Capitolo cinquanta

Finalmente, Shera aveva preso la sua decisione. Mentre i suoi occhi scrutavano l'orizzonte, si chiese se potesse sopravvivere fino a pentirsene.

Aveva passato giorni bloccato in un torpore ancora più intenso di quello che lo aveva avvolto da quando aveva lasciato Erui. Il mondo intorno a lui sembrava sempre più irreale, la sua esistenza sbagliata come l'assenza del suo braccio.

Aveva avuto una speranza, per un breve momento, di avere trovato una via d'uscita, e Dhnir gliel'aveva portata via.

Il ricordo dell'istante in cui l'aveva visto accanto a un essere umano bruciava ancora. Aveva creduto di potersi fidare del kery. Gli aveva raccontato cose che non aveva mai detto a nessuno. E aveva iniziato a vedere in lui una salvezza, un modo di non finire i suoi giorni in solitudine e circondato dai rimpianti.

Ma era stata tutta un'illusione, e alla fine la sua mente l'aveva accettato.

Era tornato a vagare da solo, come quando era delirante in preda alla malattia e tormentato dalla creatura demoniaca che lo aveva manipolato – e per un momento si era chiesto se quell'essere fosse reale o frutto di un'allucinazione della sua mente avvelenata, e se avesse pianificato fin dall'inizio di condurlo da Dhnir solo per vedere come avrebbe reagito quando l'inganno fosse stato svelato. Poi, aveva capito.

Doveva decidere il proprio destino, prima che qualcuno – o qualcosa – potesse ancora servirsi di lui.

Non poteva più andare a nord, e, in fondo, non aveva mai potuto. Quella era stata solo un'altra delle menzogne di Dhnir.

Ma c'era stato un tempo, che ormai sembrava troppo distante, in cui aveva considerato di tornare al sud, a Gicarb, anche se sapeva che sarebbe morto prima di giungere a destinazione. E ora, la sua mente era tornata a quel pensiero.

Sarebbe stato inutile anche solo tentare. Non sapeva neanche se fosse ancora in grado di difendersi o anche solo di procurarsi il cibo. E Gicarb era lontana.

Ma avrebbe provato lo stesso. Non aveva un'alternativa, non più.

Non era voluto tornare da Afayd per non dover affrontare il proprio fallimento. Non sapeva nemmeno se lei fosse ancora viva. Ma ormai non se ne curava più.

Se fosse sopravvissuto fino a tornare da lei, avrebbe dato qualunque cosa pur di riabbracciarla.

Gicarb probabilmente era rimasta arida com'era sempre stata. Tornare sarebbe significato affrontare di nuovo la carestia e il pericolo di ricadere nella schiavitù – o di essere troppo disperato per non consegnarsi ancora una volta agli umani. Ma era la sua casa, ed era l'unico luogo a cui potesse tornare.

Non era voluto tornare da Afayd per non dover affrontare il proprio fallimento. Non sapeva nemmeno se lei fosse ancora viva. Ma ormai non se ne curava più.

Se fosse sopravvissuto fino a tornare da lei, avrebbe dato qualunque cosa pur di riabbracciarla.

Gicarb probabilmente era rimasta arida com'era sempre stata. Tornare sarebbe significato affrontare di nuovo la carestia e il pericolo di ricadere nella schiavitù – o di essere troppo disperato per non consegnarsi ancora una volta agli umani. Ma era la sua casa, ed era l'unico luogo a cui potesse tornare.

Avrebbe tentato di raggiungere il sud. Quali altre scelte aveva?

Inspirò e cercò di convincersi di stare facendo la cosa giusta. Anche se quello che si era posto fosse stato un obiettivo impossibile, non se ne sarebbe pentito. Voleva solo non essere di nuovo schiavo. E voleva dare un senso ai giorni che lo attendevano, anche se fossero stati gli ultimi.

