Capitolo cinquantanove
Mejri spinse di lato il mortaio e affondò il viso nei fiori che Azik aveva raccolto per lei. Non sarebbero serviti a mascherare l'odore di malattia che la attendeva di fuori, ma almeno avrebbero attenuato la nausea. Faceva già fatica a mangiare, tra la gravidanza ormai quasi al termine e la cupa consapevolezza di quanto fosse inutile cercare di restare in vita.
Le giornate si susseguivano tutte uguali, e sempre più spesso si trovava a chiedersi se non fosse già morta e quella non fosse la sua posizione.
Aveva continuato a lavorare quasi incessantemente, per quanto si sentisse stanca e Doreth insistesse perché si riposasse, attendendo solo il momento in cui avrebbe avuto conferma della morte di Sil e di Dirsjt. Non poteva finire diversamente, ormai.
Con il passare del tempo, rimpiangeva sempre più Hxarin-sur. Aveva creduto di essere disposta a barattare la propria sicurezza per la libertà, ma non ne era più certa. Certamente non era più convinta che i suoi compagni avessero fatto la scelta giusta nel seguirlo. Se non se ne fossero mai andati, sarebbero rimasti schiavi, ma sarebbero stati vivi.
Se non avesse mai voluto andarsene, molte altre vite, oltre alle loro, sarebbero state risparmiate. L'unico prezzo da pagare sarebbe stata la possibilità di stringere tra le braccia un figlio voluto.
Sacrificare il bambino prima che avesse potuto davvero prendere vita, prima che iniziasse a muoversi nel suo grembo, pronto a un mondo che l'avrebbe ucciso, sarebbe potuto essere un atto di pietà. Non se n'era accorta fino a quando non era stato troppo tardi.
Tentò di concentrarsi sulla mistura nel mortaio. Da quando avevano iniziato a usare gli strani fiori rossi, le pozioni tendevano ad assumere una sfumatura viola. Probabilmente non avrebbe cambiato la loro efficacia, e lei non voleva concedersi di sperare.
Raccolse uno dei petali rossi che erano rimasti accanto al pestello, chiedendosi distrettamente se ridurlo in polvere, anche solo per avere un movimento con cui tenere occupata la propria mente.
Fu certa di avere sentito una presenza alle proprie spalle, ma fu tentata di non rivolgerle neanche la propria attenzione. I messaggi dei ricognitori erano tutti uguali, la prova che ogni tentativo di trovare una cura era insensato.
Ma la voce dubbiosa di Azik la costrinse a voltare lo sguardo. "Hzial, cosa..." stava chiedendo il mezzosangue, scostando dagli occhi i ricci biondi.
Mejri rimase senza fiato nel notare il volto della kamry. Non le aveva mai visto un sorriso tanto luminoso sul viso, neanche nei tempi sereni che avevano preceduto la battaglia e la morte di Paum.
"Sta funzionando!" dichiarò la donna. "Quei fiori... il sangue del deserto... stanno funzionando. Qualcuno sta già iniziando a guarire!"
Le parole caddero nel vuoto, troppo a lungo attese per essere credute.
Solo dopo un silenzio che parve infrangibile Mejri osò parlare, anche se sentiva che, se lo avesse fatto, ciò che aveva detto Hzial si sarebbe rivelata una menzogna. "Ne sei certa?" Aveva passato così tanto tempo senza pronunciare una parola che la sua voce uscì flebile e arrochita, ma l'altra la udì, e il suo sorriso raggiante non mutò.
"Da quando avete iniziato a usare quei fiori, le pozioni sembrano funzionare..." ripeté, la voce tremante per l'emozione.
Nessuno parve in grado di rispondere. Dopo tutto quel tempo, si erano disabituati alla speranza. "Sembrano funzionare..." ripeté Mejri quasi tra sé, e la frase sembrò farsi più veritiera.
Sil sarebbe sopravvissuta. Dirsjt sarebbe sopravvissuto. Il suo bambino non sarebbe nato senza un padre.
Sarebbe scoppiata a ridere, se non avessi quasi dimenticato come fare, se non avesse temuto che gioire potesse annullare le parole di Hzial e far ripiombare la sua famiglia nell'oscurità, verso la fine.
