Capitolo cinquantaquattro

Tra quei rami fitti e intricati, tra cui la luce riusciva a malapena a filtrare, e in mezzo ai reticoli verdastri delle liane, volare sarebbe stato impossibile. Ma non aveva più importanza, rifletté amaramente Lienhe, abbassando lo sguardo.

Anche se fosse guarito, non sarebbe potuto andare da nessuna parte. Erano in trappola, e andare avanti sarebbe significato solo avvicinarsi al momento in cui non avrebbero più potuto fare altro che rassegnarsi al proprio destino.

Erano stati fortunati a poter fuggire prima che gli umani – e Jalnar – decidessero di attaccare di nuovo. Sarebbe stata solo questione di tempo, e non potevano permettersi di aspettare. Non più. Quando Hapnyan aveva tentato di sorvolare i villaggi umani nelle vicinanze e li aveva visti radunarsi e discutere di qualcosa che doveva avere a che fare con la loro distruzione, Nizkam aveva preso l'unica decisione possibile.

E tutti gli uomini e gli hiryn che per anni avevano popolato la sua casa avevano dovuta abbandonarla per un luogo che avrebbe potuto eliminarli prima dei loro assalitori.

Quella foresta troppo fitta, calda e umida, si era rivelata meno brutale di quanto avessero previsto. In gruppo e armati, erano riusciti a sopravvivere ai suoi veleni e alle sue creature, almeno per il momento.

Nessuno era venuto a cercarli. I loro assalitori avevano avuto ciò che volevano. Il traditore della loro specie se n'era andato, portando con sé gli schiavi ribelli. Non dovevano fare altro che attendere che loro morissero da soli, persi da qualche parte nelle profondità di Firmia.

Non sarebbero potuti tornare indietro in ogni caso. Se non era andata distrutta, dopo quelle settimane di abbandono la casa di Nizkam doveva ormai essere in rovina. Ed era difficile che per lui fosse di nuovo possibile tornare.

Da quando si era svegliato, l'uomo sembrava avere altro a cui pensare. Nel vedere il suo volto pallido e i suoi occhi spenti, Lienhe non osava neanche parlargli.

Era ancora vivo, ma era stato scacciato dal luogo in cui era sempre vissuto, l'uomo che aveva amato come un fratello lo aveva tradito, e neanche il suo corpo gli obbediva più. Dopo che il proiettile lo aveva colpito, non sarebbe più tornato a camminare.

Non aveva condiviso la sorte di Gakaen. Nessuno lo aveva abbandonato, e Irgyvie sembrava più sollevata dal fatto di non avere perso il secondo marito che preoccupata delle sue condizioni. Ma Nizkam non era più lo stesso uomo che aveva offerto loro ospitalità. Non sarebbe più stato in grado di proteggerli.

Lienhe si era promesso che, se avesse dovuto combattere di nuovo, avrebbe fatto il possibile per ripagarlo della sicurezza che, anche se per poco, l'umano era stato in grado di offrirgli. Ma non sarebbe mai stato in grado di rendersi davvero utile, senza le sue ali.

Aveva già lottato una volta per Nizkam, e non era servito a nulla. Non era stato il suo contributo a salvare gli hiryn che erano sopravvissuti. Tutto ciò che aveva fatto era stato farsi mutilare, e non era neanche riuscito a fermare Jalnar prima che fosse stato troppo tardi.

Sarebbe stato più facile accettare il peso inerte sulla sua schiena se non fossero stati comunque costretti a fuggire. Avrebbero potuto farlo fin dall'inizio, risparmiando le vite dei defunti e i corpi dei sopravvissuti. Era stato inutile resistere, se alla fine avevano perso.

Almeno i bambini si erano salvati. Le loro vite troppo brevi non erano state spezzate. Né Tasyr né Laem avrebbero perso un altro genitore, e in quello erano stati più fortunati di tutti gli adulti che avevano cercato di proteggerli.

Avrebbero meritato una casa più sicura di quella foresta troppo fitta. Persino il villaggio in cui era cresciuto lui era stato in grado di tenerlo al riparo dagli umani per diciotto anni – fino a quando la stessa violenza che aveva colpito la casa di Nizkam non lo aveva sradicato.

Quelli come lui non erano mai stati veramente al sicuro. In qualunque momento avrebbe potuto assistere per la terza volta alla distruzione di ogni rifugio che gli restava. Non sarebbe stato abbastanza fortunato da salvarsi di nuovo.

La prima volta aveva perso l'uomo che amava. La seconda il volo. La terza avrebbe pagato con la vita.

Come se avesse ancora avuto valore. Neanche agli schiavisti sarebbero stati disposti a prendersi cura di qualcuno nelle sue condizioni. Se si fosse trovato di nuovo di fronte a umano, non avrebbe tentato di opporsi al fato.

