Capitolo sessanta
Alla luce della luna, la sabbia, di un nero macchiato di rosso, brillava, le decine di orme che la segnavano ben visibili. Shera non riusciva a smettere di fissarle, scosso dai brividi nonostante il mantello in cui si era avvolto – sapeva bene che la colpa non era del freddo – ma il vento della notte avrebbe dovuto cancellarle prima che qualcuno le scorgesse, ed era improbabile che i soldati umani che venivano a riscuotere i tributi dai villaggi si inoltrassero così a fondo nel deserto.
Chiuse gli occhi e cercò di reprimere il pensiero. Se volevano fare ciò che si erano promessi, dovevano smettere di temere gli umani e il sangue che avrebbero versato per fermarli.
Nessuno sapeva che erano lì. Nessuno lo avrebbe sospettato. Erano passati secoli dall'ultima volta che i kamryn si erano riuniti al confine che separava il loro territorio dal deserto interno. Anche ora che i goblin si erano estinti e non conducevano più le proprie scorrerie contro i passanti, arrivare fino a lì significava affrontare qualunque cosa fosse riuscita a sopravvivere nel luogo più sterile di Gicarb e, di notte, un gelo così tagliente da penetrare nelle ossa.
L'ultimo raduno dei rappresentanti dei villaggi era stato ai tempi della guerra contro Erui – quella che aveva decretato la loro rovina. Shera pregava che quella che stavano per dichiarare non si concludesse allo stesso modo.
"Bene." La parola percorse l'aria della notte, infrangendone la sacralità. Era stata appena un sussurro, ma fin troppo udibile nel silenzio assoluto. Shera si trovò a rabbrividire di nuovo, chiedendosi per un momento se la voce fosse giunta fino alle città umane sulla costa. "Ci siamo tutti?"
Non conosceva la donna che aveva parlato. Anziana e curva, si appoggiava a un bastone ricavato dal legno cavo di una palma, ma oltre le ciocche bianche che le ricadevano sul volto i suoi occhi dorati parevano scintillare. Un'altra donna al suo fianco, più giovane, si fermò un istante a osservare i presenti, poi annuì. "Credo di sì, madre."
I presenti dovevano essere non più di una manciata di persone per ciascun villaggio, ma erano comunque più di quanto Shera avesse sperato di vedere. Spostarsi da un insediamento all'altro era stato proibito dopo la loro sconfitta, e lui si era quasi dimenticato del mondo che esisteva al di fuori della sua casa, ma gli anziani che avevano dato ascolto alla sua idea di porre fine al dominio umano, ora che i loro nemici non temevano la ribellione, avevano persuaso alcuni dei giovani a rischiare pur di raggiungere gli altri e chiedere il loro aiuto. Non si era aspettato che qualcuno rispondesse al loro appello.
Forse aveva sottovalutato il desiderio di vendetta dei suoi compatrioti. Per un momento, sebbene stesse tentando di respingere subito il pensiero, si chiese perché non avessero deciso di ribellarsi prima che la ladax facesse a pezzi la sua vita.
Scorse con lo sguardo i volti – alcuni impassibili, altri percorsi dal nervosismo – di tutti coloro che si erano radunati. La forza dell'intero popolo kamryn non era stato in grado di portarli alla vittoria la prima volta che avevano combattuto, ma forse questa volta non avrebbero perso di nuovo.
"Allora possiamo parlare." continuò la vecchia, tranquilla come se ciò che stavano facendo non stesse per decidere il futuro della loro specie.
Un uomo più giovane, dalla parte opposta rispetto all'anziana, si ravviò i capelli e si schiarì la voce, attirando l'attenzione. "Noi siamo venuti, ma potremmo non rimanere." cominciò, ottenendo un cenno d'assenso dai quattro kamryn che lo circondavano. "Riteniamo che questa decisione possa essere un errore, ma volevamo saperlo per certo. Non cercheremo di fermare chi deciderà di combattere... ma potreste non dovervi aspettare il nostro aiuto."