Si limitò a voltarsi, raccogliere uno dei fiori e pestarlo freneticamente, fino a ridurre in polvere i suoi petali scarlatti. Ora che sapeva che sarebbero serviti a dare la vita ai malati, prima che Jounan cadesse, non le parve più un futile gesto meccanico.
Il destino aveva voluto concederle ancora una possibilità di salvezza. Avrebbe fatto tutto ciò che poteva per non lasciarsela sfuggire, anche se si fosse trattato solo di tritare boccioli.
"Dobbiamo raccoglierne altri, allora." La voce di Azik si era fatta più decisa, sembrava aver preso di nuovo vita. "Fino a quando non ce ne saranno abbastanza." La guarigione di Jounan era diventata qualcosa di tangibile, qualcosa che avrebbero potuto raggiungere presto. Sembrava impossibile.
Ma loro avrebbero trovato tutti i fiori di cui avevano bisogno. Avrebbero distillato altre pozioni, e i malati sarebbero guariti. Ogni cosa sarebbe tornata alla normalità.
Il bambino si mosse di nuovo dentro di lei, così bruscamente da toglierle il fiato, come a ricordarle che sarebbe sopravvissuto, e che lei avrebbe dovuto darlo alla luce in un mondo in cui fossero riapparse la salute e la felicità.
Non lo avrebbe più deluso.
...
Nell'aurora nebbiosa, nascosta dalle cime dei pini, Lienhe non riusciva a muoversi. Sdraiato a occhi spalancati sul suo giaciglio di foglie, ascoltava il respiro dei suoi compagni dormienti e pregava disperatamente di poter tornare a sognare, prima che il mattino li costringesse a riprendere il loro vagabondaggio.
Finché avesse dormito, non avrebbe sentito nulla, nemmeno il dolore della sua ala perduta. E forse avrebbe avuto un'altra possibilità di rivedere Kirthum.
Continuava a pensare alle sue parole. Continuava a cercare qualcosa a cui aggrapparsi per convincersi di voler vivere. Iniziava a credere che non sarebbe mai riuscito a trovarlo.
Irgyvie non aveva più bisogno di lui. Non era stato lui a salvarla, e c'erano ancora suo fratello, Dovyr e Uhdryb a proteggerla. Persino Eargawe, pur non essendo più giovane, avrebbe saputo difendere la figlia meglio di quanto avrebbe potuto fare lui. Avrebbe potuto tentare di salvare Laem e Nizkam, ma non si sentiva neanche certo di essere in grado di combattere. Per quanto tempo passasse, i suoi passi restavano sbilanciati, e il peso dell'ala fantasma sulla sua schiena minacciava di fargli perdere l'equilibrio. Kirthum aveva impiegato mesi a riprendersi quando era stato mutilato, e, con i nemici che ancora minacciavano di trovarli e ucciderli, lui non poteva permettersi di aspettare tanto.
Se fossero già stati in pace e al sicuro avrebbe potuto tollerare il pensiero che non avrebbe più volato. Ora, sollevare gli occhi sul cielo non serviva ad altro che farlo sentire ancora più inutile.
Era solo questione di tempo perché Jalnar e i suoi alleati li raggiungessero. Anche i pochi tra loro che erano in grado di combattere non sarebbero riusciti a respingerli, nemmeno con le armi da fuoco che erano riusciti a portarsi dietro. L'unica soluzione che avevano era inoltrarsi sempre più nel cuore delle fitte foreste di Firmia, dove sarebbe stata la natura stessa a ucciderli. Nessuno le aveva mai esplorate, e loro non potevano sapere quali pericoli vi si annidassero. Non potevano sapere come affrontarli.
Dovevano andarsene da lì. Forse, in quel modo, sarebbero sopravvissuti.
Aveva considerato di dirlo ad alta voce più di una volta. Era inutile continuare a vagabondare. Forse la loro unica via d'uscita era il mare, e ciò che si trovava oltre la sua distesa scintillante.
Dovevano raggiungere la costa e trovare una nave. Si sarebbero rifugiati a Tojt, o forse ancora più lontano, a Delmnor a Gicarb, o addirittura a Godar. Là nessuno avrebbe saputo i loro nomi, e avrebbero potuto cercare una nuova vita. E allora...