Per un hiry, la vita senza il cielo non aveva alcun senso.

Scosse la testa, tornando a fissare il terreno scuro tra le sue dita. Kirthum era stato in grado di sopravvivere, quando le ali gli erano state portate via. Si era abituato alla perdita, aveva trovato il proprio posto al villaggio, e aveva avuto tutto ciò che gli sarebbe stato necessario per un futuro felice – una moglie che lo amava, amici che cacciavano con lui, e il rispetto da parte del resto del villaggio.

Ma non avrebbe mai avuto quel futuro. E Lienhe non credeva che per lui potesse andare diversamente. Se fosse stato ritrovato, non sarebbe nemmeno tornato a essere uno schiavo, sarebbe stato semplicemente eliminato.

Forse per lui sarebbe stato il fato migliore.

"Lienhe." L'hiry sussultò e si voltò verso Irgyvie. Non si era accorto del suo arrivo. Forse aveva volato per raggiungerlo – l'invidia gli trafisse il cuore.

La giovane donna aveva il viso segnato dalla stanchezza, ma le sue ali aperte sembravano ancora forti. Laem, tra le sue braccia, stava iniziando a crescere. Il cibo che riuscivano a trovare bastava a malapena per permettere a tutti loro di sopravvivere, ma a lei erano riservate le porzioni migliori, perché avesse abbastanza latte da nutrire il piccolo. Se avessero continuato a tenerlo al sicuro, il bambino sarebbe cresciuto sano, e un giorno sarebbe diventato un uomo forte e vigoroso.

Come il padre che non avrebbe mai conosciuto.

Al suo posto, Kirthum non si sarebbe lasciato abbattere. Anche senza le sue ali, avrebbe lottato fino alla fine per proteggere la propria famiglia – come aveva fatto il giorno in cui era morto.

Ma Lienhe non era mai stato forte come lui, e certo non lo sarebbe diventato ora. Non era stato lui a salvare Laem, e non lo avrebbe fatto in futuro.

"So che non l'hai ancora accettato, ma imparerai a conviverci, un giorno." La voce di Irgyvie lo fece sussultare. Lei non lo stava neanche guardando, e il giovane si chiese se stesse veramente parlando della sua ala.

"Lui ci era riuscito." continuò lei con voce tremante, avvicinando ulteriormente a sé il bambino, che ignaro delle sue parole prese una ciocca dei suoi lunghi capelli tra le dita. "Quindi, forse..."

Non voleva parlare con lei, in quel momento, dopo tutti i modi in cui lei poteva ricordargli il suo fallimento. Di sicuro non voleva parlare di Kirthum.

Un tempo si sarebbe limitato a volare lontano. Ora non poté fare altro che allontanarsi su gambe instabili, troppo velocemente perché lei non si rendesse conto dei suoi pensieri.

Sperò di essere abbastanza lontano da non farsi vedere quando si accorse di stare piangendo.

                                                                                           ...

Il respiro di Thadrez formava nuvole di condensa e si disperdeva nell'aria mentre la guaritrice si stringeva nella pelliccia che la copriva, un sorriso incerto sul volto arrossato. "Non pensavo che ci potesse essere tanta neve."

Dhnir non le rispose. Era troppo impegnato a fissare il manto candido che copriva il terreno di fronte a lui. Dal cielo plumbeo stava cadendo altra neve. Poteva sentirla posarsi su di lui, morbida e leggera, come l'abbraccio di una madre. Neanche la sua forma umana poteva sentire il freddo. Quella era la sua casa.

Alle sue spalle, i suoi piedi non avevano lasciato impronte. Era stato abituato per tutta la vita a non sprofondare, e i pochi segni del suo passaggio erano stati cancellati dai fiocchi che continuavano a cadere. Ma quello non era un sogno. Era realmente nel luogo che per due anni era stato solo un'ombra evanescente nei suoi incubi, il luogo che aveva creduto di non poter più rivedere.

Socchiuse gli occhi, e non seppe dire se fosse per proteggersi dal candore quasi accecante o per scacciare le lacrime. "È così, al nord."

A Erui non nevicava, ed era raro che facesse troppo freddo. Nelle foreste che aveva risalito per giungere fino a lì a volte il vento poteva farsi gelido, ma al mattino non si formava più di un sottile strato di brina sulle foglie, troppo fragile per conservarsi più di poche ore.

Il suo villaggio doveva essere ancora lontano, ma quello era il segno che tornare non era più un miraggio. Aveva raggiunto la sua terra. I suoi aguzzini avevano tentato di strapparlo per sempre dal suo dolce gelo, ma non sarebbero più riusciti a tenerlo prigioniero.

Per un fugace istante, credette che, accanto a quella di Thadrez, ci fossero altre ombre al suo fianco, riflesse sulla neve. Quando si voltò, erano sparite.

