Capitolo quaranta

Il suono del piede di Jalnar che batteva insistentemente contro il pavimento di legno stava diventando fastidioso.

Nizkam sospirò e sollevò lo sguardo per incontrare quello del cognato. "So che cosa stai pensando. Ma cosa dovrei fare?" Sperò di ricevere davvero una risposta. Le braccia stavano iniziando a dolergli per la forza con cui stava stringendo il bordo del tavolo. Sentiva il cuore battere sempre più forte, ed era quasi certo che l'altro lo potesse udire chiaramente.

Tutto quello che per anni aveva cercato di costruire poteva scivolargli tra le dita da un momento all'altro.

Come aveva previsto, Jalnar rimase in silenzio, limitandosi a fissarlo. Nizkam non aveva bisogno di leggere i rapporti che teneva in grembo. Negli ultimi mesi erano quasi tutti uguali.

Che fossero i suoi sottoposti a scrivergli, o gli altri padroni di quelle terre, le notizie che portavano erano le stesse. Il suo comportamento era stato notato, e disapprovato, almeno da tutto il nord di Firmia. Sarebbe stato sciocco a pensare che non ci sarebbero state conseguenze.

Chiuse gli occhi e pregò, contro ogni evidenza, che non accadesse nulla.

La liberazione degli schiavi era diventata legale da anni, ma una massiccia come quelle che cercava di compiere era ancora considerata pericolosa. Alla prossima assemblea avrebbe votato per abolire del tutto il mercato, ma non erano molti tra i governatori coloro che erano altrettanto favorevoli.

Poteva capire perché stessero iniziando a guardarlo con sospetto. Lla notizia del suo matrimonio con Irgyvie, che ormai si era sparsa, non avrebbe certo migliorato la situazione.

Ma non poteva negare la libertà a coloro a cui l'aveva già data. Anche se la legge glielo avesse permesso, la sua volontà non l'avrebbe fatto. Sarebbe significato tradire tutto ciò in cui aveva creduto fin da quando aveva iniziato a guardare Usla con gli occhi di un figlio.

Doveva fare in modo che il suo comportamento continuasse a essere tollerato.

Almeno il fatto che Tasyr fosse più anziano di Laem e suo erede legittimo lo avrebbe protetto. Poteva immaginare cosa sarebbe successo se avesse lasciato le sue fortune a un hiry.

Spinse indietro la sedia bruscamente, ignorando il suono del mobile che strisciava sul pavimento. Aveva sperato che il suo corso d'azione fosse d'esempio per gli altri, e che prima della fine della sua vita almeno la schiavitù fosse finita. Ogni mese gli dimostrava che era stato troppo ottimista.

Fino a quel momento gli avevano permesso di fare quello che voleva. Ma se si era sparsa la voce che era troppo vicino agli hiryn...

Firmia non era ancora pronta per una simile eventualità.

Nel migliore dei casi, semplicemente gli sarebbe stato proibito di liberare altri schiavi. A quel punto, non gli sarebbe restato che pregare che quelli che fossero giunti fino a lì fossero venduti da padroni indulgenti.

Nel peggiore, avrebbe perso tutto.

Il suo potere e tutti i suoi beni sarebbero stati revocati. Avrebbe potuto sopportare il pensiero della povertà, se fosse stato l'unico in pericolo. Ma Jalnar e Tasyr sarebbero finiti in miseria per colpa sua. Il pensiero che suo figlio potesse soffrire per tutta la vita a causa dei suoi errori gli strinse il cuore.

Le sue liberte sarebbero state quasi certamente rivendute o uccise. Difficilmente Laem sarebbe stato risparmiato.

Aveva promesso a Irgyvie che avrebbe protetto il suo bambino.

"Cosa dovrei fare?" ripeté piano. Jalnar lo fissò in silenzio per un tempo che parve interminabile. "Se non ti conoscessi, ti direi di allontanare le tue liberte e di evitare di comprarne altre. Anzi, sarebbe anche più conveniente per la tua reputazione comprarne ancora senza liberarle."

Doveva avere visto lo sguardo che lui gli stava rivolgendo, perché tacque e sorrise. "Ma so che non lo faresti mai."

Nizkam rilassò i muscoli e deglutì. "Vorrei solo che ci fosse presto un cambiamento. Niente di tutto questo sarebbe necessario se... se loro e noi venissimo trattati allo stesso modo."