Shera sentì un paio di mani spingerlo da dietro – non avrebbe saputo dire a quale degli altri uomini del suo villaggio appartenessero – portandolo avanti abbastanza perché gli occhi dei presenti si spostassero su di lui. Deglutì nervosamente, strofinando il moncherino del suo braccio. Aveva immaginato quel momento per giorni, ma ora non ricordava cosa aveva immaginato di poter dire.
Aprì la bocca, ma non riuscì a emettere suono. La massa confusa di facce e corpi che vedeva intorno a sé gli parve, per un momento, fin troppo simile al pubblico che lo aveva visto combattere nell'arena.
"Sei stato tu a proporre questa... impresa?" lo incalzò l'uomo che aveva parlato poco prima. Shera annuì, prendendo un respiro profondo per allontanare i ricordi di sabbia e sangue che minacciavano di risucchiarlo. "Sì. Sono tornato da poco da Erui, e mi è stato detto che non siamo più deboli come un tempo. Ma i nostri nemici non si aspettano più una ribellione, ormai. Se dovessimo unirci..." Scorse di nuovo con lo sguardo i presenti, e questa volta non vide altro che potenziali alleati, pronti a macchiarsi di sangue umano.
Sorrise. "Se dovessimo unirci, questa volta, non saranno in grado di fermarci."
Un colpo di tosse infranse il silenzio seguito alle sue parole. "Parli bene." commentò una rauca voce maschile, e Shera si voltò per individuarne il proprietario. Sembrava un uomo più vecchio di lui, con la chioma ingrigita dagli anni e il viso sfregiato – ma erano segni di artigli, non di una lama. "Ma è passato il tempo in cui il nostro era un popolo di guerrieri. Non saremo capaci di combattere."
"Ci vorrà del tempo." concesse Shera, ma il nodo che sentiva in gola si stava sciogliendo e non riuscì a frenare il flusso delle parole. "Ma qui a Gicarb siamo ancora in maggioranza, e potremo coglierli di sorpresa, e io... ho combattuto così a lungo per loro e potrei aiutare..."
La voce gli morì in gola. Era diventato fin troppo bravo a uccidere da quando era diventato una belva. Almeno ora avrebbe potuto versare il sangue di coloro che lo avevano imprigionato.
"In caso combattessimo la guerra diventasse troppo pesante da sostenere... potrete incolpare me." aggiunse, con più riluttanza di quanto volesse ammettere. "Potrete dare la mia vita e la mia libertà in cambio della vostra."
Se era quello che serviva perché suo nipote giungesse alla vecchiaia da uomo libero, avrebbe potuto accettarlo. Si sarebbe ucciso prima di tornare nell'arena, ma non lo disse ad alta voce.
Una mano che non riconobbe gli strinse il polso, come a volerlo richiamare, ma lui non si voltò. Non aveva motivo di aggrapparsi alla vita come aveva fatto negli ultimi vent'anni, ora che sapeva che la sua famiglia sarebbe stata in grado di sopravvivere anche senza di lui. Non desiderava la morte, ma se l'avesse incontrata combattendo per la libertà, l'avrebbe accettata senza rimpianti.
"Perché dovremmo correre il rischio?" chiese un'altra voce femminile. Shera incrociò lo sguardo della donna che aveva parlato, una kamry forse della sua età, circondata da altri quattro vestiti con le stesse tuniche scure, che giocava ossessivamente con il bracciale di piccole pietre che portava al polso sottile. "Non c'è più la ladax, non stiamo morendo di fame. Ribellarsi a Erui porterà solo sangue. Perché dovremmo sacrificare i nostri figli per questo?" Le sue parole furono accolte da un coro di acclamazioni, ma la vecchia che aveva parlato per prima alzò bruscamente il bastone e il gesto bastò a riportare il silenzio.
Shera sapeva di avere fatto la propria parte. Aveva detto ciò che doveva e avrebbe potuto andarsene. Non era un capo ed era stato lontano dal suo villaggio troppo a lungo. Se si trovava lì era solo in virtù del fatto che era sfuggito a Erui, e non era bastato perché gli altri lo ascoltassero.
