Capitolo diciassette
La neve non era bastata.
Kael si sollevò tremando dal corpo di Skitnal. Il calore che aveva conservato lo aveva mantenuto in vita per i pochi minuti che gli erano serviti per riprendere conoscenza. Anche nella morte, suo fratello aveva continuato a proteggerlo.
Si strinse a lui per un momento, sperando di potergli restituire il calore e la vita, ma ormai era troppo tardi. Skitnal stava già diventando rigido.
Richiuse gli occhi e tornò a stendersi accanto al cadavere del fratello. Non doveva fare altro che attendere. Continuando a non guardare, iniziò a spogliarsi degli strati di stoffa che ancora lo coprivano. Almeno poteva accelerare la fine il più possibile.
Era pronto ad arrendersi. Non sapeva più se veramente ci fosse qualcosa oltre la morte, ma ovunque fosse finito, sarebbe stato meglio del mondo che aveva lasciato che Skitnal fosse ucciso.
Un pensiero – uno che sarebbe potuto essere l'ultimo della sua vita – lo riscosse dalla dolcezza del sonno in cui stava scivolando.
Aveva ancora un compito da svolgere.
Se nessuno avesse saputo della morte di Skitnal, i sacerdoti non avrebbero mai compiuto i riti in suo onore e il suo spirito non avrebbe mai lasciato il mondo dei vivi. Doveva tornare a Iserb e rivelare la verità, o avrebbe condannato suo fratello a restare imprigionato lì.
Aveva già lasciato che gettasse la propria vita per la sua. Non poteva fargli anche quello.
Si costrinse ad alzarsi. Sapeva che se avesse esitato non ci sarebbe riuscito, e sarebbe morto lì. Per quanto lo desiderasse, non poteva venire meno al suo ultimo dovere. Era tutto ciò che poteva fare per ripagare Skitnal. Sarebbe sempre stato troppo poco, e lo sapeva.
Ma sarebbe andato avanti, anche se ora era da solo. L'unico modo che aveva di aggrapparsi alla vita ora era l'amore per un morto.
Chiuse gli occhi del fratello, osservando un'ultima volta il suo viso. Non voleva ricordarlo così, pallido e circondato di neve e sangue. Non voleva credere che quello fosse veramente Skitnal.
Quando aveva creduto che lo avessero ucciso, aveva avuto il conforto di non averlo visto morire di persona. Ora il cadavere che giaceva al suo fianco era l'atroce conferma della verità. Non aveva la possibilità di vederlo di nuovo.
Se non si fossero mai rivisti, suo fratello non sarebbe mai morto.
Infranse la paralisi che si era nuovamente posata su di lui, rivestendosi meccanicamente. Ogni movimento pareva innaturale, come se fosse il suo corpo quello già avvolto dalla morte. Non poteva farsi fermare dalla consapevolezza della verità, non in quel momento.
Doveva almeno trovare il modo di dargli una sepoltura. Non poteva lasciarlo esposto alle intemperie, o alla fame degli animali che potevano popolare quel posto. Non c'erano vulcani in cui gettarlo, quindi tutto ciò che poteva fare era affidare alla terra la sua protezione.
Strinse l'elsa della spada, reprimendo i conati. Il pensiero che le sue mani fossero nello stesso punto su cui si erano poggiate quelle dell'assassino rischiò di togliergli le forze che gli erano rimaste.
Skitnal sarebbe sopravvissuto, se lui fosse riuscito a uccidere Driyler prima di fuggire?
Stringendo i denti per non cedere, iniziò a sfilarla lentamente. Il suono nauseante che risuonò nelle sue orecchie e i rivoli di sangue che si mescolarono a quello già congelato infransero i suoi tentativi di non crollare. Lasciando andare la spada, sputò un fiotto di bile nella neve accanto alla lama e scoppiò in lacrime.
Tutto quello era assurdo. Entrambi sarebbero dovuti essere a Iserb, al sicuro. La violenza che il loro popolo aveva subito per centinaia di anni non sarebbe nemmeno dovuta esistere.
E qualunque cosa avesse fatto ora non avrebbe rimediato a quello che era successo.
Non era giusto che fosse stato Skitnal a morire. Suo fratello era nel pieno della giovinezza, e con il tempo si sarebbe ripreso completamente da quello che aveva subito. Non era mai stato corrotto, la sua vita aveva ancora un valore. Era lui, tra di loro, a meritare di vivere e trovare la pace.
E io l'ho privato di questo.
La morte e il freddo avevano già reso inflessibili le membra di Skitnal, ma lui cercò di ricomporle in una posizione il più possibile naturale. Forse avrebbe reso meno vivido il ricordo del suo cadavere.
