Capitolo cinquantuno

Mejri si sentiva impazzire.

Dopo che gli uomini di Jilab se n'erano andati e avevano apparentemente deciso di non tornare, aveva creduto che la quiete potesse durare. Ora che aveva ottenuto il perdono di Doreth, si era preparata a ricostruire la pace che aveva trovato a Jounan.

Non aveva creduto che le sue speranze che il suo futuro potesse ancora essere più sereno del passato sarebbero state annullate così presto.

Sil le aveva detto che Dirsjt stava male. Non si era preoccupata troppo fino a quando Azik non era venuto a dire che molti altri all'interno della città sembravano essersi ammalati – a partire da coloro che avevano combattuto – e non aveva spiegato quali sintomi presentassero.

Non avrebbe mai dimenticato la sensazione di gelo nell'istante in cui aveva finalmente capito.

Riconosceva quella malattia. Nel corso degli anni che aveva vissuto con i suoi zii, l'aveva vista portarsi via troppi bambini, disseccandoli in poche settimane, e lasciare sfigurati molti dei sopravvissuti. Si era sempre considerata fortunata nel pensare che lei e Parnel non l'avevano mai contratta.

Ma non aveva mai sentito di casi in cui avesse colpito anche gli adulti, né manifestandosi tanto violentemente. Non sapeva nemmeno che potesse esistere al di fuori di Xifler. A Hxarin-sur, nelle rare occasioni in cui aveva potuto parlare con un essere umano, nessuno ne aveva mai fatto cenno.

Come era potuta giungere fino a lì, lontano dalla sua casa, nel luogo dove sarebbe dovuta essere al sicuro dal passato?

Temeva di saperlo.

Era stata a Xifler poco tempo prima di attraversare il deserto. Normalmente la malattia non si manifestava dopo così tanto tempo, ma non poteva più essere sicura di non esserne la causa.

Ma c'erano altri stranieri che erano giunti vicino a Jounan, abbastanza vicino nel tempo da aver potuto portare il morbo. Dei soldati che li avevano attaccati, sicuramente almeno qualcuno veniva da Xifler. Il fatto che i primi ad ammalarsi fossero stati quelli che avevano combattuto contro di loro non poteva essere un caso.

Qualunque fosse la verità, lei sapeva che la colpa era sua.

Era stata lei ad attirarli. Aveva creduto che il pericolo fosse passato, ma il nuovo nemico che li aveva assaliti sarebbe stato ancora più tenace dei guerrieri. Lint Ayea non sarebbe bastato a scacciarlo.

E la malattia non si sarebbe fermata prima di avere reclamato delle vite che sarebbero dovute essere protette. Forse anche quella di Dirsjt.

Cercò di trattenere le lacrime al pensiero. Non poteva nemmeno avvicinarsi a lui. Se si fosse ammalata, probabilmente avrebbe perso il bambino. Non era pronta ad affrontare anche quell'eventualità, non dopo tutto ciò che aveva fatto.

Tutto quello che doveva fare era mettersi al riparo e sperare che non fosse troppo tardi, per sé o per il resto di Jounan. Non poteva tornare nella casa che aveva condiviso con Dirsjt, per evitare l'aria contaminata, ma non poteva nemmeno vivere con qualcun altro finché non fosse stata certa di essere sana. Si era rifugiata in una casa rimasta vuota, ma i suoi pensieri rischiavano di divorarla.

Nemmeno Sil era al suo fianco. La kamry avrebbe accolto le sue confidenze  come sempre, ma in quel momento c'erano cose più importanti a cui doveva pensare. I suoi talenti sarebbero stati utili, almeno per alleviare le sofferenze di chi non poteva essere salvato.

Mejri si chiese se avesse mai potuto rivedere lei o Dirsjt.

Non era fuggita per restare da sola. Non aveva lasciato Hxarin-sur per veder morire tutto ciò che amava. Ma se non se ne fosse mai andata, la sua amica e l'uomo che amava non sarebbero stati in pericolo.

E non era stata solo la sua famiglia a pagare per la sua decisione. Zolin, Mawen, e tutti coloro che erano rimasti uccisi e che fossero morti ora sarebbero stati al sicuro.

Ma rimpiangere il passato non sarebbe servito a niente. Doveva affrontare le conseguenze delle proprie azioni.

