1.
Le foglie volavano giù dagli alberi come carta secca, cadendo sull'asfalto grigio della sessantasettesima strada, in una fredda mattina d'autunno. L'aria nebulosa e grigia avvolgeva Brooklyn, mentre New York si risvegliava pigro, tra l'odore del caffè e torte alla cannella preparate con cura per festeggiare la notte in cui i morti tornano a vagare su questa terra. I davanzali sfoggiavano zucche intagliate e festoni spaventosi di fantasmi e spettri sorridenti.
Lungo il solitario marciapiede deserto di un viale alberato, un uomo camminava strascicando i piedi, pericolosamente instabili sotto il suo peso. Stringeva forte, tra le dita sporche, una bottiglia di liquore scadente ormai mezza vuota e sputava bestemmie contro il mondo e la vita. L'uomo, quarant'anni da poco compiuti, si chiamava Mark Patterson e non aveva più il becco di un quattrino, non aveva una casa, ipotecata almeno tre mesi prima e vagava da solo per la città con una valigia di debiti e rimpianti, in cerca di rifugi occasionali e compagni di gioco. Già, la sua rovina era stata proprio il gioco: quella calda sensazione di ebrezza quando punti tutti i tuoi soldi su una sola giocata ad effetto, il brivido di rischiare la sicurezza per la follia dell'attimo. Un' altra volta e poi smetto, una volta soltanto e magari vinco, no, di sicuro vinco e se non vinco posso tentare ancora, infondo... Ma Mark aveva tentato qualche volta di troppo, si era giocato una casa, un lavoro sicuro e soprattutto una famiglia da cui tornare.
All' angolo della via, la piccola libreria per bambini di Rosemary Parker stava aprendo le porte alla piccola clientela, mentre la dolce libraia tirava su le serrande del negozio addobbato in grande stile per festeggiare la notte di Halloween. Libri dalle copertine luccicanti popolavano le vetrine tra il sorriso beffardo di una zucca e le ossa bianche di uno scheletro con un elegante cilindro di velluto sulla testa. Una strega impagliata, a cavallo di una grossa scopa sorvegliava la situazione, penzolando malefica dal soffitto percorso da un filo di lanterne di carta rossa e gialla.
Poco dopo, quando Mark passò barcollando davanti alle scintillanti vetrine la sua attenzione fu catturata da una figura indefinita che si muoveva armoniosamente al di là della vetrina. Fece qualche passo verso destra e, una volta che la strega non intralciava più la sua visuale, l'immagine divenne più nitida. Una donna di circa trent'anni era in piedi in mezzo ad un gruppetto abbastanza numeroso di bambini intenta a leggere una storia. I piccoli non staccavano lo sguardo e le orecchie dalla giovane e ogni tanto sgranavano gli occhi o si coprivano la bocca, sorpresi da ciò che stavano ascoltando. Alcuni erano seduti a gambe incrociate, mentre altri erano sdraiati a pancia in giù e si tenevano la testa con le manine. Mark li osservò uno per uno come se avesse ancora la speranza di scorgere suo figlio, quella faccia paffutella incorniciata da una folta chioma di riccioli castani che contrastavano con il blu intenso dei suoi occhi. Quante volte gli aveva ripetuto che avevano il colore dell'oceano e quante altre aveva infranto la promessa di andare al mare insieme. La delusione che il suo piccolo Charlie nascondeva dietro ai suoi "Non importa papà, sarà per la prossima volta" aggravavano i suoi sensi di colpa facendolo naufragare ogni giorno in un mare di alcool.