Dal punto in cui si trovava, i suoi occhi non scorgevano altro che la boscaglia che si estendeva all'infinito. Non si era aspettato altro. Da quando aveva lasciato Erui, Delmnor gli era sembrata una sola grande foresta. Sapeva che il nord e il sud erano le zone meno boscose, ma per il resto avrebbe dovuto cercare di farsi strada tra gli alberi e non farsi uccidere da ciò che si poteva annidare tra loro.

Non era un territorio per cui i kamryn fossero adatti, ma avrebbe tentato di attraversarlo. Almeno, sarebbe stato meno visibile a eventuali nemici.

Si chiese se il suo corpo fosse ancora in grado di sopportare il deserto. Aveva trascorso troppi anni senza altro ricordo della sua casa che la sabbia dell'arena – e l'aveva vista macchiata di sangue troppe volte perché il ricordo stesso non si sporcasse.

Era stato schiavo più a lungo di quanto fosse stato libero, e aveva passato più tempo ad anelare a Gicarb che a vivervi.

Ma se non avesse tentato di tornare, non avrebbe nemmeno mai saputo se la terra da cui veniva lo avrebbe di nuovo accolto come suo figlio. Non aveva avuto una casa per troppo tempo per volervi rinunciare ora che non aveva più motivo di scappare.

Avrebbe anche accolto l'ira di Afayd e di Rhiwe. Era già consapevole delle proprie colpe, e non voleva sopravvivere a nessuno di loro. Ma se c'era la possibilità che fossero ancora vivi, li avrebbe ritrovati.

Aveva considerato di unirsi a Dhnir per non restare solo. Con la sua famiglia, sarebbe stato anche più facile accettare la propria fine.

Era stanco, ma non abbastanza da ignorare il richiamo di Gicarb. Non più.

E forse non era ancora troppo tardi per lui.

Mentre si preparava a porre il primo passo verso una destinazione che forse non avrebbe mai raggiunto, non poté fare a meno di ricordare che era stato Dhnir il primo a suggerirgli di tornare.

                                                                                                           ...

Dopo le prime vittorie, Iserb sembrava rinata.

Avevano compiuto numerosi attacchi, ormai, e tutti si erano risolti con successo. Avevano eliminato un bottino sufficiente a riempire una piccola città, e sterminato molti nemici, lasciando solo abbastanza sopravvissuti perché le loro gesta fossero note sulla terraferma.

Ora che la liberazione sembrava certa, la capitale poteva finalmente concedersi di scuotersi di dosso il lutto. Quelli che erano appena trascorsi, dopo ventidue navi affondate, erano stati giorni di festa. Avevano celebrato il futuro che li attendeva come popolo veramente libero, e dato gli onori dovuti agli unici quattro uomini che erano morti nel corso degli assalti.

Per quanto dolore potessero provare le loro famiglie, quegli uomini avevano dato la vita nella battaglia che avrebbe redento la loro gente. L'esistenza che li attendeva oltre la morte sarebbe stata serena e luminosa, e li avrebbe ripagati del loro sacrificio.

Kael aveva trascorso quei giorni in disparte, ma non aveva temuto di esporsi anche quando l'acqua si era fatta densa di corpi guizzanti. Il ricordo delle navi svuotate del carico e dell'equipaggio era stato sufficiente a farlo sentire diverso – più vicino alla salvezza.

L'unica persona a cui avesse rivolto la parola era stata suo padre.

Domal lo aveva colto di sorpresa, avvicinandosi a lui prima che potesse accorgersene. Kael era riuscito a non reagire con violenza al suo tocco. "Sei cambiato, da quando sei tornato dalla nave." gli aveva detto suo padre, fissandolo negli occhi. "Sei sicuro che non sia stato troppo da sopportare? Stai bene?"

Kael gli aveva sorriso – ed era stato sincero. "Ora sì." Aveva fatto il proprio dovere nei confronti dei mape, e di se stesso. La sua anima non si era ancora risanata, ma sarebbe successo, se avesse continuato a combattere. Era solo questione di tempo.

