Capitolo diciannove

Tutto era silenzioso nella nebbia che precedeva l'aurora. Solo il canto di pochi uccelli si levava di tanto in tanto, senza turbare la pace.

A occhi chiusi, Dhnir ascoltava il vento, percependolo giocare sulla sua pelle. Riconosceva il suo freddo familiare. Evocava nella sua mente l'immagine del ghiaccio e della luce che vi si rifletteva, della voce della sua gente e delle orme impresse nello spesso strato di neve.

Veniva da nord. Dalla sua casa.

Sarebbe tornato, ma niente sarebbe più stato come prima. Il ghiaccio sarebbe sembrato diverso, il freddo meno accogliente. E dietro alle sue impronte non ne sarebbero apparse altre.

La pace si infranse nel momento stesso in cui lo realizzò. Aveva bloccato quasi ogni emozione per anni, concentrato solo sulla sopravvivenza, ma ora non poteva più fermarle.

Sarebbe tornato, sarebbe sopravvissuto e avrebbe continuato a vivere. Ma non avrebbe mai potuto riavere quello che gli era stato strappato.

Un suono infranse il silenzio. La sua mente non lo comprese, non capì nemmeno di cosa si trattasse, ma sapeva che non avrebbe dovuto esserci. Ed era troppo vicino. Doveva reagire prima che fosse troppo tardi. Non era pronto a morire ora.

Si voltò mentre il suo corpo mutava nel tempo del battito di un cuore e scoprì le zanne al nemico, pronto a farlo a pezzi.

Cirhen sbiancò e balzò indietro, portandosi fuori dalla sua traettoria. Dhnir si fermò, riconoscendolo, prima di cambiare nuovamente forma.

"Scusami. Non mi ero accorto che fossi tu." mormorò, indietreggiando a sua volta. Non avrebbe dovuto reagire così. Non aveva sentito odore di esseri umani. Se si fosse fermato avrebbe capito che quella che aveva udito era la sua voce.

A volte aveva l'impressione di perdere completamente il controllo del proprio corpo.

Ma doveva essere solo quello. Un'impressione. Era ancora in pericolo, era normale che fosse sempre pronto al peggio. Se veramente le sue trasformazioni erano così rapide, non potevano che tornargli utili se avesse dovuto combattere di nuovo.

Il kamry rimase completamente immobile, ancora pallido. Sembrava respirare a malapena. Dhnir si maledisse, cercando le parole per riportarlo alla realtà. Se Cirhen non si fosse più fidato di lui, avrebbe dovuto abbandonarlo. "Davvero, non volevo. Cosa c'è?"

I secondi che passarono prima della risposta di Cirhen parvero infiniti, ma finalmente lui riuscì a parlare. "Volevo solo dirti che dovremmo rimetterci in cammino." replicò a fatica. Gli tremava la voce e non lo stava guardando.

Dhnir annuì. "Certo." Tacque, rendendosi conto che l'altro ancora non accennava ad avvicinarsi. "Vieni. Non volevo farti del male, ero solo spaventato."

Non poteva perdere tutto il giorno, ma l'avrebbe aspettato. Erano partiti insieme. Ora, in un certo senso, erano legati. Sarebbero dovuti essere insieme anche alla fine del loro viaggio.

E ormai, si disse raddrizzando la schiena, non doveva mancare molto. Un passo dopo l'altro sarebbe tornato.

Forse non avrebbe più dovuto affrontare altri pericoli. Sarebbe stato più cauto e nessuno l'avrebbe più imprigionato o attaccato di nuovo. Forse quella che lo attendeva era una vita serena, e addirittura avrebbe potuto darne una simile anche a Cirhen.

Ma avrebbe potuto ottenere qualcosa di simile solo se fosse riuscito a lottare fino alla fine. E anche allora, ora che ogni cosa dentro di lui era cambiata, non sapeva se tornare lo avrebbe fatto stare meglio.

Ma era tutto quello che poteva fare, ora. Doveva tentare. Doveva andare avanti.

"Vieni." Dopo essersi guardato indietro per assicurarsi che Cirhen lo stesse seguendo, riprese il cammino, sapendo che quella notte sarebbe stato ancora più vicino alla sua destinazione.

                                                                                    ...

Anche se le sue forze venivano prosciugate sempre di più con il passare dei minuti, Shera non riusciva a fermarsi. Sapeva che se lo avesse fatto sarebbe morto.

