Parte 49
Porto Nugoro era di una mole oltre la sua previsione. Elias non avrebbe mai potuto aspettarsi nulla di simile, la sua immaginazione non arrivava tanto lontano. Dalla faccia che avevano fatto Thalàna e Jacu, anche per loro doveva aver superato le aspettative, confrontato a Porto Tàlana. Gli era capitato di vedere qualche grande nave con le vele bianche a largo di Nuova Calagon, ma osservarne più di una, così da vicino, passargli accanto, entrando in porto su quella misera bagnarola su cui si trovavano, le faceva sembrare ancora più mastodontiche.
Elias aveva spiegato a tutti che la missione successiva sarebbe stata quella di trovare e recuperare lo scudo. Pascifera disse che sapeva con esattezza dove si trovasse, perché glielo aveva detto colui che gli aveva affidato la pietra gialla.
«Si trova nel luogo dal quale proviene». A queste parole del vecchio, Elias e gli altri si erano guardati come se quella notizia non portasse a nulla, ma mentre i ricordi su quello che Thomes e Maimone gli avevano raccontato sullo scudo riemergevano, la fata aveva detto:
«A Burgos, dunque!».
Burgos pensò Elias, dove c'era il castello della famiglia di Eleonora e dove era custodita la nave di Ishtar. Ma certo! Lo scudo era fatto con il metallo della nave spaziale, Leon doveva averlo riportato lì, quando non gli era più stato necessario utilizzarlo.
Thomes disse che il tragitto migliore sarebbe stato raggiungere Nugoro via mare; da lì, continuare via terra, prima a nord, poi a ovest, guadando il Tirso, per aggirare il fiordo del Golfo di Otzana, poi di nuovo a sud, verso Burgos.
Il vecchio aveva insistito affinché visitassero l'interno della dolina prima di partire. La grande grotta era caratterizzata da una cavità, sembrava una finestra, affacciandosi dalla quale si poteva osservare la valle e il golfo. Le rovine di alcune antiche capanne erano quasi indistinguibili, nascoste dalla vegetazione. Doveva essere stato un notevole punto di vedetta nei tempi passati. Tra tutte le piante, prevalevano le felci, se ne ammiravano di varie specie. L'umidità creata dallo stillicidio continuo che proveniva dall'alto, dal bordo del cratere, creava un habitat ideale per loro. Pascifera gli disse che quelle goccioline per molto tempo erano state la sua unica fonte di acqua potabile, aveva creato diversi punti di raccolta in corrispondenza del bordo del cratere. Lui aveva un riparo in una costruzione di epoca precedente all'Inondazione, anch'essa invasa dalle piante, che negli anni erano tornate a occupare lo spazio rubato dalla mano dell'uomo. L'interno era confortevole, Elias rimase basito e affascinato dalla raccolta di libri del vecchio.
«Sei in grado di leggerli?», Jacu ne aveva preso uno e lo stava sfogliando.
Pascifera glielo tolse di mano e lo ripose al suo posto, geloso dell'oggetto.
«Sto provando da anni a decifrare il significato dei simboli utilizzati per scrivere, ma è un processo lungo. Spero che qualcuno prima o poi ne venga a capo e ci possa rendere il valore culturale di questa collezione». Detto ciò, aveva preso una borsa con una borraccia, dei viveri, poi aveva chiuso l'ingresso con un lucchetto, si era messo il cordoncino con la chiave al collo, a mo' di ciondolo e aveva detto di essere pronto per la partenza.
Uscendo da Tisc-al, il panorama affacciava a est. Elias aveva il Monte Tulu proprio davanti a sé. Sul versante opposto immaginava il suo villaggio e i suoi abitanti affaccendati nella monotonia della quotidianità. Si chiese cosa ne fosse stato della sua casa, dei ricordi della sua famiglia custoditi all'interno, dei suoi terreni coltivati. Un giorno, se tutto fosse finito bene, sarebbe tornato a Nuova Calagon, avrebbe recuperato quello che rimaneva della sua eredità e se ne sarebbe andato per sempre. Pascifera li aveva condotti sulla riva del mare, scendendo dal crinale est del monte; nascosta tra i cespugli custodiva una vecchia barca, malandata, ma ancora galleggiante.