"Non ho corso alcun pericolo." aveva detto, e si era chiesto se, come i familiari degli uomini che erano appena stati uccisi, Domal sarebbe stato fiero delle sue gesta se lui fosse morto.

Non era ancora certo di essere stato convincente, ma suo padre non aveva più tentato di mettere in dubbio la sua decisione. Uno solo di loro poteva combattere, e avevano una famiglia da vendicare.

Ci sarebbero state altre occasioni. Quello era solo l'inizio.

Adesso, agli occhi di Kael, Iserb sembrava quasi tornata la città della sua infanzia, prima che in lui nascesse veramente la consapevolezza del pericolo che i mape correvano da quando la loro specie si era creata. A volte, pareva ancora più luminosa.

Presto gli uomini e le donne che vedeva nuotare nelle acque della capitale sarebbero stati davvero liberi. Neanche la loro anima sarebbe stata schiava dei capricci umani.

E lo stesso sarebbe stato per lui. Forse non ci sarebbe mai riuscito finché fosse stato in vita, ma non sarebbe più stato prigioniero di nessuno. Nemmeno dei suoi ricordi.

Non sentiva neanche più il bisogno di nascondersi. Poteva uscire dalla sua casa senza sentirsi schiacciato dal pensiero che qualcuno lo avrebbe visto. Chi lo avesse guardato non avrebbe più trovato in lui il fragile fuggiasco tornato senza metà della propria famiglia, ma solo un soldato al servizio della sua gente.

Non importava se gli incubi erano rimasti, finché fosse riuscito a tenerli nascosti.

Presto avrebbero attaccato di nuovo. E lui sarebbe stato pronto. Avrebbero vinto ancora una volta, e lui sarebbe stato davvero in pace. Doveva solo attendere.

Riscuotendosi dai propri pensieri, si rese conto che le persone che lo circondavano si erano fermate. La maggior parte stava guardando in alto, verso la superficie, e lui seguì il loro sguardo.

La forma scura di una nave stava scivolando sopra Iserb.

Kael si irrigidì, ma cercò di non fuggire. Non potevano averli visti. Erano troppo lontani dalla superficie per essere visibili.

Ma l'imbarcazione non accettò a proseguire nella rotta. Rimase a galleggiare nello stesso punto in cui si trovava, come se fosse in attesa di qualcosa.

Gli umani non potevano averli trovati. E comunque, non avrebbero potuto raggiungerli. Il sacerdote lo aveva detto. Lì erano al sicuro.

Ma lui si sentì comunque fermare il cuore. Non riusciva a muoversi. Si sentiva come se la fredda mano del cadavere della sua padrona potesse apparire alle sue spalle e afferrarlo, senza che lui potesse fare nulla per sfuggire al proprio destino.

Qualcosa cadde dal ponte della nave e iniziò ad affondare in mare. Una luce accecante emanò dall'oggetto, formando spire sinuose nell'acqua.

Qualunque cosa fosse, si stava allungando verso il fondale.

Kael poté scorgere una donna avvicinarsi cautamente alla luce. Il suo corpo si tese, mentre l'istinto gli gridava di avvisarla di non toccare le scie splendenti che si svolgevano nell'acqua.

Non fece in tempo.

Un istante dopo la sentì urlare. Il tentacolo luminoso attecchì alla sua pelle come una fiamma e iniziò a consumarla, senza che l'acqua potesse fare nulla per fermarne gli effetti.

Mentre le grida e la fuga avevano inizio, Kael poté solo osservare mentre altre luci cadevano dalla nave e si spandevano sotto la superficie, sempre più ampie, distruggendo chiunque si trovasse intrappolato nella loro scia.

Aveva sbagliato a credere che gli umani non avessero trovato il modo di vendicarsi. Li avevano trovati, e ora li avrebbero puniti per ciò che avevano osato.