E allora sarebbe tutto finito. Non avrebbe nemmeno avuto il conforto dei fantasmi che gli fluttuavano intorno.

Li stava solo immaginando. Ma erano troppo vividi, così reali che avrebbe potuto toccarli. Le loro voci risuonavano limpide mentre continuava a camminare.

La maggior parte si limitava a fissarlo, e di tanto in tanto a urlare. Erano troppi. Volti senza nome, che riusciva a ricordare a malapena. Sapeva solo di averli uccisi per niente.

Ma Corr volava vicino a lui, e non lo lasciava mai. Era consolatorio sapere che sarebbe rimasto al suo fianco durante la sua morte, anche se solo perché era lui a desiderarlo e a proiettare la sua immagine accanto a sé.

"Devi spiegarmi." stava dicendo. "Come hai potuto cedere così facilmente? Perché non hai lottato? Me lo avevi promesso." Per un momento, Shera si chiese come fosse possibile che tutti quegli anni non gli fossero bastati a dimenticare il suono della sua voce.

"Non volevo che andasse così." rispose sinceramente. Non aveva più importanza. Il passato non poteva essere cambiato.

Era stato debole e sarebbe morto, condannando la sua famiglia, come aveva sempre saputo che sarebbe successo. Ma non si era aspettato che accadesse lontano da Erui.

Corr lo guardava con i suoi occhi velati. La sua figura era quasi resa iridescente dai raggi di luce che vi si riflettevano. Era esattamente come nel suo sogno, ancora insanguinato. Come lo ricordava. "Non dovevi arrenderti così."

"Lo so!" ringhiò Shera, prima di costringersi a calmarsi. Quella poteva essere l'ultima volta che lo vedeva. Non doveva sprecarla coinvolgendolo in qualcosa di cui non aveva colpa. "Volevo tornare indietro. Non mi hanno ascoltato."

L'altro non si mosse. Il vento faceva vibrare le sue piume come se fossero reali. Era lì, al suo fianco, e lui avrebbe voluto stringerlo a sé e piangere come non aveva più fatto da quando lo aveva visto morire.

Ma quando si avvicinò, lo sentì dissolversi tra le sue braccia. La sua mente non era abbastanza da renderlo reale.

Corr si riformò, in uno sbuffo di fumo, ancora più lontano da lui. "Davvero vuoi tornare a casa? Dopo tutto quello che hai fatto?"

Non era quello che desiderava davvero, ma sentiva che la sua fine sarebbe stata più serena se fosse stata a Gicarb. Se fosse stato fortunato sarebbe anche riuscito a rivedere il deserto prima di spirare. Ma non avrebbe mai rimesso piede nel villaggio in cui era cresciuto. Lo aveva giurato a se stesso quando aveva iniziato quel folle viaggio.

I suoi passi si stavano facendo gradualmente sempre più deboli. Non mangiava abbastanza da tempo, e beveva solo quando riusciva a ricordarsene. Sarebbe stato molto più facile se si fosse arreso completamente, ma non riusciva a costringersi a farlo.

Tutto quello che poteva fare era vagare sapendo che non avrebbe trovato una meta, fissando con occhi vuoti i suoi fantasmi.

Ma in fondo, una parte di lui voleva ancora tornare. Voleva rivedere il luogo in cui era nato e le persone che aveva lasciato, prima di morire.

Per un istante, desiderò non essersene mai andato. Se alla fine era stato tutto vano, si sarebbe accontentato di una vita breve, destinata a essere finita presto, ma senza il sangue che ora gli macchiava l'anima.

Aveva comunque dato qualche anno in più da vivere a Rhiwe e Afayd. Ma non era stato abbastanza. Non sarebbe stato sufficiente ad assolverlo e a permettergli di morire in pace.

A poco a poco smise anche di ascoltare Corr, nonostante continuasse a vederlo accanto a sé. La sua vista si stava facendo sfocata e non sapeva neanche più se stesse andando nella direzione giusta.

Ma non si fermò.

                                                                                        ...

In altre circostanze, vedere il bagliore rosato dell'alba irradiarsi nel cielo all'orizzonte lo avrebbe fatto sentire pervaso di bellezza. Ora che non aveva più nulla, Kael non poteva che guardarla senza vederla, chiedendosi se avesse le forze sufficienti per compiere un altro passo.

