Parte 53

Cavalcavano senza sosta da quando avevano lasciato il castello di Chiaramonti. Avevano fatto una sosta per uno spuntino e per far bere i cavalli ed erano ripartite in direzione di Tamuli. Rianna voleva condividere con l'Oracolo le condizioni proposte dal conte di Anglona prima di riferirle alla madre e soprattutto a Don Quirico. Ormai era notte e decisero di fare una sosta nei pressi di un bosco di querce da sughero. Erano alberi maestosi, i tronchi nudi di un marrone rossiccio avevano subito la decorticazione estiva. Mangiarono qualcosa, abbeverarono i cavalli al ruscello e si sistemarono per riposare. Rianna aveva scelto un alto tasso che svettava solitario tra le querce. Stava sistemando il giaciglio quando Anzùla le si avvicinò.

«Sai cosa dice il detto? Non si dorme sotto al tasso, altrimenti non ti svegli».

«Non la avevo mai sentito, ma per stasera sfiderò la saggezza tradizionale, ormai è tutto pronto, sono stanca morta. Le cosce sono infuocate, mi sembra di non essere ancora scesa da cavallo».

«Se vuoi posso farti un massaggio».

Rianna aveva sentito il viso diventare rosso come le bacche del tasso, avrebbe accettato volentieri l'offerta di Anzùla, ma aveva percepito della malizia da parte sua e non si sentiva pronta ad affrontare quella situazione.

«Sei gentile, ma preferisco dormire, domani sarò come nuova».

Anzùla si era allontanata per preparare il suo giaciglio sotto una quercia lì accanto. Rianna si era aspettata una reazione differente, insistenza oppure sdegno per il rifiuto, invece aveva visto solo una leggera delusione.

«Grazie di esserti proposta, sei stata molto gentile, magari un'altra volta», aveva concluso presa dai sensi di colpa, ma poi si era pentita subito. Si coricò guardando le stelle e osservando la cometa.

Non riusciva ad addormentarsi, si girava e rigirava nel giaciglio da chissà quanto. In lontananza udì una dolce melodia, come un'antica danza. Strano che qualcuno fosse nei paraggi, avevano scelto un luogo per riposare lontano dai centri abitati. Si voltò a controllare la consorella, Anzùla stava dormendo. Decise di lasciarla riposare e si incamminò in direzione della musica. 

Giunta in una radura vide quattro fanciulle nude che danzavano, la melodia proveniva da un flauto suonato da un giovane fauno. La notarono e dopo un primo attimo di timore la invitarono a danzare con loro. La spogliarono, si presero per mano e Rianna si trovò a seguire i loro passi in cerchio, come se avesse sempre conosciuto quella coreografia. Ruotavano in un senso, poi nell'altro, sorridenti, sembravano non toccare il terreno tanto erano leggiadre. 

D'improvviso il fauno smise di suonare e le fanciulle si voltarono a guardare il cielo. La cometa era lì, Rianna si meravigliò di vederla molto più grande del solito. Le fanciulle urlarono spaventate, raccolsero le vesti da terra, corsero via allarmate. Rianna non comprendeva tutto quello spavento, poi vide le piante prendere fuoco, l'odore dell'incendio era insopportabile, cominciò a tossire, i fumi le stavano infuocando i polmoni. Si voltò a guardare nella direzione della cometa, che era diventata talmente grande da occupare tutto il cielo. Allora capì, stava per cadere sul suo mondo e nulla saprebbe sopravvissuto.

«Noooooo!»

«Svegliati, Rianna. Svegliati».

Si sentì scuotere, il cuore le batteva a un ritmo serratissimo.

«Svegliati Rianna, è solo un brutto sogno».

«Anzùla», riconobbe lei, destatasi, «ho fatto un incubo terribile. La cometa cadeva su di noi e distruggeva tutto. Non sopravviveva nulla».

«Ti avevo detto di non dormire sotto al tasso», cercava di calmarla, ironizzando e carezzandole i capelli sciolti per la notte.

«Perché la dea ha voluto mostrarmi questo?».

«Da quando la dea ci manda le visioni? Forse ti vuole insegnare che la vita è breve e non bisogna procrastinare». Rianna sapeva a cosa si riferisse Anzùla, ma non era dell'umore giusto per quell'argomento.

«Perché pensi sia un messaggio della dea?».

«Era una visione, non mi sono nemmeno accorta di dormire, anzi ero convinta di non riuscire a dormire. Poi mentre ballavo con quelle ragazze...»

«Che ragazze?». Rianna vide che Anzùla aveva qualcosa in mente, ma aspettava le sue spiegazioni.