Non avevano mai avuto una possibilità di salvezza.

Sapeva di dover fuggire. Mentre il terrore nelle urla assordanti che lo circondavano si trasformava in dolore, mentre il mare diventava innaturalmente splendente e la luce sembrava allargarsi per inglobare le profondità, non riusciva a fare altro che fissare ipnotizzato la fine che si avvicinava.

Era stato ingenuo a pensare di essere al sicuro. La guerra non li avrebbe salvati. Sarebbe solo servita a distruggerli più velocemente.

Non sarebbe mai stato nulla di diverso da uno schiavo da schiacciare a piacimento.

Il calore si fece insopportabile mentre si avvicinava, e ciò bastò a spingere il suo corpo a fuggire. Nuotò confusamente verso il fondale, senza sapere dove potesse andare e quanto tempo gli restasse prima che la luce bruciasse anche gli abissi.

Era così che si erano sentiti i marinai che avevano attaccato? Era così che si era sentito Skitnal quando si era lanciato contro il nemico sapendo di non poter sopravvivere? Era così che si era sentito Dryiler quando gli aveva scagliato contro il fuoco?

Doveva allontanarsi da lì, e pregare che bastasse a salvarlo. Ma non poteva andarsene da solo.

Si fermò, guardandosi freneticamente intorno, ma non riuscì a scorgere suo padre. Provò a chiamarlo, ma non ottenne risposta.

La consapevolezza di ciò che poteva essere accaduto lo costrinse a bloccarsi. Non sapeva neanche se Domal fosse uscito di casa, quel giorno. E forse faceva parte degli innumerevoli corpi avvolti dalla luce divoratrice.

Ma non poteva andarsene lasciando indietro tutto ciò che restava della sua famiglia. Aveva già lasciato morire suo fratello.

Allontandosi ancora quello che bastava per non essere raggiunto dalla luce, si schermò gli occhi e tentò di scorgere qualcosa al di là del chiarore, senza successo. Il suo cuore si fermò, ma rifiutò di nuotare via. Non voleva salvarsi se significava che sarebbe rimasto completamente solo.

"Padre!" chiamò ancora, pregando disperatamente che per una volta gli fosse concesso di agire prima che fosse troppo tardi.

Era già rimasto a guardare quando Skitnal era stato ucciso. Se avesse saputo dov'era Domal, avrebbe potuto salvarlo.

Ma non vedeva nulla.

Solo quando stava per rinunciare riuscì a scorgere la forma guizzante di suo padre che tentava di allontanarsi dall'ondata di luce. Lo raggiunse nuotando con tutte le forze che aveva, aggrappandosi a lui e tentando di trascinarlo via, al sicuro.

Cercò di respirare e di ignorare il calore che si avvicinava. La vita di entrambi dipendeva da lui. Se fosse nuovamente rimasto paralizzato, suo padre non sarebbe riuscito ad andarsene abbastanza in fretta, e sarebbero bruciati.

Ma mentre tentava di fuggire, senza sapere dove potesse essere un punto abbastanza lontano da salvarli dalla morte, voleva solo arrendersi.

Voleva che sua madre e Skitnal fossero lì per salvarlo, e che suo padre fosse abbastanza forte da difenderlo. Quella non era la morte che desiderava. Non aveva nulla di salvifico od onorevole, e non voleva essere ucciso come un pesce preso in trappola dagli stessi esseri che avevano già divorato la sua anima.

Ma la sua famiglia non poteva più proteggerlo, e non era così che desiderava riunirsi a sua madre e a suo fratello. Né poteva lasciare Domal a quel destino.

Poteva solo fuggire e sperare di poter salvare ciò che gli rimaneva.

Mentre il calore sembrava lentamente allontanarsi e le urla a poco a poco si spegnevano, lasciando posto solo a un mortale silenzio, comprese che la vendetta non era mai stata possibile per nessuno di loro.

E, per lui, non lo era nemmeno la salvezza.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top