Si sforzò di trattenersi, ma le parole sfuggirono comunque alle sue labbra. "Perché..."
Perché anche ora che non era più uno schiavo, non sarebbe mai stato veramente libero finché il giogo degli umani avesse continuato a pesare sulla sua gente.
Perché arrendersi avrebbe significato non vendicare la morte di Corr.
"Perché la ladax e la carestia potrebbero tornare, e allora i nostri figli e i figli dei nostri figli conosceranno di nuovo la schiavitù e ne pagheranno il prezzo." Sollevò il moncone del proprio braccio sinistro. Non si era procurato la ferita nell'arena, ma non aveva ancora rivelato a cosa fosse dovuta e sperava che sarebbe bastata a convincere coloro che ora lo stavano fissando. "Perché saranno costretti a uccidersi a vicenda per il piacere dei loro aguzzini e arriveranno a sentirsi fieri di essersi ridotti a belve."
Stava svelando troppo, ma forse era un bene che altri sapessero del malsano orgoglio a cui si era aggrappato nelle notti in cui aveva temuto di impazzire, che lo aveva inondato a ogni corpo sanguinante nella sabbia, a ogni sussurro intriso di paura da parte delle belve abbastanza ingenue da avvertire gli ultimi arrivati sul suo conto, a ogni nuovo orecchino di rame che penetrava la sua pelle. Non lo aveva ammesso nemmeno a sua sorella. Non voleva che lei conoscesse il mostro che era stato capace di diventare.
Forse avrebbe dovuto affrontare la propria punizione, ma ciò che Dhnir aveva tentato di fargli, il momento in cui si era svegliato impotente tra braccia umane, gli era bastato.
Il mostro era morto nel momento in cui lui era tornato a casa. Non ce ne sarebbero stati altri dopo di lui. Non se finalmente si fossero ribellati. Forse le vite a cui avrebbe posto fine per un futuro migliore avrebbero ripagato quelle che avrebbe distrutto per compiacere gli umani.
"Perché i nostri fratelli ancora imprigionati meritano una possibilità di tornare tra noi..." Perché troppi erano già morti per mano sua.
Tacque e controllò ancora una volta le espressioni degli astanti. Nessuno di loro disse nulla, ma molti avevano gli occhi lucidi e lo sguardo distante. Quanti tra loro avevano già sacrificato i propri familiari e i propri amici per la ladax? Quanti erano convinti che fosse stato un prezzo troppo alto da pagare?
Attese una risposta mentre i sussurri iniziavano a fiorire intorno a lui. Aveva passato anni quasi senza parlare, e ora che aveva potuto riportare alla luce i pensieri che aveva tentato di seppellire così a lungo, si sentiva come se tutto quel tempo fosse stato cancellato.
Finché una voce – quella della vecchia – non sorse di nuovo al di sopra delle altre. "Alla prossima luna nuova, prenderemo una decisione." Ancora una volta l'attenzione della folla si concentrò sulla donna, ma i fieri occhi gialli di quest'ultima guardavano solo Shera. "Potresti avere suscitato la nostra salvezza o la nostra distruzione, ragazzo. Lo scopriremo."
Mentre la kamry si voltava e si allontava, seguita a poco a poco da tutti gli altri, Shera sentì le gambe cedere. Non si era accorto di quanta tensione si era accumulata nel suo corpo, e prima di rendersene conto era in ginocchio sulla sabbia, fredda e brillante alla luce della luna.
Almeno aveva tentato, per una volta, di fare la cosa giusta. Forse l'epoca di schiavitù che la sua gente aveva passato sarebbe davvero finita di fronte ai suoi occhi.
O forse avrebbe condannato tutti coloro che aveva sempre desiderato salvare.
Ma non sarebbe successo, si ripeté. Se avessero perso, lui sarebbe stato l'unico a pagare. Erui sarebbe stata felice di punirlo, a giudicare da come aveva sterminato le altre belve che Dhnir aveva fatto fuggire – così felice da potersi accontentare della sua morte invece di richiedere la vita di tutti i kamryn di Gicarb.