«Ho seguito una musica, c'era un fauno che suonava e quattro fanciulle danzavano, mi hanno invitata, e...»

«...e avevo ragione io, non avresti dovuto addormentarti sotto al tasso. Quelle erano driadi. Le loro visioni sono sempre dispettose, amplificano le tue paure, ma non sono veridiche. Respira lentamente, poi ci rimettiamo a dormire, ma non qui sotto». La prese per mano e la condusse al giaciglio che aveva preparato per sé. Rianna la lasciò fare, si adagiò sul terreno e Anzùla la coprì con la mantella e la coperta.

«Tieni anche questa, che la notte sta diventando umida».

«Grazie, stenditi accanto a me, così saremo più al caldo». Anzùla non se lo fece ripetere due volte. Prese il suo mantello e la sua coperta, si sdraiò accanto a Rianna seguendo il suo profilo col proprio corpo e la cinse con un braccio intorno alla vita.

«Sogni d'oro».

«Direi che può bastare con i sogni per oggi». Entrambe sorrisero e così accoccolate si addormentarono.

                               *****

Arianna si era sentita soddisfatta. Dopo il matrimonio aveva consumato la prima notte nell'incertezza. Temeva nel marito un uomo crudele come Antine che maltrattava la sorella. Lei aveva preso le sue precauzioni, nascondendo una lama sotto al materasso e una caraffa di vino avvelenato dentro la madia. Invece, aveva scoperto un amante focoso nel duca di Sindia. Tomasu l'aveva posseduta più volte come uno stallone, passionale, veemente, ma era stato meticoloso ogni volta a cercare anche il godimento di lei. 

Arianna non aveva mai provato nulla di simile. E ne voleva ancora, e ancora. Quell'ebete del cognato non riusciva a togliersi dalla testa questo pirata Giordi, voleva a tutti i costi catturarlo; quindi, suo marito era stato chiamato con urgenza per una missione. Doveva tornare alla sua flotta, partire per mari. Chissà quando lo avrebbe rivisto, Antine era così caparbio che non si sarebbe arreso finché il corsaro non fosse stato sotto le sue grinfie. E Arianna si era ritrovata sedotta e abbandonata. 

Sognava le attenzioni del suo uomo, fremeva dal desiderio, ma era impossibile prevedere quando sarebbe tornato e lei non riusciva ad attendere. Aveva provato con successo a procurarsi quei piaceri da sola, ma già non le bastava più. 

Fu con questi pensieri nella testa che finì tra le braccia di Elethai, anzi tra le sue gambe. Il garzone stava lavorando nella stalla e si era preso una pausa per orinare. Arianna passeggiava sovrappensiero, in cerca di una soluzione ai suoi problemi; aveva vagato per il castello, saccheggiato le dispense in cucina, stemperando i desideri col cibo, aveva cavalcato nel tentativo di stremarsi. Rientrando alla stalla con la mente che le martellava sull'unico pensiero del marito lontano, un rumore di gocciolio interruppe le sue elucubrazioni. Sbirciando tra le assi di legno vide il giovane garzone, pantaloni abbassati e un membro dovizioso, a mala pena contenuto dalla mano, che veniva scrollato per eliminare le ultime tracce di urina. Arianna si guardò intorno, nessuno nei paraggi. Entrò nella stalla e chiuse la porta dietro di sé.

«Buongiorno signora», il ragazzo, goffo, stava cercando di rivestirsi per essere presentabile davanti a lei.

«Buongiorno Elethai, ricordami, quanti anni hai?»

«Diciassette, signora», rispose imbarazzato, asciugandosi le mani sui pantaloni da lavoro.

«Da quanto lavori per noi?». Si avvicinava lenta verso di lui.

«Da quando il conte si è insediato, signora, non ho mai dato motivo di lamentele. Faccio tutto quello che mi viene chiesto al meglio signora».

A quelle parole Arianna decise che lo avrebbe messo alla prova, con delle richieste diverse da quelle che il garzone si sarebbe aspettato. Al termine del pomeriggio non poté che dargli ragione. Lui e il suo giocattolone erano stati bravissimi. Avevano svolto tutto al meglio e avrebbero riempito l'attesa del ritorno di Tomasu nei giorni a venire in maniera egregia.

Rimaneva soltanto una preoccupazione. Cosa avrebbe detto al marito se invece che un figlio biondo con gli occhi azzurri fosse uscito moro con gli occhi verdi? Per fortuna il matrimonio era stato consumato e se fosse rimasta incinta sarebbe stato giustificato. Per quanto riguardava i tratti somatici, poteva sempre dire che il neonato aveva preso dal ramo materno.

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