Con la mano libera tastò le tasche del pantalone e, notando che aveva ancora qualche spicciolo a disposizione, decise di entrare nella libreria. Sentiva di voler spendere i suoi ultimi soldi in qualcosa che avrebbe dovuto fare molto anni fa: un regalo per il suo piccolo angelo. Non appena Mark varcò la soglia, la lettura venne interrotta e tutti si voltarono verso di lui. Impacciato e imbarazzato non sapeva cosa dire, era da molto tempo che non aveva contatti con altre persone. I bambini lo salutarono in coro e lui abbozzò un piccolo sorriso. «Buongiorno!» Disse la libraia allegramente. «Stavamo giusto per cominciare a leggere una nuova storia, vero bambini?» Delle giovani risate riscaldarono l'atmosfera e riecheggiarono nella stanza, ma Mark non aveva ancora proferito parola. «Oggi è il 31 ottobre!» Esordì una bambina dai lunghi capelli biondi. «Si festeggia Halloween questa notte!» Spiegò un bambino saltando su dal tappeto in modo euforico. «Proprio così!» Tornò a parlare la donna. «Ma che cosa successe quel 31 ottobre di molti anni fa? Lo stavamo per leggere proprio ora. Perché non resta qui e lo scopre insieme a noi?»
Mark non riusciva a smettere di guadare i bambini e più li osservava più rivedeva in loro il suo Charlie. Incapace di andarsene, come se così facendo avrebbe potuto deludere anche loro così come aveva deluso tante volte suo figlio, decise di restare ad ascoltare la storia e godersi per qualche minuto il calore della piccola libreria e i dolci sorrisi della giovane ragazza. Si appoggiò ad uno scaffale con le mani infilante nelle luride tasche, mentre lei sfogliava le pagine di un grosso libro in pelle e iniziava a leggere.
«C'era una volta una volta un fabbro di nome Jack che abitava in Irlanda. Gli piaceva tantissimo bere birra e giocare d'azzardo e tutte le sere se ne andava al pub dove rimaneva finché l'oste non lo cacciava via ubriaco. Jack non era molto ricco e spesso non aveva neppure i soldi per pagare. Una sera in cui era rimasto al verde, un signore, seduto al bancone del pub, si offrì di pagargli l'ultima bevuta. Rimase a bocca aperta: "Oh, grazie, grazie molte!" disse felice.» Mark si sentiva strano mentre la ragazza continuava la lettura e i bambini l'ascoltavano attentissimi. Insomma che strana coincidenza era quella? Era impossibile non cogliere la somiglianza tra lui e questo Jack.
«Bella fortuna penserete voi, incontrare un tipo così cortese. Fortuna??? Mica tanta, dato che il signore gentile altro non era che...» Fissò i suoi intelligenti occhi azzurri sui piccoli spettatori e lasciò la frase in sospeso «Il diavolo in persona.»
«Oooh!» Esclamarono alcuni.
«Esatto proprio lui! E povero diavolo, coi tempi che correvano, gli toccava pure andare in giro a cercare qualche anima da portarsi all'inferno. Infatti, in cambio dei soldi chiese a Jack: "Tu dovrai darmi la tua anima!" Jack accettò subito e il diavolo si trasformò in una moneta sonante da sei pence.»
«Il diavolo si trasformò in una monetina?» Chiese sorpresa una bambina che aveva il volto a cuore incorniciato da boccoli color caramello.
«Proprio così Sarah e Jack, che era furbo come una lepre, infilò la moneta con il diavolo intrappolato nel suo borsellino dove teneva un piccolo crocifisso d'argento. Sapete il diavolo aveva il terrore della croce, così non poté riprendere le sue sembianze e rimase imprigionato nella tasca di Jack.»
Mark ridacchiò pensando tra sé e sé: "Però, furbo questo Jack!"
«"Liberami, liberami disgraziato, su.... liberami! Se non torno a casa per cena mia moglie diavola farà il diavolo a quattro con un diavolo per capello!!!"» I bambini risero divertiti «Pregava da dentro il borsellino. Jack, che era molto furbo, lasciò andare il diavolo con la promessa che non gli avrebbe più chiesto l'anima per i prossimi dieci anni. Il diavolo promise e Jack lo lasciò andare.»