Ma lui sapeva a chi appartenessero. Lui era tornato, e alla fine, non era solo. Ma c'erano troppi altri che sarebbero dovuti essere lì con lui.

Le immagini stavano tornando a danzare nella sua mente. I diciotto uomini che erano stati catturati insieme a lui. Non ricordava i loro nomi o i loro volti. Solo i segni ancora freschi delle cicatrici sulla fronte di molti di loro. Solo gli schizzi del loro sangue quando, uno dopo l'altro, quelli che erano giunti a Erui erano stati dilaniati dai propri avversari.

Cirhen che si spegneva al suo fianco, l'ombra del dolore ancora incisa sul suo volto troppo giovane nonostante la droga che offuscava i suoi ultimi istanti, l'odore della carne già decomposta a riempire l'aria. Il modo in cui la sua voce stanca gli aveva chiesto di parlare della stessa neve che si stava impigliando nelle sue trecce.

Persino Shera, con i suoi occhi dorati animati da ombre che non potevano essere cancellate e la cicatrice che gli spaccava il viso. In quel momento forse il suo corpo era già uno scheletro ripulito dai mangiatori di carogne.

E poi Hjkyan. Il fratello che aveva giurato di proteggere, i suoi occhi scuri che lo imploravano di salvarlo. Quel che restava del suo corpo ridotto a una forma spezzata sul terreno, e l'odore ferroso del suo sangue che si spandeva sempre di più fino a raggiungerlo, macchiandolo per sempre.

Fu colto dalle vertigini, e fu vagamente consapevole del proprio corpo che cadeva in ginocchio. La sua vista si stava offuscando.

Non fu consapevole del tremito che lo stava percorrendo fino a quando non sentì, in mezzo al gelo del vento che continuava a soffiare, il calore del tocco gentile di Thadrez che gli stringeva un braccio, sollevandolo dal mondo di ombre e sangue in cui la sua mente lo stava gettando.

Batté le palpebre, sentendo le lacrime iniziare ad abbandonare i suoi occhi, e tentò di aggrapparsi a quella sensazione.

Era ancora vivo, e ciò che aveva sognato per tutti quei mesi si stava avverando. Stava tornando a casa.

Con il tempo, gli sarebbe parso meno sbagliato.

                                                                                                ...

"Mi spiace per come mi sono comportato prima." iniziò Dhnir con voce tanto roca quanto incerta. Il linguaggio di Thadrez era qualcosa a cui non era ancora abituato, e in quel momento la sua lingua sembrava meno disposta del solito a obbedirgli.

La guaritrice si voltò a guardarlo, e per un attimo non disse nulla. Poi le sue labbra si incurvarono nel suo usuale sorriso luminoso. "La tua pronuncia è migliorata." rispose, prima di porgergli di nuovo l'otre. "Non preoccuparti. È comprensibile." riprese in kery, osservandolo mentre beveva. "Deve essere l'emozione."

Dhnir si asciugò le labbra con il dorso della mano e annuì, porgendole nuovamente l'otre e inspirando profondamente. Non si era aspettato di reagire tanto violentemente alla consapevolezza di essere di nuovo a nord.

Ne sarebbe dovuto essere felice. Nei suoi sogni, quando tornava a casa, i suoi piedi e il suo cuore erano leggeri, e il suo corpo era pervaso da un dolce calore.

Ma nei suoi sogni, la memoria della morte di Hjkyan non esisteva. Decideva di venire a perseguitarlo solo nei suoi incubi, ma nelle rare occasioni in cui il suo desiderio si avverava e lui poteva tornare a casa, anche se solo nell'illusione della sua mente, non ricordava mai il sangue.

Il luogo in cui stava andando sarebbe stato ancora la sua casa. Avrebbe avuto lo stesso odore. E avrebbe riconosciuto il suo, per quanti anni fossero passati, per quante vite avesse dovuto strappare, per quante cicatrici lo segnassero.

Ma lui sarebbe tornato con ricordi che non avrebbe mai dovuto avere. Anche se avesse tentato di credere che in sua assenza non fosse cambiato nulla, il suo stesso corpo avrebbe continuato a tradirlo.

Non avrebbe permesso a quei pensieri di fermarlo. Avrebbe proseguito il cammino fino a quando non fosse stato di nuovo nell'unico luogo in cui potesse sentirsi di nuovo al sicuro. Era arrivato troppo lontano per fermarsi.

Non poteva tornare indietro, e andare avanti sarebbe stato meno difficile di quanto credesse. Doveva solo convincersene.

Sorrise a Thadrez. Quando era caduto, lei lo aveva sorretto. Forse avrebbe continuato a farlo, se ce ne fosse stato bisogno.