E se avessero vinto...
Sorrise. Se avessero vinto, forse si sarebbe potuto finalmente coinvincere che la sua sopravvivenza non era stata un peccato.
...
Thadrez sbuffò cercando di avanzare nella neve sempre più alta. Dhnir le strinse con più forza il braccio e si voltò per sorriderle, attendendo che avesse riacquistato l'equilibrio prima di muovere un altro passo.
Non voleva credere che quelli fossero gli ultimi momenti che avrebbero passato insieme. Per l'ennesima volta, tentò di ignorare il pensiero.
Aveva immaginato il proprio ritorno a casa come un momento felice, ma ora che sarebbero bastati pochi giorni – forse addirittura poche ore – per raggiungere il suo villaggio ogni passo pareva più difficile del precedente.
Continuava a pensare agli sguardi che avrebbe ricevuto. Ammesso che qualcuno ancora si ricordasse di lui, come avrebbe potuto spiegare ciò che aveva fatto per sopravvivere negli anni che erano trascorsi dal suo rapimento? Come avrebbe giustificato il fatto di essere stato l'unico a salvarsi?
Erano abbastanza domande da fargli quasi desiderare di voltarsi indietro e fuggire.
Sapeva che non l'avrebbe fatto. Non aveva lottato, non aveva ucciso e rischiato la vita solo per cedere di fronte alla propria codardia. Avrebbe sopportato le domande che i suoi compagni gli avrebbero rivolto, e sarebbe stato di nuovo in pace.
Non aveva nulla da temere. Era finalmente a casa. Sarebbe tornato al sicuro e presto i suoi incubi sarebbero scomparsi e il suo corpo avrebbe cessato di trasformarsi contro la sua volontà.
Ma dire addio a Thadrez sarebbe stato più difficile di quanto avesse previsto.
Lei dovette avere intuito i pensieri che stavano attraversando la sua mente. Si fermò e gli rivolse un sorriso incoraggiante prima di riprendere ad arrancare nella neve, senza liberarsi dalla sua stretta.
Ne avevano già parlato. All'alba del giorno seguente, lei se ne sarebbe andata senza voltarsi indietro, portando con sé solo le informazioni che lui le aveva dato. E lui non l'avrebbe guardata allontanarsi. Si sarebbe mosso nella direzione opposta e avrebbe raggiunto la sua casa.
Non avrebbero sacrificato il futuro che li attendeva per costruirne un altro. Non potevano certo scappare e andare a vivere da soli là nel nord, dove non c'era nulla per gli umani. Tornare a sud lo avrebbe condannato a morte.
Con il tempo, si sarebbero dimenticati l'uno dell'altra. I sentimenti che erano nati tra di loro sarebbero svaniti, ed era meglio che non li rimpiangessero.
"Possiamo fermarci qui." disse Dhnir, tentando di non farle capire ciò che stava pensando, anche se era certo che entrambi lo sapessero bene. "Non è tardi." Se fossero rimasti fermi, sarebbe riuscito a guardarla in viso più facilmente. Avrebbe avuto tutta la notte per parlarle e osservarla. E forse anche per fare qualcosa di più.
Thadrez si sedette al suo fianco, ma continuò a tenere la mano del khery tra le proprie, piccole e pallide. Un sorriso triste le illuminava il volto. Dhnir non ebbe il coraggio di parlare per primo.
"Grazie per tutto quello che mi hai insegnato." mormorò la guaritrice, abbassando lo sguardo. "Cercherò di diffonderlo il più possibile. Anche a Erui, se necessario." Dhnir stava per rispondere, ma si perse a osservare il rossore sulle sue guance e la piega più vivace che prese il suo sorriso. "Forse potremmo incontrarci di nuovo, un giorno."