Era andato avanti per tutto il giorno sperando di raggiungere il fondo della montagna, finché non era crollato per lo sfinimento. Ora sapeva di dover proseguire, o non sarebbe mai arrivato a Iserb.

Ma era stanco, e voleva solo dormire e svegliarsi quando fosse tutto finito.

Non voleva passare un altro secondo con la consapevolezza di ciò che era. Il giocattolo del nemico, la causa della morte di suo fratello. Voleva strapparsi di dosso la pelle per sentirsi di nuovo pulito.

Anche se aveva ormai deciso di tornare a casa per portare allo spirito di Skitnal la pace che meritava, non riusciva a scuotersi di dosso il ricordo della verità. In quel momento, sarebbe dovuto essere morto.

La sua vita era finita nello stesso istante in cui la sua aguzzina lo aveva toccato per la prima volta. Prolungarla ancora non aveva alcun senso. Ma aveva fatto un giuramento e lo avrebbe mantenuto.

Eppure non voleva affrontare Iserb. Non più. Tornarci non avrebbe più potuto dargli alcuna serenità, sarebbe solo riuscito a fare il contrario.

Ormai non apparteneva più al mare, non dopo quello che era diventato. Se gli altri avessero scoperto la verità, non lo avrebbero più considerato uno di loro. Lui già non si sentiva più parte della sua specie. Era diventato qualcosa di infetto, di alieno. Non avrebbe più potuto avere una vita normale.

E avrebbe dovuto spiegare ai suoi genitori quello che era successo. La nausea lo travolse quando lo realizzò. Non voleva rivederli, non se fosse stato solo per rivelare la sventura che si era abbattuta su di loro.

Forse non avrebbe dovuto tornare. Poteva limitarsi a restare lì e lasciarsi annullare dagli elementi, come aveva desiderato.

Ma non poteva lasciarsi frenare dalla propria codardia. Se lo avesse fatto, avrebbe condannato Skitnal una seconda volta. Lo avrebbe lasciato a un tormento inimmaginabile, e sarebbe stato come ucciderlo di nuovo.

Doveva farsi forza e raggiungere le pendici del monte. Il freddo si stava facendo sempre meno intenso. Non doveva mancare molto. Una volta arrivato sul fondo raggiungere il mare sarebbe stato semplice. Doveva fare in fretta, o Skitnal avrebbe sofferto ancora più a lungo.

Non ricordava neanche più come fosse nuotare. Per quanto si sforzasse, la sua mente non riusciva a rievocare la luce azzurrina che pervadeva l'acqua nei giorni in cui il sole era luminoso. Era passato troppo tempo, e lui ora non faceva più parte delle profondità in cui era nato e cresciuto.

Non faceva più parte del mondo stesso. La sua stessa anima sembrava essere stata strappata. Se resisteva ancora era solo per la promessa che aveva fatto al fratello.

Eppure dubitava di riuscire a mantenere persino quella. Non riusciva nemmeno a muoversi. La sua mente percepiva a malapena ciò che lo circondava e la sua carne pareva essersi mutata in pietra.

Aveva bisogno di Skitnal. Non poteva andare avanti da solo.

Erano passate solo poche ore da quando lo aveva perso. Non poteva credere di avere ancora davanti interi giorni in cui la stessa sensazione di vuoto non lo avrebbe lasciato. Normalmente avrebbe creduto che quello stesso vuoto lo avrebbe ucciso pria, ma lo aveva sperato troppe volte, ed era sempre stato deluso.

Al suo posto Skitnal avrebbe continuato a vivere senza alcun problema. Ma lui non era suo fratello. Era solo una creatura rovinata e persa.

Si alzò in piedi, faticando a mantenere l'equilibrio. I suoi muscoli gemevano di dolore, ma non aveva ancora avuto nuove crisi. Come se dopo avere ucciso Skitnal non fossero più necessarie.

Afferrò il coltello per la lama, aprendosi il palmo. Non poteva morire, ma poteva punire il proprio corpo per ciò che aveva fatto.

Continuando a tenere stretta l'arma anche mentre il sangue gli gocciolava lungo il braccio, si preparò a proseguire nella discesa.

                                                                                      ...

Lienhe non poteva fare altro che fissare ipnotizzato ciò che si trovava sotto di lui. Era così surreale che pensò che le sue ali si sarebbero bloccate e lui sarebbe caduto.

Non aveva mai visto il mare.