Tornare a casa gli avrebbe dato tutta la forza necessaria per non cadere più. I ricordi avrebbero continuato a ferirlo, ma le cicatrici che gli avevano causato avrebbero smesso di dolere. Avrebbe trovato il modo di riprendere davvero a vivere, una volta che fosse giunto nel luogo che glielo avrebbe concesso.

La guaritrice ricambiò timidamente il sorriso, prima di tornare a rivolgere lo sguardo davanti a sé. Continuando a camminare a suo fianco nella neve, cercando di regolare il passo per non distanziarla troppo, Dhnir non tentò di rivolgerle di nuovo la parola.

Proseguirono, ignorando il vento gelido che soffiava contro di loro e la neve che le raffiche lanciavano sui loro capelli e sui loro vestiti. Andando più a nord, il territorio sarebbe tornato boscoso e i fitti alberi li avrebbero riparati con più facilità. Dovevano solo resistere e assicurarsi di essere al sicuro nei giorni necessari ad arrivare.

Il paesaggio intorno a loro non cambiava. Non si scorgeva segno di keryn o di umani. Solo la pianura innevata e il suo candore. La posizione del sole e delle stelle sarebbe stata l'unica cosa a cui potessero affidarsi.

Ma lui sapeva dove andare. Per quanto tempo fosse passato, la sua casa lo stava chiamando.

La luce stava iniziando a svanire e il freddo ad aumentare quando Thadrez si fermò bruscamente, costringendo Dhnir ad arrestarsi a propria volta. "Cos'è quella?" chiese, indicando un punto lontano contro il cielo scuro.

Dhnir raddrizzò la schiena, scrutando l'orizzonte. Una massa quasi piramidale sorgeva dalla neve, e la distanza che ne annebbiava i contorni non gli impedì di riconoscerla. "Quella?" Si strinse nelle spalle. "Niente di pericoloso. Ne ho sentito parlare."

Non si era mai allontanato da casa abbastanza da vederla di persona – e ricordava solo vagamente di averne scorto la sagoma in lontananza, mentre veniva trascinato sempre più vicino a Erui – ma ricordava bene le storie che le madri del suo clan narravano dei tempi antichi e di Taakdis, la gemma di ghiaccio, l'ultimo lascito degli elfi.

Abbandonate dai propri abitanti, o distrutte dai loro nemici, la maggior parte delle città elfiche era stata ridotta a rovine sepolte sotto uno strato di neve perenne. Ma non lei. Taakdis si ergeva ancora ben visibile, in ricordo di un mondo ormai perduto.

Un mondo che era stato molto più vivo e potente del loro, ma che non si era salvato dalla caduta.

"Dhnir?" La voce di Thadrez lo riscosse. Si costrinse a distogliere lo sguardo dal profilo della città. "Cosa c'è?" Lei si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. "Potremmo approfittarne per ripararci dalla neve. Abbiamo bisogno di riposare... almeno lì potremmo trovare un luogo coperto."

Il kery esitò. C'era un motivo per cui Taakdis non era mai stata ricostruita o ripopolata. Quel luogo era un sacro relitto del passato – e i vivi non dovevano contaminarlo. E forse tra quelle mura si nascondevano ancora pericoli. Non poteva sapere quali bestie selvatiche vi avessero fatto la tana, o se i fantasmi di coloro che l'avevano abitata ancora la infestassero.

Ma, se lui poteva continuare a restare all'aperto senza che il freddo lo ferisse, Thadrez aveva bisogno di un luogo più riparato. Era ben coperta, ma avevano trascorso giorni sotto la neve, e il suo corpo poteva essere troppo poco abituato per non subire danni.

Non si era mai soffermato davvero sulle reali possibilità che l'umana aveva di sopravvivere al viaggio. Anche se non sembrava in pericolo, anche se i suoi passi non avevano mai vacillato, non poteva escludere che non fosse abbastanza forte.

E non aveva intenzione di vederla collassare improvvisamente, già troppo debole per essere salvata, come era successo con Cirhen.

Alzò le spalle. "Va bene. Ma dovremo stare attenti. Non so cosa ci sia veramente là dentro." Si sorprese a rabbrividire, e tentò di convincersi che fosse solo per il freddo. Taakdis aveva avuto migliaia di anni perché nelle sue viscere fossero generati nuovi misteri e perché quelli vecchi andassero sepolti tra le rovine, e non voleva svelarli.

Tornò a fissare, oltre la neve, la forma scura della città. Pregò che ciò che ne restava non intendesse divorarli.

                                                                                        ...

Passando sotto i resti rovinati di quello che un tempo doveva essere stato un portale imponente, Dhnir si guardò rapidamente intorno. Non percepì alcun movimento, nulla che potesse minacciarli. Taakdis sembrava abbandonata persino dagli animali.