«Io non ho più la forza di remare, ma sapevo che un giorno o l'altro sarebbe tornata utile». Queste erano state le sue parole e poi: «Si accomodi, signorina, ora questi baldi giovani ci faranno fare una gita in mare». Aveva sollevato una mano per aiutare Thalàna a salire a bordo e, con un gesto atletico che Elias non si sarebbe aspettato, era saltato anche lui sulla barca.
«Mi aiuteresti con Sirbone?», aveva chiesto a Thomes. Il cinghiale non sembrava molto entusiasta all'idea di fare un giro in barca, aveva puntato gli zoccoli a terra e stava grugnendo.
«Sa limba sorta!¹», a quell'anatema Sirbone aveva guardato fisso il vecchio che gli faceva la linguaccia, poi sconsolato si era voltato verso Thomes che lo aveva sollevato e imbarcato.
«Non potremmo mangiarcelo?», sottovoce Jacu si era rivolto a Thalàna, ma il vecchio aveva sentito.
«Ancu ti facant a cantzos e donnia cantzu in un 'oru 'e 'idda²», aveva risposto il vecchio arricciando naso e sopracciglia.
Sirbone, come se avesse capito, aveva assunto la stessa smorfia del vecchio. E quando Jacu aveva provato a salire sulla barca, gli aveva punzecchiato le chiappe con le zanne. Jacu aveva fatto un salto e tutti si erano messi a ridere di gusto. Poi Thalàna aveva accarezzato l'animale e gli aveva detto:
«Non preoccuparti, lo tengo a bada io» e gli aveva dato una bella grattata sotto al collo. Il cinghiale si era sdraiato sulla schiena e muoveva le zampette in aria, come a chiedere altre grattatine sulla pancia.
«Sas barras³».
Jacu ancora si stava massaggiando il fondoschiena. Alla formula del vecchio, si era messo in guardia, poi si era guardato intorno, Thomes aveva sorriso e gli aveva fatto un occhiolino facendo "no" con la testa. Alla fine, erano tutti in barca, ma Jacu si manteneva a distanza di sicurezza da Sirbone e da Pascifera.
Era strano quel vecchio, Elias ancora non aveva capito come funzionassero le sue formule magiche; in realtà non sembravano sortire effetto alcuno, ma non poteva essere un impostore. Dopotutto era stato scelto per essere messo a protezione della pietra gialla, doveva pur significare qualcosa. Inoltre, sembrava sapere tutto su di essa, tanto da essere in grado di utilizzarla lui stesso. Aveva aiutato Elias rimarginandogli le ferite sulla schiena e cicatrizzando il taglio sul viso. Gli aveva spiegato che la pietra non poteva far tornare la carne come prima del taglio, poteva soltanto velocizzare e assicurare il processo di guarigione e che la cicatrice sarebbe rimasta. Se avesse perso un braccio, con la pietra non avrebbe potuto farlo ricrescere. Insomma, ne sapeva molto, troppo.
Durante la navigazione Thomes si era alternato ai remi con i ragazzi. Quando era il loro turno, lui e Jacu prendevano un remo ciascuno; all'inizio non era stato semplice coordinarsi, la barca aveva fatto degli scarti laterali; dopo qualche tentativo erano riusciti a sincronizzarsi.
Da un'insenatura del fiordo di Lanaitho erano usciti in mare aperto nel Golfo di Gollei. Il vecchio nominava tutti i luoghi che avvistavano, sapeva il nome di ogni insenatura, isola, monte. Erano passati in mezzo a due piccole isole di fronte a Capo Marreri; superato il Capo, avevano virato in direzione ovest, costeggiato la penisola di Marreri e ora stavano entrando al porto di Nugoro passando sotto una nave gigantesca.