Era una speranza che non poteva realizzarsi, ma Dhnir le sorrise a sua volta. Se fossero vissuti abbastanza a lungo da vedere il momento in cui keryn e umani non avrebbero avuto nulla da temere l'uno dall'altro, forse avrebbe cercato di ritrovarla.
Il pensiero, per quanto futile, lo fece sorridere. "Grazie a te per avermi accompagnato fino a qui." Thadrez era l'ultima persona da cui si sarebbe aspettato un gesto simile, ma aveva lasciato la propria casa per seguirlo. Era più di quanto lui meritasse. "Vorrei che ci fossimo conosciuti in circostanze diverse."
Era inutile desiderare ciò che non sarebbe mai potuto accadere. Thadrez gli strinse la mano con più forza. Dhnir distolse lo sguardo. Non voleva farle vedere quanto si sentisse sul punto di piangere.
Sarebbe dovuto essere lieto di essere nel luogo in cui era nato, ed essere grato del tempo che aveva passato con la guaritrice, non...
Il tocco di Thadrez sulla sua spalla lo fece sussultare. Qualcosa si mosse sotto la sua pelle.
La sensazione parve trasformare le sue ossa in ghiaccio. Per un momento, pensò di allontanarsi, certo che il suo corpo stesse di nuovo per trasformarsi contro il suo volere, ma di fronte alla dolcezza negli occhi della donna la sensazione si dileguò, rapida come era apparsa. Non sarebbe successo nulla.
"Mi mancherai." ammise Dhnir. Sperò che lei non avesse sentito il modo in cui la sua voce si stava spezzando.
Thadrez continuò a sorridergli, anche se lui vide le lacrime brillare nei suoi occhi. Lo strinse a sé e gli appoggiò la testa sul petto. Questa volta il kery non rifuggì il contatto, ma la abbracciò a sua volta, sperando che quel momento potesse durare per sempre.
Non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che lui potesse sentire di nuovo qualcuno tra le proprie braccia. Non gli era successo dalla morte di Hjkyan.
Ma il calore che sentiva in quel momento era molto diverso da quello che aveva provato con suo fratello.
Aveva già provato sentimenti simili. Certo che li aveva già provati. C'era stata Lami, molti anni prima – si era sposata poco prima che lui venisse rapito, e non sapeva neanche se avesse potuto riconoscerlo quando sarebbe tornato – e c'era stato Seralin, anche se dubitava che si ricordasse ancora di lui. Non era così ingenuo da non sapere riconoscere quello che sentiva.
Ma non avrebbe dovuto provarlo. Thadrez era umana. Anche se non se ne fosse dovuta andare, il solo fatto che non sapesse cosa significasse trasformarsi, che condividesse il sangue con coloro che l'avevano imprigionato e torturato, l'avrebbe sempre resa irraggiungibile.
Una voce nella sua testa gli sussurrò che, se lei lo avesse voluto, avrebbe potuto cedere. Non l'avrebbe più rivista. Si sarebbe potuto concedere un istante di calore. La lontananza avrebbe fatto credere alla sua mente che non fosse mai successo nulla tra di loro.
Prima che potesse parlarle, Thadrez gli accarezzò il viso. La dolcezza che percepì in quel gesto rischiò di fargli perdere il poco autocontrollo che gli restava e farlo definitivamente scoppiare in lacrime, ma Dhnir resistette. "Anche tu mi mancherai. Più di quanto avessi mai potuto pensare." ammise lei. "E devo dirtelo, prima di andare..."
Il cuore di Dhnir stava battendo abbastanza forte da rischiare di assordarlo, ma non abbastanza da nascondere le parole, appena sussurrate, di Thadrez. "Penso..." iniziò lei piano, tornando a fissare il suolo innevato. "Penso di essermi innamorata di te."
Per un momento, il kery non riuscì a rispondere. Le parole caddero nel vuoto, sprofondando nella neve. Thadrez distolse lo sguardo e si coprì gli occhi. "Perdonami... non avrei dovuto." La sua voce era più alta e più ferma, ma le stavano tremando le spalle.