Eppure il suono attutito dei suoi passi gli sembrò sbagliato. Entrando tra le mura, stavano profanando una tomba.

Non si aspettava veramente di trovare dei corpi. Se anche ce n'erano, dovevano essersi ridotti in polvere secoli prima. Ma prima di lui decine di persone avevano vagato su quello stesso terreno – e ora erano tutti morti, e con loro il loro popolo.

Abbassò le palpebre e provò a immaginare cosa fosse stato in tempo quel posto. Le leggende narravano di alte mura candide, e di centinaia di terrazzamenti scolpiti nella pietra bianca che permettevano di dominare con lo sguardo il territorio circostante fin dove l'occhio poteva spingersi. La sua mente li popolò di figure pallide e flessuose, di bambini che giocavano e sapienti che nei loro libri annotavano segreti ora da tempo dimenticati.

Cercò di scacciare la fantasia prima di iniziare a sentire l'odore del sangue versato la notte in cui tutto quello era stato distrutto. C'erano già troppe anime perdute nei suoi pensieri perché vi aggiungesse quella di morti che non avrebbe mai conosciuto.

Si accorse che Thadrez lo stava osservando confusa. Aveva tentato di spiegarle cosa fosse realmente Taakdis mentre percorrevano la strada, ma sapeva che lei non poteva realmente capire. L'esistenza di popoli più antichi degli umani doveva sembrarle troppo assurda. Non aveva mai sentito parlare degli elfi, e anche dopo che aveva tentato di spiegarle, Dhnir dubitava che gli credesse. Non se ne stupiva. Solo i kery e i kamryn li ricordavano ancora.

E forse, un giorno, anche loro avrebbero subito lo stesso destino, e sarebbero stati solo leggende per coloro che fossero venuti dopo di loro – se ci fosse stato qualcuno.

"Stai male?" La voce flebile della guaritrice lo costrinse a tornare al presente. Scosse la testa, rivolgendo nuovamente la propria attenzione al territorio circostante.

Sembrava ancora che non ci fosse nessuno. In compenso, lo spazio tra le mura era molto più ampio di quanto si fosse aspettato. Aveva creduto che all'interno non fosse rimasto nulla, ma molti edifici erano ancora parzialmente conservati. Anche se le pareti erano crollate su se stesse, le loro rovine erano ancora abbastanza alte da fornire uno scudo consistente contro il vento e la neve.

Erano tutti realizzati con la stessa pietra bianca delle mura. Con la neve fitta, sarebbero stati quasi invisibili a uno spettatore distratto.

Ma questo non era bastato a difendere i loro abitanti.

Raddrizzò la schiena. Non poteva restare fermo a pensare a cose a cui non poteva rimediare. Erano venuti lì per un motivo diverso dal rimpiangere il passato. Lanciando una rapida occhiata alle rovine, trovò le mura più alte e meglio conservate e si affrettò a raggiungerle.

Thadrez lo seguì, ma continuò a guardarsi intorno a occhi spalancati. Dhnir si chiese quanto simili ai suoi fossero i pensieri che le affollavano la mente – se stesse pensando alla possibilità che i suoi antenati fossero tra coloro che avevano invaso e distrutto quella stessa città.

Il kery si sedette a terra, traendo un sospiro. In quel punto non faceva troppo freddo. Parte del tetto era ancora presente, e offriva loro ulteriore riparo. Trasalì sentendo qualcosa su di sé, prima di abbassare lo sguardo e accorgersi che l'umana si era appoggiata a lui in cerca di calore.

Non la respinse. Rimase ad ascoltare il suono regolare del suo respiro, perdendosi nelle nuvolette di vapore che generava.

Rimasero in silenzio a lungo. Dhnir non sapeva se Thadrez avesse le sue stesse motivazioni per tacere, ma non avrebbe violato il silenzio sacro di quel luogo.

Solo quando i suoi occhi si furono pienamente abituati alla penombra si rese conto che tra quelle pareti si trovava ancora qualcosa. Lungo quello che un tempo doveva essere stato il perimetro della parete si trovava una fila regolare di casse di pietra, davanti a cui se ne trovavano altre che giungevano fino al centro, lasciando liberi spiazzi circolari come quello in cui si erano seduti.

Ci vollero solo pochi minuti perché la curiosità prendesse il sopravvento. Scostando gentilmente da sé Thadrez, si alzò e si diresse verso una delle casse. Forse all'interno c'era ancora qualcosa che avrebbero potuto trovare utile.

Il coperchio era meno pesante di quanto si fosse aspettato, per quanto spesso. Lo sollevò contro la parete e fece un passo indietro per osservare ciò che la cassa racchiudeva. Forse la copertura aveva salvato il suo contenuto dall'umidità.

Emise un sospiro di disappunto. Il recipiente non era vuoto come aveva temuto. Ma tutto ciò che vi si trovava all'interno erano numerosi libri, impilati uno sopra l'altro.