Non poteva nemmeno aiutare attivamente, se non voleva rischiare di uccidere suo figlio prima ancora di darlo alla luce. L'unica opzione che aveva era attendere e pregare che il pericolo passasse prima di fare troppe vittime.

In fondo, poteva concedersi di sperare. Non c'erano ancora stati morti, e un adulto poteva sopportare le sferzate di una malattia. Finché avessero tenuto gli infetti lontano da anziani e bambini, era ancora possibile che il problema si risolvesse da solo, e prima del previsto.

Era consapevole che nessuno di quei pensieri fosse reale, ma almeno le avrebbero permesso di non lasciarsi del tutto andare alla follia.

Ogni passo che aveva fatto in cerca del proprio futuro non aveva fatto altro che portare sofferenza.

Chiuse gli occhi e si chiese quanto tempo sarebbe passato prima che le sue azioni e il suo egoismo la uccidessero. Se fosse stata fortunata, sarebbe stato prima che fossero Dirsjt e Sil a pagare.

Dirsjt, perdonami, pensò, sperando che il suo pensiero potesse raggiungerlo ora che lei non poteva.

                                                                                          ...

Per Dirsjt, convincersi che sarebbe sopravvissuto stava diventando sempre più difficile.

Era un presentimento diverso da quello che aveva provato in battaglia. Almeno lì si sarebbe potuto muovere per evitare i nemici. Ora non poteva fare altro che aspettare che qualunque cosa fosse dentro di lui lo consumasse del tutto.

Forse sarebbe stato più facile da accettare se avesse saputo cosa lo stava uccidendo, e quanto tempo fosse ancora necessario prima che la morte gli portasse almeno il sollievo.

Aveva vagamente sentito qualcuno trasportarlo di peso, ma non riusciva a vedere abbastanza da capire in che luogo si trovasse. Dalla cacofonia di lamenti che gli giungeva alle orecchie, credeva che ci fossero altri nella sua stessa condizione, insieme a lui.

Se fosse riuscito a parlare, magari avrebbe trovato qualcuno disposto a spiegargli cosa gli stesse succedendo.

Ma anche se si fosse ricordato come formulare parole, non avrebbe potuto fare niente. La sua lingua era gonfia e immobile e la sua bocca quasi del tutto asciutta. Aveva sputato grumi di sangue rappreso fino a scorticarsi il palato, e anche se avesse potuto muovere le labbra era troppo stanco per provare.

Gli sembrava di essere annegato per secoli interi. Respirava ancora, per quanto gli dolesse il petto, ma si sentiva sempre più spesso fluttuare al di fuori del tempo e dello spazio.

Quando la sua mente riusciva a tornare al presente, sentiva solo la follia iniziare a divorarlo. Non sapeva cosa gli stesse succedendo, né perché, ma era certo che la sua fine fosse ormai vicina – e non avrebbe nemmeno avuto la consolazione di morire combattendo per la salvezza dei suoi cari.

Non voleva morire così. Non senza avere visto suo figlio venire alla luce.

Sentiva lacrime di un liquido denso – che non sembrava solo acqua – scorrere incessantemente sul viso. Riuscire almeno a piangere gli aveva dato sollievo, all'inizio, fino a quando non era diventato completamente cieco. Se anche Mejri fosse venuta da lui, non avrebbe potuto vederla.

Non era quello che desiderava, ma sentiva di averlo meritato. Se era stato lui a portare il pericolo, era giusto che pagasse.

Desiderava solo che succedesse più in fretta. Se gli Spiriti volevano punirlo, non avevano motivo di prolungare la sua agonia.

Sperava che Sil fosse al sicuro, che i momenti che avevano trascorso insieme in quei giorni non bastassero a darle la sua stessa sorte. Sperava che Mejri fosse ancora sana e non stesse soffrendo allo stesso modo.

Quella sarebbe stata la sua fine, ma non poteva essere quella di Jounan – o di coloro che più amava.

Mentre tentava disperatamente di continuare a respirare, sapeva che, dopo tutto ciò che era accaduto, non poteva più concedersi alcuna speranza.

                                                                                     ...

"Mi dispiace. Non posso più fare nulla." Lienhe fissò il volto pallido e provato del guaritore senza riuscire a comprendere le sue parole. Quando il loro significato iniziò a farsi strada nella sua mente, tentò con tutte le sue forze di reprimerlo.