"Forse accadrà, un giorno." Nizkam tornò a guardare Jalnar e non poté fare a meno di notare l'intensità con cui i suoi occhi azzurri scrutavano il vuoto, prima di risollevarsi verso di lui. Il suo sorriso si fece più caldo. "Sei sempre stato un sognatore, Nizkam." Versò altro vino nel bicchiere poggiato sul tavolo accanto a lui e lo bevve in pochi sorsi. "È anche per questo che Odit ti amava." concluse riappoggiando il recipiente con un lieve tonfo.

Nizkam si morse le labbra mentre il ricordo della moglie tornava prepotentemente a lui. Anche se erano passati dodici anni, il vuoto che aveva lasciato non si era ancora colmato del tutto.

Lei aveva sempre appoggiato il suo atteggiamento nei confronti degli hiryn. Quando alla morte di suo padre aveva ereditato le sue proprietà, lei lo aveva spinto a mettere in atto la sua decisione. Se fosse stata con lui in quel momento forse gli avrebbe detto come avrebbe dovuto risolvere il problema.

La maggior parte dei matrimoni non avveniva per amore. Quello che aveva contratto con Irgyvie non faceva eccezione. Ma aveva amato Odit da molto prima di sposarla, e lei aveva amato lui. Erano cresciuti insieme, e quando avevano ottenuto il permesso di fidanzarsi, avevano parlato spesso della lunga vita che avrebbero trascorso insieme.

Ma Odit se n'era andata troppo presto, lasciandosi indietro solo un figlio che non l'avrebbe mai conosciuta e il rimpianto di tutti i momenti che non avevano vissuto.

Nonostante il tempo che era trascorso, ricordava ancora il suono della sua voce. C'erano ancora giorni in cui guardare Tasyr e scorgere l'ombra di sua madre nel suo viso diventava doloroso. A volte, nei suoi sogni, credeva di sentire ancora l'odore del suo sangue. Quando Laem era nato non aveva avuto nemmeno il coraggio di avvicinarsi a Irgyvie fino a quando Usla non gli aveva assicurato che, questa volta, non era morto nessuno.

Avrebbe voluto averla ancora al proprio fianco.

Almeno aveva Jalnar. Era sempre stato simile alla sorella, nel corpo quanto nello spirito, e anche se non lo amava allo stesso modo sentirlo vicino, soprattutto in momenti come quello, avrebbe continuato a dargli conforto.

"Mi manca ancora." mormorò. "Ma sono felice che tu sia qui con me."

L'altro sorrise, anche se nei suoi occhi brillava solo la malinconia. "Anche io. E non voglio che tu e Tasyr rischiate nulla. Lei non lo vorrebbe."

Nizkam chiuse gli occhi e provò a concentrarsi. Avrebbe trovato la soluzione giusta. Doveva solo individuarla.

"Proverò di nuovo a parlare con l'assemblea." concluse alla fine dopo qualche minuto. "Dimostrerò loro che questo è il corso d'azione giusto. Sarà vantaggioso, alla fine. Non ci saranno altre rivolte di schiavi se non esisterà la schiavitù, e se ripartiremo il lavoro tra i liberi tutti potranno prosperare. Questa volta se ne convinceranno."

Jalnar tacque per un tempo che parve infinito. "Forse stavolta sì." convenne infine, annuendo. Nizkam si voltò a guardarlo e gli sorrise.

Sapeva che avrebbe dovuto affrontare difficoltà simili. Ma sarebbe riuscito a superarle. Era solo questione di tempo prima che le sue azioni diventassero la norma.

                                                                                        ...

Nonostante Jounan fosse una grande città, sembrava che non ci fosse nessuno in strada.

Mejri si guardò intorno circospetta prima di scendere i gradini che conducevano al sentiero tra le due fila di case, muovendosi lentamente e cercando di non fare rumore. Doveva riuscire a tornare prima dell'alba. Non voleva che Dirsjt e Sil si preoccupassero per lei.

Anche quella notte si era svegliata da sogni angoscianti e confusi, che le avevano lasciato addosso un'inquietudine persistente. Questa volta era stato il ricordo del primo momento in cui aveva visto le cicatrici di Dirsjt, della paura nei suoi occhi quando Jilab lo aveva donato a lei.

Erano passati anni, e ora quel momento era passato e finito. Ma anche se aveva smesso di pensarci spesso, la notte ancora a volte non le permetteva di dimenticare, come succedeva per la morte di Parnel.

Non aveva voluto svegliarlo e, ora che mancavano ancora alcune ore all'alba, non aveva voluto rivolgersi a Sil. Forse al mattino le avrebbe chiesto qualcosa per aiutare a dormire meglio. Per ora, forse semplicemente uscire le avrebbe permesso di calmarsi del tutto.