Se anche fossero riusciti a fuggire, cosa avrebbero fatto?
Lienhe si coprì il volto con le mani, mentre anche le sue fantasie gli crollavano intorno. Tojt non era sicura. Non lo era mai stata. Il suo vecchio villaggio – così lontano – lo aveva cullato in una finta pace per diciotto anni, facendogli credere che non sarebbe andato distrutto come gli altri, e poi era diventato cenere. Se anche fossero tornati, se avessero trovato un luogo in cui vivere, sarebbe stata solo questione di tempo prima che anche quello venisse raso al suolo, e questa volta non sarebbero stati così fortunati da sopravvivere.
Andare ancora più lontano non li avrebbe salvati. Non sapevano quali pericoli si annidassero negli altri continenti, posti così remoti da parere inventati. Tutto ciò che sapeva per certo era che aveva sentito di hiryn venduti per le arene di Delmnor e Gicarb, e che, anche se si fossero rifugiati laggiù, sarebbero rimasti prede.
Fuggire non sarebbe servito. Dovevano rimanere e tentare di combattere fino a quando non fossero riusciti a riconquistarsi un posto da chiamare casa.
Ma forse, gli altri sarebbero dovuti andare avanti senza di lui.
Laem iniziò a piangere, destando immediatamente la madre dal suo sonno leggero. Irgyvie si mise seduta, e alla scarsa luce Lienhe vide le occhiaie che cerchiavano i suoi occhi dietro alle lunghe ciocche corvine che le ricadevano sul viso. La ragazza allungò le braccia verso la rudimentale culla dove il bambino viaggiava e riposava e raccolse il figlio, stringendoselo al petto fino a quando non parve calmarsi.
Solo allora parve accorgersi che lui la stava guardando e ricambiò lo sguardo. "Ti fa male la schiena o hai avuto un incubo?" sussurrò gentilmente.
Lienhe si rese conto solo in quel momento delle lacrime che erano sfuggite ai suoi occhi. Le asciugò con rabbia. "Sto bene." Non aveva bisogno che lei leggesse i suoi pensieri. Non doveva trascinarla nella disperazione.
Forse lei e suo marito avrebbero trovato una via di fuga e li avrebbero guidati alla salvezza. Forse loro avevano ancora la speranza a muoverli.
Gli altri non avevano abbandonato Nizkam, nonostante la sua schiena spezzata li rallentasse, e non avrebbero abbandonato lui. Ma forse avrebbe fatto meglio a convincerli. Non sarebbe riuscito ad andare avanti ancora a lungo, e stava perdendo anche la volontà di farlo.
Osservando il modo in cui Irgyvie guardava il figlio, con le palpebre abbassate per la stanchezza e i capelli arruffati a coprire quasi del tutto il viso paffuto di Laem e la sua stretta che pareva farsi sempre più protettiva a ogni istante, non riuscì a parlarle. Avrebbe potuto udire la verità sulla loro situazione nella sua voce e arrendersi come si era arreso lui – e almeno lei e il suo bambino, il bambino di Kirthum, dovevano sopravvivere il più a lungo possibile.
"Posso aiutarti a portarlo, se vuoi..." le offrì. Non sarebbe servito a molto, ma almeno gli avrebbe dato un motivo di sentirsi ancora utile e qualcosa di diverso dalla loro fine imminente a cui pensare.
Irgyvie incurvò le labbra, ma il sorriso non illuminò i suoi occhi. "Ti ringrazio, ma non ce n'è bisogno. Sta iniziando a pesare..." E non saresti capace di sostenerlo, sembrava aggiungere il suo sguardo, anche se lei ebbe il tatto di non pronunciare le parole.
Lienhe si costrinse ad annuire, sedendosi a sua volta. Presto si sarebbero svegliati anche gli altri, e lui non doveva far intuire loro i propri pensieri. Dovevano continuare a sperare, anche se lui non riusciva più a farlo.
Forse i suoi compagni sarebbero riusciti a trovare la strada per la salvezza. E se lo avessero fatto, lui non era certo che li avrebbe seguiti.
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