Aveva sempre saputo, vagamente, di cosa si trattasse. Gli era stata descritto come un'enorme distesa d'acqua, e aveva sempre creduto che fosse semplicemente un grande fiume. Ma quello che vedeva ora era una sconfinata superficie ondeggiante e limpida. Era come essere completamente circondato dal cielo.

Non dovevano fare altro che superarlo. La prossima volta che avessero avvistato la terra, sarebbero stati certi di essere arrivati a Firmia. Allora avrebbero potuto dare inizio alla ricerca, e poi sarebbero tornati tutti insieme. Forse avrebbero fondato un nuovo posto in cui vivere, più sicuro del primo, e non li avrebbero più trovati.

E l'assenza di Kirthum avrebbe fatto meno male.

Scosse la testa, cercando di riportarsi alla realtà. Non poteva coltivare troppe speranze, non fino a quando non avesse avuto la certezza di avere concluso la propria missione. Per quanto poteva saperne, sarebbe potuta scoppiare una tempesta in quel momento e senza alcun riparo sarebbe precipitato tra le onde e sarebbe morto.

Cercando di evitare di pensare a qualunque cosa che non fosse il proprio cammino, sollevò lo sguardo verso Dovyr e trasalì quando la vide irrigidirsi improvvisamente. "Cosa c'è?" Se c'erano pericoli, non sarebbe stato facile evitarli in quel luogo. Lei spostò gli occhi su di lui, indicando il mare sotto di loro. "Laggiù."

Lienhe si sentì sbiancare quando vide. Le onde erano spezzate da qualcosa di minuscolo, ma che i suoi occhi riuscivano a scorgere perfettamente.

Una nave.

Poteva significare una sola cosa. Umani. Schiavisti, forse. In ogni caso, li avrebbero attaccati, uccisi o catturati se li avessero visti.

Dovette farsi forza per continuare a volare o non cadere. Qualunque cosa fosse accaduta, non voleva tornare di nuovo schiavo. Non voleva vedere Hapnyan o Dovyr morire o condividere il suo destino. Non voleva pensare che Irgyvie sarebbe rimasta prigioniera per sempre. Si sarebbe annegato piuttosto che lasciare che accadesse di nuovo.

Ma prima che potesse cedere al panico, Hapnyan si avvicinò a lui e gli strinse il braccio. "Non ci hanno ancora visto. Possiamo superarli." Lienhe annuì, mentre il suo respiro iniziava a calmarsi. Dovevano solo essere veloci.

"No." disse Dovyr. Mantenendosi in aria, voltò la testa a guardarli. "Non possiamo lasciarli lì. Quella è una nave di schiavi. Dobbiamo provare a liberarli." "Dovyr, è troppo pericoloso..." iniziò Hapnyan, ma lei lo interruppe. "Io e mia figlia avremmo potuto avere quel destino."

Lienhe voleva solo volare via il prima possibile. Comprendeva il desiderio di Dovyr. Qualunque cosa fosse accaduta a coloro che si trovavano su quella nave, sarebbe stata peggiore della morte. Ma non poteva sacrificare la propria vita per degli sconosciuti, non quando la famiglia di Kirthum era ancora prigioniera.

"Gli umani là sopra non dovrebbero essere troppi. Fermiamola." proseguì Dovyr. "Vi prego!" Lienhe non aveva mai visto uno sguardo simile su di lei. Avrebbe voluto avere il coraggio di accontentarla.

Non potevano restare a guardare. Ma erano in tre, e non sarebbero mai bastati. Si sarebbero solo fatti uccidere.

La nave stava iniziando ad allontanarsi, portando con sé tutto il pericolo. Lienhe si permise di riprendere a volare. Ormai non c'era più pericolo che li notassero.

Non potevano restare sul mare ancora a lungo. Non avrebbero potuto dormire fino a quando non avessero raggiunto la terraferma, e se ci fosse voluto molto avrebbero perso ogni forza e sarebbero caduti. Sarebbe potuta essere la loro fine.

Anche se quelli che stavano andando incontro alla schiavitù erano suoi simili, non poteva salvarli. Da solo non poteva fare nulla.

Si limitò a mormorare una preghiera per loro e a tornare a fissare l'orizzonte.

Si sarebbe limitato a proseguire il cammino se all'improvviso non avesse visto Dovyr gettarsi in picchiata verso l'imbarcazione.   

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