Kael non riuscì a non osservare la ferita che lo aveva ucciso. Non poteva immaginare quanto dolore avesse provato mentre moriva.
A causa sua.
Ignorando il freddo, iniziò a ricoprirlo di neve. Uno strato abbastanza spesso sarebbe stato sufficiente a nasconderlo. Mentre continuava a gettarne manciate, accolse il dolore alle mani come una benedizione. Non era nulla rispetto a quello che aveva sofferto Skitnal, ma in parte sarebbe servito a punirlo.
Quando ebbe finito, non sapeva quanto tempo fosse passato. La sua anima sembrava essersi distaccata mentre il suo corpo si muoveva da solo. Lui non era più lì. Era sotto la neve, insieme a Skitnal.
Ma non poteva raggiungerlo, ancora.
Con la vista velata dalle lacrime e il corpo scosso violentemente dal pianto, iniziò a raccogliere i coltelli. Ne avrebbe avuto bisogno, se voleva restare in vita fino a quando non fosse giunto al mare.
Ma non voleva andarsene. Il suo posto era lì, nella tomba in cui aveva appena sepolto ogni speranza di trovare nuovamente la pace.
Si soffermò a guardare il corpo di Driyler. I suoi occhi continuavano a fissare il cielo sopra di sé, mentre il sangue aveva ormai smesso di sgorgare dalla sua gola recisa. Aveva creduto di essersi liberato per sempre di lui la notte in cui era fuggito. E invece il suo spettro lo aveva appena privato della sua stessa vita.
Avrebbe voluto farlo a pezzi e gettare i suoi resti sanguinosi giù dal versante della montagna, ma non ne aveva il tempo, e non avrebbe cancellato quello che aveva fatto. Si concesse solo di approfondire la ferita fino a quando la testa non fu tra le sue mani. Non riuscì a fermarsi mentre la colpiva ripetutamente con il coltello.
Nessuno lo avrebbe trovato. Nessuno lo avrebbe riconosciuto. Nessuno lo avrebbe pianto.
Per un momento riuscì a ricordare il volto del servo che accompagnava sempre Driyler. Una volta, lo aveva sentito dire che quello era suo fratello. Il pensiero che qualcuno avrebbe sofferto per quell'assassino fece aumentare la violenza dei suoi colpi.
Si fermò solo quando si sentì troppo esausto per continuare ad accanirsi sul corpo. Era inutile in ogni caso. Skitnal non sarebbe più tornato.
Tutto quello che doveva fare era allontanarsi da lì e portare a compimento il voto che aveva fatto. Il mare non era lontano, e per una volta avrebbe combattuto la morte con tutte le proprie forze per raggiungerlo e fare ciò che aveva promesso.
Allora lo spirito di Skitnal avrebbe potuto riposare.
E forse anche lui...
...
Il paesaggio intorno a lui continuava a non mutare minimamente, e ogni giorno sembrava ripetersi identico. Shera era certo di stare impazzendo.
Credeva di stare andando a sud, ma la verità era che era ormai sicuro di essersi perso. Gli alberi continuavano a essere troppo folti e a nascondergli il sole, e lui non riconosceva il luogo in cui si trovava. Forse ci sarebbe riuscito un tempo, ma non ora.
Era passato troppo tempo.
Erui era stata la sua casa più di quanto lo fosse stata l'intera Gicarb. La maggior parte della sua vita era stata passata come belva, e ora non sapeva come tornare uomo. Non poteva essere di nuovo colui che era stato prima di diventare uno schiavo. Il ragazzo di allora era morto, e ora lui non era più nessuno.
La sua forza poteva bastare a difendersi dai suoi avversari, ma non era più abituato a sopravvivere nel mondo esterno. Lì la reputazione che si era fatto non sarebbe servita. Se avesse avuto delle armi avrebbe potuto avere qualche speranza, ma non così. Era a malapena riuscito a mangiare in quei giorni, e si stava indebolendo sempre di più.
Il braccio gli faceva ancora male. Con una smorfia, il kamry si abbandonò contro un albero, concedendosi un momento di riposo.
Se avesse potuto, avrebbe semplicemente aspettato di morire lì. Ma lo stesso istinto che lo aveva tenuto in vita fino a quel momento gli impediva di restare fermo ad attendere la fine.
In fondo non importava dove si trovasse o quale fosse la sua destinazione. Non poteva tornare a casa. Non voleva.
La sua famiglia prima o poi si sarebbe accorta del suo fallimento, ma lui non voleva vedere il loro sguardo quando avessero capito.
Aveva sognato la libertà, ma non l'aveva mai desiderata. Ora che l'aveva ottenuta, sapeva cosa sarebbe successo, e che non c'era altro modo di rimediare che morire.