«Che ne dici, tu, di iniziare a nascondere colore, orecchie e gioielli di famiglia?», aveva chiesto Pascifera a Thomes. Lui aveva annuito, con uno schiocco di dita erano comparsi un paio di pantaloni che, a un occhio attento, non riuscivano a nascondere proprio un bel niente e una specie di turbante, che invece ben occultava le orecchie a punta.
Lasciata la barca a un molo minore, avevano camminato in direzione della piazza, in cui i pescatori locali commerciavano il pescato. Qualcuno mostrava le merci su dei banchetti, altri rammendavano le reti. Tutti si interrompevano e li guardavano, al loro passaggio. Elias immaginò che per quanti stranieri dovessero vedere in una città di commercio come quella, loro di sicuro erano una brigata insolita: un uomo gigantesco, un vecchio con un cinghiale e tre giovani poco più che adolescenti, tra cui una ragazza, che a quanto pareva era quella che passava meno inosservata.
Un pescatore fece un fischio di apprezzamento verso Thalàna, ma subito si voltò intimidito e riprese le sue faccende, quando Sirbone reagì, grugnendogli contro.
«Pare che Sirbone sia in grado di difendermi meglio di te», disse Thalàna a Jacu per tormentarlo.
Poi Elias notò che la fanciulla aveva accarezzato il cinghiale e aveva allungato il passo, camminando davanti a lui e Jacu, muovendo le anche in maniera esagerata.
«Non credevo che mia cugina fosse una fanciulla bisognosa di quel tipo di aiuto», le rispose Jacu, «Ti sei forse rammollita?».
Lei si voltò, la furia in viso, e corse avanti, verso la locanda Duos Arcos alla quale erano diretti per pranzare, su consiglio dell'ormeggiatore.
Una rigogliosa pianta di bouganville in fiore incorniciava l'ingesso. Una volta entrati, trovarono Thalàna che aveva già occupato un tavolo per tutti loro, ma quattro energumeni le stavano ronzando attorno e lei non riusciva a liberarsene.
«Vi ho detto che non sono sola, sto aspettando i miei amici».
«Ah sì? Anche noi potremmo essere tuoi amici, bevi una birra con noi. Tzitzu versa una birra alla signorina a conto mio; amici come noi non ne hai mai avuti, ti facciamo divertire come non ti sei divertita prima».
«Smettete di molestare la signorina, sas manos che a sa tonca e a mandichinzu a culu⁴. Su Majarzu at narau⁵», disse Pascifera con occhi sgranati.
Turbati da quella formula, i tipi loschi si erano guardati e si erano dileguati.
«Sedetevi. Cerchiamo di non attirare l'attenzione più di quanto abbiamo già fatto. Ricordatevi di non utilizzare la magia e di non far sapere di possederla. Vale anche per te, druido».
Thomes non era a suo agio, si capiva dal tono che aveva usato. Elias pensò che i motivi potessero essere molteplici. Forse anche lui avrebbe dovuto aiutarlo, dando direttive a Jacu e Thalàna di mettere da parte i loro battibecchi amorosi e prendere la missione più seriamente, ma aveva paura che intromettendosi, avrebbe fatto il gioco di Thalàna, facendo ingelosire Jacu ancora di più.
Elias si guardò intorno. La taverna era un lungo corridoio. In fondo doveva esserci una latrina, perché da lì tornavano uomini che si allacciavano la patta dei pantaloni. Due archi in pietra, che davano il nome al locale, sormontavano il bancone; alle pareti erano appesi strani oggetti in ferro che gli ricordavano gli oggetti che aveva visto nella dimora di Urtaddala, ma qui erano più malandati, arrugginiti. In una parete c'era un'immagine con due facce, due uomini barbuti sorridenti. Entrambi avevano una coppia di corna sulla testa. Osservò gli avventori della taverna: la maggior parte era costituita da pescatori, già ubriachi di mattina. In un tavolo bighellonavano quattro ragazzi che avrebbero potuto essere suoi coetanei; bevevano alcolici come gli adulti. Cercò di immaginarsi come potessero essere le loro vite, crescere in una grande città, essere educati da quei bifolchi, ma i suoi pensieri furono interrotti da Thomes.