Dhnir si riscosse, rendendosi conto di quello che stava accadendo. Le sollevò gentilmente il viso finché lei non incrociò finalmente il suo sguardo. La guaritrice aveva le guance arrossate e rigate di lacrime. Questa volta, lui non pensò che fosse solo per via del freddo.
Forse non avrebbe dovuto sprecare quell'ultima opportunità che gli era stata concessa.
Le asciugò le lacrime con delicatezza, sapendo che avrebbe ricordato la sensazione negli anni a venire. Aveva pianto più volte di fronte a Thadrez, ma lei non aveva mai fatto lo stesso con lui. Non voleva che i ricordi che lei avrebbe avuto di quell'ultimo giorno fossero segnati dal rimpianto o dal dolore.
"Credo di provare lo stesso per te." le sussurrò, anche se fino a pochi minuti prima non avrebbe voluto ammetterlo nemmeno a se stesso.
Poi si chinò su di lei per baciarla.
Si chiese se fosse ancora in grado di farlo. Non aveva toccato nessuno in quel modo per anni – a Erui non aveva avuto neanche il tempo di pensarci. Sperò di non stare rovinando quel momento. Sarebbe stato l'ultimo che avrebbero condiviso.
Ma quando lei si abbandonò al suo tocco e portò una mano tra i suoi capelli, attirandolo a sé, tutti i suoi pensieri svanirono.
Le labbra di Thadrez erano screpolate dal freddo, la sua guancia bollente sotto la mano di Dhnir. Per anni il kery non aveva neanche fantasticato di avvicinarsi a qualcuno in quel modo – sarebbe solo risultato nella sua morte – ma ora si annullò nel bacio, lasciando che, solo per un momento, tracciasse nella sua mente l'immagine di un futuro migliore.
Si staccò da lei prima di quanto volesse, quando si rese conto di ciò che aveva fatto. Thadrez era avvampata e distolse subito lo sguardo, ma stava sorridendo.
E mentre il vento gelido raffreddava il suo volto accaldato e la sua mente eccitata, Dhnir si rese conto di ciò che aveva fatto.
Aveva interrotto il bacio, ma quel momento pareva non essere ancora finito. Ora, sarebbe stato impossibile dimenticarsi di lei. Sulle proprie labbra avrebbe portato l'eco del tempo che avevano trascorso insieme, e avrebbe ricordato che era stato solo grazie a lei se era riuscito a tornare a casa. Avrebbe ricordato che lei era stata disposta ad aiutarlo e ad amarlo nonostante la sua natura, e che non l'avrebbe rivista mai più.
Con il tempo, il pensiero avrebbe smesso di pungerlo come stava facendo ora. Ma non era certo di essere pronto ad aspettare fino a quando non avesse raggiunto quel momento.
Un bramito si levò dal profondo della sua anima.
Non adesso!
Strisciando nella neve, Dhnir lasciò andare Thadrez e cercò diallontanarsi da lei. Provò a respirare profondamente, sperando di calmarsi. L'aria fredda pareva ferirgli i polmoni, ma almeno avrebbe dovuto placare la sua mente.
"Dhnir, che ti succede?" La voce, improvvisamente agitata, di Thadrez pareva giungere da molto lontano. Il kery non le rispose, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Le unghie parevano essersi allungate, quasi impercettibilmente. Si rese conto di stare tremando.
Non era in pericolo. Non con lei. Thadrez non era sua nemica e non doveva combatterla. Non c'era alcun motivo per cui il suo corpo dovesse reagire in quel modo.
Ma la trasformazione giunse lo stesso, violenta e improvvisa, e inarrestabile.
Il suo corpo si annullò in se stesso e cambiò forma troppo velocemente perché il suo tentativo di opporsi avesse anche solo la possibilità di essere efficace. Non aveva opposto abbastanza resistenza perché fosse doloroso. Le sue ossa si riposizionarono con naturalezza, come avevano sempre fatto, e il calore della sua spessa pelliccia, per un istante, gli fu di conforto. Sapeva che il suo secondo corpo lo avrebbe protetto.