Sollevò lo sguardo al cielo sempre uguale. Forse era già morto e vagare in quel limbo era la sua punizione.
Se avesse potuto sarebbe tornato indietro. Aveva la possibilità di sopravvivere ancora per uno o due decenni come belva. A volte pensava di tornare a Erui, ricominciare a combattere e ripristinare l'ordine che aveva dominato la sua vita fino a quel momento.
Poi ricordò la lancia che gli era stata puntata contro. Ormai agli occhi dei suoi padroni era esattamente come tutti gli altri. Un ribelle che andava solo eliminato.
Ma non sarebbe morto per mano loro. Si sarebbe lasciato vincere dalla fame, dallo sfinimento o da quella ferita che sembrava non voler guarire, ma non dagli umani. Non avrebbe dato loro altro divertimento, non ora che non aveva più un motivo per farlo.
Si era già dimostrato tutto inutile. Non poteva riavere indietro gli anni che aveva sprecato. Se avesse saputo che il suo sacrificio non sarebbe servito a nulla si sarebbe accontentato di morire molti anni prima, ancora libero.
Sperava che davvero non ci fosse nulla dopo la morte. Non voleva che neanche il suo fantasma vedesse cosa sarebbe accaduto a causa sua. Se non poteva fare nulla per impedirlo non voleva nemmeno sopportarne la consapevolezza.
Avrebbe voluto che ci fosse un modo per comunicare la sua morte alla sua famiglia. Almeno non avrebbero continuato a illudersi.
Era sempre più stanco. Si mise seduto contro il tronco. Avrebbe provato a dormire, sperando che fosse l'ultima volta. Era abbastanza esposto, qualunque cosa avrebbe potuto trovarlo e ucciderlo, ma non importava. Anche se fosse stato sveglio, sapeva di essere troppo esausto per lottare.
La sua mano corse d'istinto alla cicatrice sul suo volto. L'aveva sempre considerata il ricordo di ciò che aveva dovuto fare per mantenere la sua promessa. Ora anche quella non significava niente. "Perché...?"
Non c'era alcun motivo per cui Dhnir avrebbe dovuto coinvolgerlo nella propria pazzia. Eppure la sua vita era cambiata – era finita – a causa di un semplice sogno.
Rilassò i muscoli e chiuse gli occhi. Almeno adesso poteva riposare. Aveva passato troppi anni a vigilare per non essere ucciso mentre dormiva. Se quello era il suo ultimo sonno, voleva che fosse sereno.
Per un momento, si chiese se avrebbe sognato. L'ultima volta che era accaduto era stato poco prima della fuga.
Quando aveva visto il lupo.
Sollevò nuovamente le palpebre. Si era sforzato di non pensarci, ma quella creatura malefica era sempre nascosta negli angoli della sua mente, pronta ad attaccare. Come se fosse dotata di vita propria, come se non fosse semplicemente nata dalla sua fantasia.
Anche se non era più sicuro nemmeno di quello. Dhnir gli aveva detto di avere ricevuto un messaggio da una creatura divina. Era possibile che si riferisse alla stessa cosa.
Ricordava le parole che l'essere gli aveva rivolto. Ricordava la sensazione di stare morendo. Era quasi identica a ciò che sentiva in quel momento. Non c'era dolore fisico, a parte la ferita al braccio che continuava a pulsare, ma la sua mente sapeva già che mancava troppo poco alla fine.
Come se fosse una profezia.
Si rannicchiò su se stesso come non aveva fatto per anni. Doveva calmarsi. Stava delirando. Non c'era nessuno a manipolarli. Tutte le scelte che erano state compiute, e che avevano portato alla sua rovina, erano solo il prodotto di una speranza illusoria. Non esistevano dei, non tanto crudeli da sacrificare tutte quelle vite per niente.
Se lo ripeté finché il suo respiro non tornò normale. Se possibile si sentiva ancora più stanco di prima. Poco importava. Se anche si fosse risvegliato, non avrebbe dovuto fare altro che andare avanti fino a quando la morte non fosse giunta spontaneamente.
In ogni caso, non aveva importanza cosa lo avesse portato fino a quel punto. I risultati non sarebbero cambiati. Era tutto finito.
Si soffermò a osservare i giochi di luce sul suolo coperto di foglie e le ombre che si allungavano. Forse Corr lo stava guardando in quel momento. Forse lo avrebbe accompagnato quando fosse giunto il momento, e lo avrebbe perdonato.
Sorrise. Era una speranza vana anche quella.
"Arriverò presto." disse comunque ad alta voce. Non c'era nessuno ad ascoltarlo, ma poteva ripeterlo a se stesso. Per il momento bastava.
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