"Cosa intendi dire?" Con ogni parola, era sempre più sicuro di non voler conoscere la risposta.

Percepì la pietà negli occhi dell'uomo, fissi sul suo volto. "La tua ala. È passato troppo tempo e non ci sono stati progressi. Quasi sicuramente, non potrai più usarla."

Per un momento, Lienhe scelse di ignorare le parole. Non erano reali. Non potevano esserlo.

La sua ala era già stata ferita una volta allo stesso modo, ed era guarita perfettamente, tanto che non aveva più avuto difficoltà nel volo. Ora sarebbe successo lo stesso. Aveva solo bisogno di tempo. Presto avrebbe smesso di dolere e avrebbe potuto spiegarla di nuovo. Il suo corpo non lo avrebbe tradito.

Solo quando il suo cuore ricominciò a battere, senza che gli occhi del guaritore avessero cambiato espressione, gli fu brutalmente chiaro che non aveva solo immaginato ciò che aveva detto.

Prese un respiro profondo per scuotersi di dosso il senso di soffocamento. La sua ala non gli era mai parsa tanto pesante e inerte. "Non è vero."

Non aveva motivo di crederlo. Conosceva il proprio corpo. Sapeva che non si sarebbe arreso in quel modo. Era abbastanza forte da guarire. Le sue ali erano ancora attaccate a lui, anche se le ossa non si erano ancora ricomposte del tutto. Non era oltre ogni speranza. Non sarebbe successo a lui.

Non poteva succedere. Aveva bisogno di volare ancora.

Lo avrebbe fatto. Sarebbe fuggito al sicuro, lontano dal suono delle parole che aveva udito e da ciò che significavano, se avesse potuto.

Ma quando tentò di muoversi, la sua ala non rispose, come aveva fatto dal giorno dell'attacco. Come se non gli appartenesse neanche più.

Voleva negare di nuovo, ma le parole si ostinavano a non uscire dalla sua gola sempre più chiusa. Riuscì solo a fissare inerme il suo interlocutore, sforzandosi di continuare a respirare anche mentre la vita sembrava abbandonarlo.

Solo dopo troppo tempo riuscì a rialzarsi e a uscire dalla stanza che lo aveva ospitato, senza sapere dove andare. Camminare non gli era mai sembrato tanto difficile.

Avrebbe provato a raggiungere qualcuno e chiedere consiglio. Irgyvie era già abbastanza preoccupata per Nizkam, e per il fatto che pur essendo tornato cosciente non fosse ancora riuscito a rialzarsi. Ma Hapnyan o Dovyr lo avrebbero ascoltato. Gli avrebbero offerto conforto, e lo avrebbero rassicurato della verità. Avrebbero visto che sarebbe guarito, e la sensazione di essere condannato sarebbe svanita.

Riuscì ad allontanarsi dalla porta di una decina di braccia prima che la consapevolezza di quello che era successo lo facesse crollare.

Si rannicchiò su se stesso, tentando di non piangere, anche se sentiva le lacrime scorrere sulle guance e faticava a respirare. I tremiti che lo scuotevano non facevano che rendere più insopportabile il peso sulla sua schiena.

Gli sembrava di essere tornato al momento in cui era stato fatto schiavo, spezzato e sconfitto come allora. Ma quella volta era riuscito a guarire. Ora sapeva che non avrebbe potuto. Se fosse stato imprigionato una seconda volta non si sarebbe liberato, e non ne sarebbe nemmeno stato degno.

Non sarebbe riuscito a proteggere i suoi cari. Anche solo per quello non meritava di continuare a vivere.

Si era considerato fortunato a sopravvivere alla battaglia, ma ora sapeva che essere rimasto in vita era solo un'altra maledizione. Solo un altro segno del fatto che sarebbe dovuto morire al posto di Kirthum.

Non voleva rialzarsi. Non voleva che Hapnyan sapesse che non avrebbe più potuto aiutare sua sorella, o che Irgyvie avesse un'altra occasione di rimpiangere che suo marito lo avesse salvato.

Non aveva il coraggio di immaginare cosa sarebbe stata la sua vita ora.

Non gli restava altro che aspettare. Al primo accenno di pericolo, sarebbe stato troppo vulnerabile per salvarsi, e nessuno si sarebbe preoccupato di difenderlo.

E sarebbe stato il destino migliore che potesse avere. Era troppo stanco per credere di potersi ancora risollevare.

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