La sabbia sotto i suoi piedi attutì i suoi passi, che con il passare del tempo diventavano sempre più pesanti. Ormai passava la maggior parte del giorno seduta all'interno della casa che avevano ottenuto, troppo affaticata per fare molto altro.

Sopportare una gravidanza era più difficile di quanto avesse creduto, ma avrebbe accettato con gioia tutte quelle difficoltà ricordando quanto fosse stata vicina a rinunciarvi.

Gettò un'ultima occhiata all'edificio da cui era uscita prima di iniziare ad allontanarsi. Non sarebbe andata oltre i confini di Jounan. Probabilmente sarebbe stata fuori meno di un'ora. Aveva solo bisogno del tempo per tranquillizzarsi.

Inspirò l'aria fredda della notte, sollevando lo sguardo verso il cielo limpido. A Xifler le sere non erano mai state così fredde. Eppure le stelle sembravano così vicine da poter essere toccate, e lei non si era mai sentita tanto libera quanto lo era in quel posto.

Ancora una volta si chiese se per i suoi compagni fosse lo stesso.

Lei per tutta la vita aveva dovuto temere la violenza di uomini come Jilab, ma non aveva dovuto nascondersi fin dalla nascita nella speranza di non essere ridotta in schiavitù. Negli ultimi tre anni era stata solo una prigioniera, ma ora che il suo aguzzino era lontano i ricordi di quel tempo erano più facili da affrontare.

Ma sapeva che per i kamryn liberi nascondersi era l'unico modo di evitare un fato peggiore. Una volta lontana da Xifler lei non avrebbe dovuto temere di ricadere nelle mani di Jilab, ma ovunque schiavi fuggiaschi come Sil e Dirsjt fossero andati ci sarebbe sempre stata la consapevolezza che nessun rifugio sarebbe potuto durare per sempre, e che in ogni caso non avrebbero potuto uscirne senza correre un rischio troppo alto.

Forse per loro neanche essere lì era libertà.

Ci aveva pensato spesso, ma non trovava il coraggio di parlarne con Dirsjt, e se avesse provato a discuterne con Sil sapeva che lei avrebbe evitato la conversazione. Non poteva fare altro che continuare a soffermarsi sul pensiero.

Perse quasi completamente la percezione dello spazio intorno a sé, continuando a camminare senza sapere dove. La sua mente si stava concentrando solo su quello che avrebbe dovuto fare per Dirsjt e Sil. Voleva che si sentissero al sicuro quanto lei lì, che non avessero più bisogno di avere paura. Non sapeva come realizzare quel desiderio.

L'armonia non potrà mai tornare senza il suo contributo.

Il ricordo della voce che aveva udito in sogno apparve vivido nella sua mente. Non ci aveva quasi più pensato e per un momento si chiese perché fosse tornato alla luce in modo così vivido.

Aveva pensato che ciò che aveva sognato fosse reale quando era riuscita a fuggire, ma con tutto ciò che era accaduto dopo aveva smesso di rivolgervi il pensiero. Aveva smesso di chiedersi il significato di quelle parole.

Il bambino che portava in grembo era il segno più chiaro che potesse dare dell'armonia tra lei e Dirsjt. Ma ancora non sarebbe bastato a cambiare la relazione tra i loro mpopoli. Avrebbe voluto essere libera di mostrarlo al mondo, dire che la possibilità che umani e kamryn potessero coesistere non era un'utopia, ma avrebbe solo causato la propria morte, quella del suo amato e quella del loro figlio.

Almeno Jounan esisteva. Almeno avevano un riparo. Era molto più di quanto avesse sperato.

Con un brivido, si domandò ancora una volta dove sarebbero andati se non avessero avuto la fortuna di trovare quel luogo. Aveva scelto di inoltrarsi nel deserto unicamente per essere al sicuro dai suoi inseguitori, senza pensare davvero a come superarlo indenne o dove rifugiarsi una volta che fosse giunta dall'altra parte. Li avrebbe fatti uccidere tutti, se Paum non fosse arrivato in tempo.

"Non dovresti prendere freddo nel tuo stato."

Quasi sobbalzò quando la voce, poco più che un sussurro, lacerò il silenzio. Riuscendo a mantenere l'equilibrio, si guardò intorno, in cerca del responsabile.

Un movimento appena distinguibile attirò la sua attenzione, fino a quando non scorse Mawen, il fratello umano di Doreth, seduto su uno dei gradini di quella che doveva essere la sua casa. Aveva alzato una mano per salutarla e stava sorridendo.

