desideri forse se ne sarebbe anche accorta prima.

Il kamry tornò ad abbassare lo sguardo. "Hai già abbastanza a cui pensare. Tra l'arrivare fin qui e il bambino... non hai bisogno di preoccuparti anche per me. E tantomeno hai bisogno di lasciarti abbattere da me." "Ma mi importa di te!" replicò lei, con più impeto di quanto volesse. "Devi fidarti di me! Non aiuti nessuno se continui a tenerti dei segreti, e..."

Ignorò gli occhi di Sil mentre percorreva la distanza che la separava da Dirsjt, aggrappandosi a lui. Non voleva più che lui potesse crederla lontana.

Non dopo tutto quello che avevano condiviso. Non dopo che era stata la loro vicinanza a darle la forza di infrangere la loro prigionia.

"Staremo bene." riuscì solo a dire. "Starai bene. Farò di tutto perché sia così."

Non sapeva ancora come. Non era in suo potere decidere se quel posto fosse veramente sicuro oppure no, e sapeva troppo bene che qualunque cosa avesse fatto non sarebbe bastato a cancellare qualunque cosa Dirsjt avesse ricordato per reagire in quel modo. Ma intendeva fare la sua parte per ottenere la vita felice che avevano cercato.

Una fitta improvvisa al ventre troncò i suoi pensieri.

Trasalì e sentì Sil chiamarla allarmata, ma si limitò ad aggrapparsi con più forza alle vesti di Dirsjt, iniziando a capire. Sorrise, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. "Credo che si sia mosso."

Era la prima volta che lo sentiva, e proprio in quel luogo in cui era stato loro offerto asilo. Non poteva essere un caso.

"Che ci fermiamo qui oppure no, vi porterò al sicuro." disse quasi tra sé e sé, ignorando il modo in cui gli occhi di Dirsjt si erano illuminati. "Ve lo prometto."

Sperò che, in qualche modo, il suo bambino la sentisse.

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