«Ieri, quando eravamo a Tisc-al e mi hai parlato con la mente, è stata una buona trovata». Elias intuì che aveva appena letto i suoi pensieri di nuovo. Vide anche che Pascifera si voltava lento verso di lui, lo guardava con un sorrisino strano sulla faccia, sembrava una sorta di orgoglio paterno.
«Ma ricordati che in quel modo tu puoi comunicare con me, ma non io con te. Tu non hai il potere di leggere nella mente. Io sono in grado di farti sentire i miei pensieri solo quando sono in forma di cavallo». Aveva detto l'ultima parte abbassando la voce per non farsi sentire da orecchie curiose nella locanda.
L'oste si avvicinò e chiese:
«Cosa desiderano lor signori?».
«Avete birra?», chiese Pascifera
«Certo, quante?».
«Ma è fresca, sì?».
L'oste lo guardò disgustato, come se la temperatura giusta della birra fosse compito suo e non dovesse essere messa in dubbio.
«Non t'ufres! 'Asi ti vidas sos pês essinde⁶», sentenziò Pascifera.
L'oste aveva messo una mano nella tasca dei pantaloni e sembrava che stesse giocando con delle monete.
Thomes intervenne: «Andranno bene quattro birre, un bicchiere di latte di capra e una ciotola d'acqua per lui, per favore».
«Siete pazzi a portare un cinghiale nel mio locale?» sbraitò l'oste quando si accorse di Sirbone.
«Stia tranquillo, signore, è addomesticato. Se dovesse arrecarle danni, pagheremmo noi, non si preoccupi».
«Da mangiare cosa avete?», chiese Jacu
«Minestra di fagioli, pollo arrosto e cinghiale in umido», concluse l'oste, guardando Sirbone che grugnì in risposta.
«Minestra per tutti, grazie» ordinò Thomes, «andrà benissimo».
L'oste tornò dopo un istante con le bevande, mise le birre davanti agli uomini e il latte davanti a Thalàna che guardò Thomes disorientata.
«Il latte è per me», disse Thomes all'oste, il quale squadrò Thomes dalla testa ai piedi per tre volte, invertì i bicchieri e se ne andò commentando tra sé: «Dove andremo a finire?».
«Ma come fai ad essere sazio con una minestra di fagioli, grande e grosso come sei? Io ho una fame che mi mangerei anche l'oste», si lamentò Jacu, quando l'oste si era allontanato.
«Noi fate abbiamo un metabolismo del cibo diverso dal vostro. Tu hai molta fame anche perché sei ancora nell'età dello sviluppo e il tuo corpo consuma molte energie».
«Quando terminerà lo sviluppo e diventerà un asino adulto?», chiese Thalàna.
Nessuno sorrise e nessuno le rispose; non doveva essere stato un bel colpo per lei. Si incupì, incrociò le braccia sul petto e non disse più una parola finché non fu arrivato il cibo.
Thomes si alzò, andò a parlare con l'oste, poi tornò a sedersi.
«Avverto un pericolo in avvicinamento, cosa ne pensi Sirbone?».
Elias scorse un cruccio sul viso di Thomes a quelle parole di Pascifera; il cinghiale grugnì in risposta, poi si voltò a guardare l'oste che si avvicinava con il loro pasto. Insieme alla zuppa c'erano anche due porzioni di pollo arrosto, Thomes fece cenno agli altri che potevano mangiare la carne se lo desideravano. Thalàna ne prese un po', poi Jacu divorò una porzione e si mise a fissare il pollo restante nel piatto. Ogni tanto guardava Elias, per capire se ne volesse prendere; lo stesso con Pascifera. Il vecchio fece l'occhiolino a Elias, prese metà del pollo restante e passò l'altra metà ad Elias dicendo:
«Tieni ragazzo, la tua parte».