Eppure gli occhi dell'orso guardarono Thadrez senza riconoscerla, e per quanto Dhnir sapesse chi fosse davvero, non riuscì a fermare il pensiero che si formò nella sua mente alla vista della donna.
Nemico.
Dhnir gridò al suo corpo di fermarsi, ma la sua mente non era quella dell'orso, non più. A guidarlo ora era l'istinto che gli aveva permesso di sopravvivere due anni nell'arena. L'unico modo che aveva avuto di allontanare la morte era stato versare sangue, e ora lo avrebbe fatto. Non importava che una parte di lui non lo volesse, che sapesse di stare commettendo un errore.
Thadrez si era bloccata, fissando la sua trasformazione con gli occhi sbarrati, le pupille dilatate. Ora, almeno, ebbe la prontezza di schivare la zampata che si stava dirigendo verso la sua testa prima che i lunghi artigli potessero anche solo sfiorarla.
Imprigionato dentro il proprio corpo, Dhnir implorò l'orso di fermarsi, ma l'animale scoprì i denti e si scagliò di nuovo contro Thadrez. Avrebbe potuto spezzarle la schiena con un solo colpo delle proprie zampe robuste. Avrebbe potuto prenderla tra le zanne e scuoterla tra le mascelle fino a ridurla a un grumo di carne.
Basta!
L'orso alzò nuovamente una mano per colpire, ma questa volta ascoltò il suo richiamo. Dhnir sentì il suo corpo mutare e rimpicciolire, gli arti spostarsi e il pelo ritrarsi, fino a quando non tornò a vedere con occhi umani.
Fu un sollievo, almeno fino al momento in cui non vide Thadrez per com'era davvero. Non sembrava ferita – non c'era sangue sulla neve. Ma era terribilmente pallida, stava tremando, e non lo stava fissando con la stessa dolcezza con cui aveva fatto prima.
Non vedeva più l'uomo che aveva baciato e che aveva detto di amare, ma solo un mostro.
Dhnir indietreggiò, rischiando di perdere l'equilibrio, travolto da un'ondata di orrore così forte da fargli venire la nausea. Per un momento, pensò di lasciarsi cadere nella neve e restare raggomitolato lì fino a quando non fosse giunta la fine.
Quando aveva smesso di vederla come un semplice mezzo per salvare Shera, aveva desiderato tenere Thadrez al proprio fianco. Aveva voluto proteggerla.
Ma l'orso aveva pensato solo a proteggere se stesso dalla minaccia che aveva creduto di vedere.
Aveva creduto che, se si fossero trovati di fronte a un pericolo, sarebbe stato lui a salvare Thadrez. Se non si fosse fermato, chi avrebbe potuto sottrarla alla sorte che stava per riservarle?
"Non volevo..." sussurrò, più a se stesso che alla guaritrice, che continuava a fissarlo paralizzata. "Non volevo farlo, Thadrez, te lo giuro..."
Non importava che fosse vero. Non desiderare la sua trasformazione non l'aveva fermata. Non sarebbe mai dovuto succedere, non a un kery, ma il suo secondo corpo non gli obbediva più, e Thadrez non era più al sicuro con lui.
Forse, non lo era mai stata.
Le lacrime che rigavano il viso della guaritrice non erano più quelle che aveva versato per amore. La donna parve infrangere la paralisi che la avvolgeva e si rimise in piedi, molto lentamente, continuando a fissarlo, ogni muscolo del suo corpo pronto alla fuga.
Dhnir non si mosse. Rimase a guardarla, fino a quando lei non decise di rischiare di muoversi e corse via, nella direzione opposta a quella che avevano percorso fino a quel momento, il suo mantello giallo l'unico lampo di colore nel mondo bianco e grigio che li circondava.
Sapeva di non avere il diritto di richiamarla indietro.
Rimase a guardarla fuggire, inginocchiato nella neve nonostante il dolore alle gambe, fino a quando non fu del tutto scomparsa all'orizzonte.
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