"Cos'hai visto?" La voce di Thadrez parve quasi assordante nel silenzio. La guaritrice si alzò e lo raggiunse, rimanendo a fissare i volumi. "Quelli cosa sono?"

Dhnir distolse lo sguardo. "Niente di utile." borbottò. Dall'esterno, i libri sembravano ben conservati. Per i loro proprietari dovevano essere stati preziosi, ma ora non erano più di un cumulo di pergamene e inchiostro. Avrebbero potuto usarli per alimentare il fuoco, ma il pensiero di distruggere parte di quel poco che rimaneva di Taakdis lo nauseava.

"Forse potrebbero contenere qualche informazione." La voce di Thadrez pareva dubbiosa. Il kery scosse la testa. Conosceva già quel territorio, e qualunque cosa gli fosse ancora ignota probabilmente non si sarebbe trovata in libri così antichi. Quasi sicuramente, Delmnor non era più la stessa che era stata al tempo degli elfi.

Ma si sorprese comunque ad accovacciarsi davanti al baule e a prendere in mano uno dei tomi. Non era sicuro di poter capire ciò che si trovava all'interno, ma avrebbe potuto fare un tentativo. Sarebbero passate ore prima che lasciassero Taakdis, e ora che sapeva di essere al sicuro là dentro, non poteva andarsene senza scoprire quali segreti vi fossero sepolti.

Sfiorò con delicatezza la copertina di cuoio del volume, quasi aspettandosi di vederla sbriciolarsi sotto il suo tocco. Non accadde. Prese un respiro profondo e provò a scostarla dalle pagine. Con uno scricchiolio, il libro si aprì.

La penombra non impedì ai suoi occhi di scorgere con chiarezza i simboli sinuosi che coprivano le pagine. Percepì Thadrez allungare la testa sulla sua spalla, ma sapeva che non riusciva a capire. "È elfico." le spiegò alzando la voce. "Dovrei riuscire a capirlo. Assomiglia alla nostra scrittura."

La donna tacque per un istante. "Non credevo neanche che sapeste scrivere." Dhnir cercò di trattenere un sospiro di disapprovazione. Il solo fatto che lo avesse seguito significava che avrebbe imparato, prima o poi. "Non me lo hai mai chiesto." Continuò a fissare la prima pagina. C'erano solo pochi simboli, di grandi dimensioni, ma attraverso la pergamena sottile percepiva che nelle altre la scrittura era molto più fitta.

Comprendere la lingua sarebbe stato facile. Sapeva quanto vicino il kery fosse all'elfico. Per un attimo, pensò fugacemente che i primi tra i suoi antenati forse avevano fatto in tempo a vedere quella città quando era ancora intatta e splendente. Forse avevano addirittura camminato tra le sue mura, ed erano stati nello stesso punto in cui si trovava lui in quel momento.

Aggrottò la fronte e si dedicò a decifrare la prima pagina. "La prima parola è 'popoli', credo." cominciò prudentemente. Passò al secondo simbolo, ma anche quando riuscì a ricavarne il suono e il caso, non riuscì a comprenderne il senso. Lo stesso per le parole successive, scritte al di sotto della prima riga, di dimensioni minori.

Hasoyl. Laorian Ts'alra. Forse dovevano essere nomi propri, ma avevano perso significato da molto tempo, ora che non c'era qualcuno che potesse leggerli e capire a cosa si riferissero.

"E i suoi discendenti." concluse traducendo le ultime parole, scritte ancora più minutamente in fondo alla pagina. Sfogliò il libro con tutta la delicatezza di cui era capace. Dubitava che ciò che si trovava all'interno fosse nel suo interesse, ma provare a leggere non gli avrebbe fatto danno.

La parte superiore della seconda pagina era occupata da un'unica parola, e da un'illustrazione colorata, tanto minuta quanto perfetta. Una donna dalla pelle candida gli sorrideva dalla pergamena, avvolta da una nube di capelli bianchi striati di blu. Segni bluastri le coprivano le braccia, il volto e il ventre, mentre la parte inferiore del suo corpo era costituita da una lunga coda di pesce dalle scaglie cangianti. Rimase a fissarla a lungo prima di decifrare la parola tracciata al di sopra – kaulya, un nome simile a quello che il suo popolo usava per gli abitanti del mare con cui, millenni prima, si erano mescolati.

Si accorse che Thadrez stava fissando la pagina. "E quella?" domandò la donna. Dhnir raddrizzò la schiena. "Una donna dei popoli del mare. Non ne hai mai sentito parlare?" Lei scosse la testa, e lui si chiese quanto, del mondo in cui si trovavano, fosse ancora sconosciuto a entrambi.