Mejri si bloccò senza sapere cosa dire. Non si era aspettata di vedere qualcun altro per le strade della città. "Io..." iniziò. Il caldo sorriso dell'altro si allargò. "È successo qualcosa?"

La giovane esitò per alcuni secondi, cercando di capire quanto dovesse rivelare. L'avrebbe resa più tranquilla parlare con qualcuno, ma non conosceva quasi per niente l'altro. "Non riuscivo a dormire." si limitò a rispondere alla fine.

Era la prima volta dopo anni che parlava davvero con un essere umano, escludendo i suoi zii.

Dopo che Dirsjt e Sil erano stati i suoi più stretti – e unici – confidenti, aveva iniziato a sentirsi quasi straniera nei confronti dei suoi stessi simili. Ma la consapevolezza che aveva infestato la sua mente quella notte era la prova che sarebbe rimasta sempre umana.

Forse anche Mawen, se era cresciuto così vicino ai fratellastri da voler fuggire con loro, si sentiva allo stesso modo.

"Non ti piace stare qui?" chiese lui con voce pacata. Anche se il suo corpo era ancora rilassato, la stava fissando abbastanza intensamente da farla sentire a disagio. Mejri deglutì. "No... sono grata dell'ospitalità che ci avete offerto. Ma..."

Avrebbe voluto trattenersi, ma il bisogno di confidarsi si era fatto abbastanza impellente da spingerla a continuare a parlare.

"Non mi sembra il mio posto." confessò. In fondo, dirlo non avrebbe avuto alcuna conseguenza. Quando fosse arrivata l'alba sarebbero entrambi andati per la propria strada e Mawen si sarebbe probabilmente dimenticato di qualsiasi cosa gli avesse detto molto in fretta. "Siamo... umani. Io e te potremmo stare in qualunque altro posto invece che con quelli che dovrebbero essere i nostri nemici naturali..."

Si rese conto troppo tardi che forse aveva detto fin troppo alla persona sbagliata. Fece un passo indietro, attendendo una reazione, ma Mawen si limitò ad adombrarsi leggermente.

"Mi sembra tardi per pensarci." commentò. "Ma capisco cosa intendi. A volte penso la stessa cosa, sai?" Mejri risollevò lo sguardo di scatto, sorpresa.

Lui tornò a sorriderle. "Ci ho pensato spesso. Sarei potuto restare con mio padre, essere il suo erede e avere una vita agiata. Ma non lo trovavo giusto." Il suo sguardo si puntò nuovamente sulle stelle. "Non siamo stati creati per essere nemici... ma questo lo sai già da te. È solo una decisione che abbiamo preso. Abbiamo creduto di non poter stare gli uni con gli altri, e questo è il risultato."

Rimase in silenzio per qualche istante, abbassando lo sguardo, e Mejri non osò dire nulla. Poi Mawen sollevò il mento e la guardò negli occhi. "Ma non deve necessariamente essere così per sempre. Per ora l'unico modo che abbiamo di stare insieme è nasconderci. E io non abbandonerei mai i miei fratelli pur di tornare alla vita di prima, e non credo che tu voglia lasciare la tua famiglia dopo essere venuta fin qui." Lei aprì la bocca per rispondergli, ma lui sembrò non farci caso. "Ma le cose possono cambiare. Forse un giorno non sarà più necessario nascondersi. Forse a nessuno passerà per la testa che i nostri popoli siano nati per essere nemici."

Mejri portò istintivamente le mani al ventre. "Credi sul serio che tutto questo cambierà?" Se fosse successo, avrebbe voluto che il suo bambino potesse vederlo.

L'altro sembrò illuminarsi. "Forse. Un cambiamento può esserci. Migliaia di anni fa l'essere umano era ancora poco più di un animale e i kamryn erano la specie dominante. Adesso abbiamo conquistato il mondo. Ma se continuano a esistere persone come Doreth e come te... persone disposte a creare un mondo nuovo, perché tra cento anni non dovrebbe esistere un equilibrio?"

Mejri tacque, chiudendo gli occhi e ripetendosi quelle parole per pochi secondi fino a quando non cominciarono a sembrarle quasi sensate.

Risollevò le palpebre e sorrise a sua volta a Mawen. "Grazie."

Non gli diede il tempo di replicare e, anche se una parte di lei sperava che l'altro dimenticasse la conversazione, si sentiva più leggera mentre camminava verso casa.

Continuò a ripetersi le sue parole anche alcune ore dopo, quando spuntò il sole, accarezzandosi il ventre e sussurrando a suo figlio che forse un giorno non avrebbe avuto bisogno di tenerlo nascosto.

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