La ragazza girò la grande pagina illustrata del libro e continuò. «Passarono i dieci anni. Tante cose cambiano in dieci anni, sapete, ma Jack no, Jack era rimasto sempre il solito ubriacone, con qualche capello in meno sulla testa e qualche ruga in più sulla fronte, ma sempre puntuale la sera al pub davanti alla sua birra.»
Lo stomaco di Mark si contorse in preda al rimorso e deglutì faticosamente la paura. Come sarebbe stato lui tra dieci anni? Un vecchio ubriacone, senza il becco di un quattrino, solo e disperato. Era così che si vedeva: sul fondo del baratro che era diventata ormai la sua misera vita. Aveva provato a smettere ma non era mai riuscito a sopportare la lontananza dal calore bruciante che solo l'alcol sa dare e la mancanza dell'ebbrezza del gioco non era nemmeno concepibile per lui. Quel calore che sembra incendiarti dentro e cancellare tutti i problemi della vita. No, lui era troppo debole per smettere, troppo codardo anche solo per voler morire, figuriamoci tornare dalla sua famiglia per essere guardato con gli occhi pieni di disprezzo da sua moglie e di pietà da suo figlio.
«Jack,» continuò intanto Rosemary, «si era completamente scordato dell'anima venduta al diavolo quando una sera, seduto al bancone del pub, lo rivide. "Ti stavo aspettando, Jack" disse il diavolo salutandolo. "Come passano in fretta dieci anni, vero?" Jack pensò, tra sé e sé, che doveva escogitare qualcosa per salvare la propria anima. Disse allora, fingendo di essere tranquillo: "Sì, sì, certo. Ricordavo benissimo di doverti l'anima... te la do subito. Prima, però potresti mica andarmi a prendere qualche mela da quell'albero? Sai, ho una certa fame ed una bella mela si accompagnerebbe bene alla mia pinta di birra. In fondo tu sei un diavolo, che ti costa volare sull'albero e farmi questa cortesia..." Il diavolo volò sull'albero, ma Jack, che era rimasto il solito furbacchione, incise con un coltello una croce sulla corteccia del melo, e il diavolo rimase bloccato tra le fronde, senza poter più né scendere né scappare. "Fammi scendere, su, fammi scendere..." Implorava il povero diavolo, messo nel sacco per la seconda volta da un vecchio baro ubriacone. "Ti prometto che rinuncerò alla tua anima!"» Rosemary imitò la voce stridula di un arrabbiatissimo diavolo scatenando le risate dei bambini che ascoltavano rapiti la storia. «Jack aveva ottenuto ciò che voleva, cancellò la croce e se ne tornò tranquillo e libero da pegni al suo bancone del pub. Passarono gli anni e Jack invecchiò felice. Poi, un giorno, giunse anche per lui il momento di lasciare questo mondo. Appena morto prese la strada per il paradiso e arrivato alla sua porta, bussò con forza dicendo: "Sono Jack, il fabbro irlandese!" San Pietro, che ben lo conosceva, gli disse: "Via da qui, non è certo il paradiso il posto giusto per un ubriacone e truffatore come te!"»
Lo stomaco di Mark fece un'altra giravolta. «Jack, senza scomporsi, si recò allora all'inferno. "In fondo non si deve star poi così male laggiù." Pensava. "Con quel bel calduccio..."» Rosemary fece l'occhiolino ai bambini e proseguì. «Toc, toc, bussò Jack. "Chi è là?" Chiese il diavolo. "Sono Jack, il fabbro irlandese!"»
Mark si stiracchiò nelle spalle assorto dalla storia e desideroso di conoscere la sua sorte. "Non la mia" si corresse "la sorte di Jack". Lui proprio non aveva intenzione di finire all'inferno anche se temeva con tutto se stesso che quella sarebbe stata la pena per un disgraziato come lui. Scoprì subito, con grande meraviglia, che così non era. «"Jack!? Via, via da qui.... non voglio neanche sentirti nominare." Esclamò il diavolo lanciandogli dietro un tizzone ardente raccolto per terra. Jack prese il tizzone e lo mise dentro una rapa che stava rosicchiando, in modo che il vento non lo spegnesse. Poi se ne andò, vagando per il mondo fino ai giorni nostri, perché nemmeno il diavolo lo aveva voluto all'inferno.» Rosemary terminò di leggere mentre una frase risuonava nella disperata mente di Mark: "Nemmeno il diavolo lo aveva voluto all'inferno..."