"Mi sarebbe piaciuto vederne uno nella realtà." rifletté il kery ad alta voce, tornando a guardare il libro. Voltò pagina, svelando l'illustrazione successiva. Questa volta, ad apparire fu il volto fiero di un uomo dai lunghi capelli, tra cui spuntavano due lunghe corna, e un busto muscoloso, innestato sul corpo striato di uno strano quadrupede. "Credo che sia... una raccolta di informazioni. Sui popoli che vivevano a quel tempo."

Continuò a sfogliare delicatamente il volume, osservando le dettagliate illustrazioni e lanciando un'occhiata alle parole di tanto in tanto. Lì dentro non c'era nulla che potesse aiutarli nel loro cammino, ma lui voleva sapere cosa si celava tra quelle pagine.

Molte di quelle erano creature che non aveva mai visto, e di cui non avrebbe nemmeno mai potuto immaginare l'esistenza. La maggior parte di loro, probabilmente, non esisteva più. Le altre dovevano essere troppo lontane e nascoste perché lui avesse mai la possibilità di vederle.

L'unico suono che ruppe il silenzio di quei minuti, a parte lo scricchiolio della pergamena, era la voce di Thadrez che gli chiedeva, a volte, di fermarsi e spiegarle ciò che non aveva mai conosciuto. Le obbedì volentieri.

Si soffermò a fissare la pagina dedicata ai kamryn. La figura flessuosa raffigurata sulla superficie riportò a galla pensieri che aveva cercato di sopprimere dal momento in cui aveva rivisto la neve. Cercò di non pensare a come sarebbe potuto essere lo sguardo di Cirhen se avesse sentito il suo gelo, e a quali maledizioni Shera avrebbe potuto scagliare contro di lui con l'ultimo respiro.

Chiuse gli occhi e si concentrò sulla sensazione della superficie ruvida della pagina sotto i polpastrelli. Quel libro era antico. I kamryn di cui narrava dovevano essere stati troppo diversi dai loro discendenti, al tempo in cui erano ancora pienamente liberi. Non aveva motivo di pensare al presente.

Trattenne l'impulso di voltare bruscamente pagina e si convinse a leggere le scritte sottostanti all'illustrazione, alzando la voce perché la sua compagna potesse sentirlo, e per ancorarsi meglio alla realtà.

...Abitanti di un territorio fertile situato tra il Deserto Esterno e il Deserto Interno... Gli unici esseri ancora dotati di magia naturale...

Batté le palpebre. Quella era una cosa di cui non aveva mai sentito parlare. Per un secondo fu grato che i kamryn contro cui aveva combattuto non avessero mai posseduto alcuna magia – poi ricordò che, se lo avessero fatto, sarebbe stato quasi impossibile per gli umani ridurli in schiavitù e trasformarli in belve.

Perché la stessa abilità non era stata concessa alla sua gente? Perché a loro non era mai stata data la possibilità di difendersi?

Si accorse che la sua voce si stava incrinando. Deglutì e raddrizzò le spalle, tentando di proseguire nella lettura. Arrivò alla fine della pagina. Le ultime righe erano scritte in caratteri minori, distanti dal resto del testo, come se fossero state aggiunte in un secondo momento.

Alcuni individui apparentemente presentano una pelle più scura della media.

Sollevò un sopracciglio – si aspettava che fosse un fatto risaputo – poi finalmente voltò pagina. Fu quasi un sollievo.

"Era quello il popolo a cui apparteneva il tuo compagno?" mormorò Thadrez. Dhnir trasalì, poi si rese conto che, al nord, gli umani dovevano conoscere ancora meno riguardo ai kamryn. Annuì. "Non eravamo compagni." aggiunse, scacciando definitivamente l'immagine di Shera.

Superata quella pagina, divenne più facile proseguire. Rilassò i muscoli e continuò a leggere, la voce più ferma e calma.

Fino a quando non giunse a quello che – nonostante mancassero ancora molte pagine alla fine - doveva essere, a giudicare dal modo in cui la pagina sporgeva, l'ultimo capitolo.

L'ultima illustrazione rappresentava una creatura bipede, dal corpo basso e tozzo, dai lineamenti rozzi e dalle braccia lunghe e forti. I tratti d'inchiostro che gli segnavano la pelle sembravano rappresentare una lieve peluria, che lo copriva quasi ovunque, a eccezione del viso. Dai suoi tratti primitivi, difficilmente l'avrebbe identificato come ciò che era. Poi lesse il titolo, e gli fu tutto chiaro.

Quello era un essere umano. Almeno per come doveva apparire al tempo in cui quel libro era stato scritto, quando doveva essere ancora solo una specie tra tante.

La pagina era scritta molto più fittamente delle altre, ma molte informazioni dovevano ancora mancare. Se gli elfi avevano visto la nascita e la crescita del genere umano, non erano vissuti abbastanza per assistere ai secoli in cui il loro potere era cresciuto.

Non erano stati abbastanza fortunati – se di fortuna si poteva parlare – da sopravvivere fino al momento in cui gli umani avevano deciso di preferire la sottomissione dei propri rivali, invece della distruzione.

Osservò Thadrez con un sorriso forzato. Lei teneva gli occhi fissi sulla figura, ma il kery non era certo che avesse già capito. Prese fiato e cominciò la lettura. "Questi esseri sembrano essere nati di recente. Sono stati trovati nelle caverne all'interno delle grandi foreste..."

Anche dalle prime righe, sembrava che non ci fosse nulla di particolare in quella specie. Un popolo che viveva in piccoli gruppi, cacciando e raccogliendo frutti e radici, come molti altri avevano fatto ai propri albori e spesso continuato a fare. Creature solitarie, che cercavano di tenersi il più possibile lontani dalle altre, ancora troppo deboli per sapere come difendersi efficacemente dai potenziali nemici.

"Non sono mai venuti in contatto con un altro popolo, e questo sembra renderli spaventati e nervosi. Confido che diventeranno meno ostili, una volta che avranno conosciuto il resto del mondo." lesse ad alta voce. Dovette fermarsi, e lottò per spegnere la risata amara che iniziava a ribollire nel suo petto. Thadrez rimase in silenzio.

I paragrafi erano distribuiti in modo irregolare, come se fossero stati scritti in tempi diversi. Passò a quello successivo, soffermandosi sulla grafia particolarmente curata. "Stiamo tentando di insegnare loro l'elfico e il kurjt. Sono creature intelligenti, e imparano in fretta. L'elfico pare essere troppo difficile per loro, ma sanno già formare semplici frasi in lingua comune. Sembra che possiedano già un proprio linguaggio, anche se non riusciamo a comprendere quasi nulla. Abbiamo trovato alcuni semplici dipinti schizzati sulle rocce, e abbiamo visto le armi che hanno costruito. Se fossero più numerosi, potrebbero diventare estremamente potenti." Non c'era paura in quelle parole, ma Dhnir rabbrividì.

Non reagì quando Thadrez gli poggiò una mano sulla spalla. Si accorse di essere giunto in fondo e voltò pagina. La grafia sembrava diversa, anche se altrettanto elegante. "Mi accingo a proseguire..." Impiegò qualche momento a decifrare le parole successive. "L'opera di mio padre, a continuare le sue ricerche e renderne noti i risultati." Appena sotto il paragrafo, a destra, c'era quella che doveva essere una firma. Ladzyw Ts'alra. Doveva essere il figlio dell'autore originario.

Voltò pagina e continuò a leggere. "Stanno imparando a costruire strumenti sempre più raffinati." iniziò. "Sembrano più inclini a uscire dalle loro caverne per periodi anche prolungati, e hanno iniziato ad accendere fuochi per cuocere la carne. Abbiamo offerto loro ospitalità, ma pochi hanno accettato di seguirci fino a Taakdis. Una volta giunti hanno manifestato grande curiosità, e sono riusciti a rivolgerci alcune semplici domande in kurjt. Mi auguro..." La sua voce tremò nel leggere le parole successive. "Che i nostri contatti futuri portino a un'amicizia duratura tra i nostri popoli."

Non voleva alzare lo sguardo e osservare la sua compagna, o qualunque reazione fosse sul suo viso. Stava iniziando a dolergli la testa.

Le pagine andavano avanti, descrivendo lentamente l'evoluzione della specie. La grafia cambiava spesso, ed era evidente quante generazioni fossero state disposte a proseguire l'operato dei propri predecessori. E, a poco a poco, il tono con cui le parole erano state scritte cambiava.

Una parte di lui temeva ciò che avrebbe trovato in fondo.

Riuscì a proseguire fino a quando le parole non iniziarono a raccontare di come le città costruite su imitazione di quelle degli elfi non fossero diventate rifugio per cacciatori e signori di schiavi, e di come la violenza e la sete di sangue avessero pervaso lo stesso popolo che un tempo aveva onorato le proprie prede raffigurandone le sembianze. La voce gli morì in gola, ma non riuscì a distogliere lo sguardo.

L'ultima pagina conteneva solo poche righe, scarabocchiate con tanta fretta da risultare quasi illeggibili. Macchie di un marrone stinto punteggiavano le parole, ma non bastavano a nasconderle.

Sono arrivati. Taakdis cadrà stanotte, come tutte le altre. Li sento là fuori, oltre le urla, e so che anche il mio sangue sarà ver

La parola non si concludeva. Dhnir chiuse il libro di scatto, riponendolo con troppa foga nel baule, quasi gettandolo. Né lui né Thadrez parlarono per il resto della notte.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top