Nel corso degli ultimi anni, Mark aveva imparato una lezione: c'erano tre cose che non lo avrebbero abbandonato mai e queste erano la sua ombra, i suoi sbagli e i sensi di colpa. Non c'era stato nemmeno un giorno in cui uno dei tre gli avesse dato tregua. "Nemmeno il diavolo lo aveva voluto all'inferno". Lui aveva perso tutto, dalla moglie al piccolo Charlie. Persino se stesso e ora vagava morto dentro per le strade di New York confondendosi in una folla di anime.
«Il diavolo non lo ha fatto entrare? Ma neanche lui è un santo! Avrebbe potuto fargli un posticino.» Esclamò un bambino con disappunto.
«Bisogna essere buoni e Jack non lo è stato. A me dicono di fare la brava, perché qualcuno lassù...» intervenne una bambina con un caschetto rossiccio e un paio di occhiali color smeraldo indicando il soffitto, «vede i miei sbagli e poi si arrabbia con me. Così mi dice la mamma.» Conclude in un sussurro.
«La mia nonna mi ripete che se io non mi comporto bene, Babbo Natale non mi porterà la macchinina che desidero con tutto il mio cuore.» Disse un terzo bambino trascinando la "u" di "tutto" e mettendosi le manine sul suo petto per dare più enfasi alla sua dichiarazione. La sua ingenuità provocò una calorosa risata generale e lui, imbarazzato, si portò le mani sul viso per coprire le sue giovani gote appena arrossate.
Mark si alzò improvvisamente in piedi e barcollò leggermente. Tutti si voltarono verso di lui e lo guardavano aspettandosi qualche parola, o almeno un gesto. La frase continuava a rimbalzare nella sua testa e ogni volta che la ripeteva mentalmente, diventava più forte. Aprì la bocca per proferire parola, ma non riuscì nel suo intento. Boccheggiò per qualche secondo e poi, rifugiandosi nel suo vecchio cappotto ormai sporco e consumato, uscì dalla piccola libreria in fretta e furia. Doveva andarsene, sentiva gli occhi di tutti sulle spalle e pungevano come piccoli spilli appuntiti. La testa pulsava, la vista era annebbiata e faticava a capire dove si stava dirigendo. Camminava, Mark camminava senza pensare dove stesse andando. Non gli importava sapere dove l'avrebbero portato i suoi piede, gli interessava solo andare via da quel posto. Dopo qualche minuto, intravide un cartello con la scritta "Central Park" e, senza pensarci due volte, accelerò il passo in quella direzione.
La natura placava il suo subbuglio interiore e in quel momento aveva solo bisogno di liberare la mente, di sentirsi leggero e rompere quelle catene pesanti che lo ancoravano al suo passato. Il parco era stato addobbato per Halloween e alcuni volantini confermarono ciò che aveva sentito per le strade della città: quella sera ci sarebbe stata una sfilata dei costumi più bizzarri dell'anno, si sarebbero raccontate alcune delle leggende più spaventose e, come ogni anno, i bambini si sarebbero divertiti a vagare per Central Park alla ricerca di dolcetti e sorprese nascosti astutamente da un gruppo di organizzatori.
Continuò a camminare nel parco finché il rumore della città divenne un flebile sussurro e decise di fermarsi a riposare sulla prima panchina che avrebbe incontrato. Le pesanti palpebre non tardarono ad abbassarsi e, non appena trovò una posizione sufficientemente comoda, cadde in un profondo sonno.
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