Jacu aveva fatto la faccia più delusa che potesse esistere. Elias, Pascifera e Thomes scoppiarono a ridere all'unisono.
«Prendi, scrocchiazzeppi, era uno scherzo, non lo volgliamo», Pascifera diede la sua porzione di pollo a Jacu, imitato da Elias.
Mai gioia maggiore fu vista in un volto umano, Jacu prese a divorare il pollo, poi fece cenno a Thalàna, come per invitarla a mangiarne anche lei, ma lei, orgogliosa, si era voltata, naso all'insù, e non aveva mangiato altro. Il dispiacere di Jacu durò mezzo secondo, poi, senza alcun senso di colpa, si tuffò sul cibo e divorò tutto il pollo.
«Eccoli, sono quelli lì», aveva detto una voce alle loro spalle, vicino all'ingresso.
«Seguitemi senza provare a toccare le armi; c'è una denuncia a vostro carico per uso improprio di magia. Questi signori hanno sentito il vecchio lanciare antiche maledizioni, l'uso delle quali è vietato nella Contea di Barbagia. Voi che lo accompagnate e sedete con lui senza denunciarlo, siete considerati suoi complici». Il gendarme che aveva parlato si era spostato di profilo, come per far loro strada, mostrando altri sei gendarmi alle sue spalle.
«State tranquilli, non fate nulla, risolverò questa faccenda in poco tempo», disse Thomes, «Seguiamoli e non parlate».
«Ehi e qui chi paga? Mi tengo quel cinghiale?».
Sirbone grugnì e fuggi dalla porta verso la strada, mentre Pascifera mandava un altro dei suoi sortilegi all'oste.
«Benissimo», disse il gendarme, «ora ce ne avete dato la prova; reiterate il crimine in nostra presenza, vecchio». Poi all'oste che continuava a lamentarsi: «Tu, non rompere Tzitzu, ringrazia che non porto al fresco anche te. Di sicuro se mi metto a cercarlo, un motivo per arrestarti lo trovo e senza troppa fatica».
«Accidenti, questa non dovevo dirla». Pascifera era avvilito.
«Vedo che hai imparato anche tu a leggermi nel pensiero», gli disse Thomes.
«Se non altro andremo dove andremo con la pancia piena», concluse Jacu.
Elias si chiese come fosse possibile che, in un attimo, tutto si fosse rivoltato a loro sfavore, così inaspettatamente. Si fidava di Thomes, se aveva detto loro di stare tranquilli, significava che li avrebbe tirati fuori dai guai. Lo vide tirare un sacchetto di monete all'oste e dalla faccia che questo fece, dovevano esserci più denari di quanto fosse necessario.
Usciti in strada non videro più traccia di Sirbone; dove poteva essere finito? Il vecchio era tranquillo, quindi il cinghiale di certo sapeva il fatto suo. Sembravano tutti molto sereni all'idea di essere appena stati arrestati per colpa di quei quattro buzzurri che avevano importunato Thalàna. Le guardie avrebbero dovuto portare via quei molestatori. Invece stavano trattenendo lui e i suoi amici, togliendo tempo prezioso alla loro missione di salvare tutti dai mori.
Poi ripensando alle parole del gendarme Elias chiese a Thomes:
«Cos'è la Contea di Barbagia?».
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¹ Simile a Sa limba sica del capitolo precedente
² Che ti facciano a pezzi e ogni pezzo venga messo a monito in ogni zona del paese.
³ Vedi nota 4 del capitolo precedente.
⁴ Le mani come l'assiolo e prurito al culo. Si augura prurito nelle parti basse senza poter usare le mani, perché si hanno le mani come quelle di un rapace notturno, cioè le ali, che non danno possibilità di grattarsi. In dorgalese "assiolo" è metaforico per il membro maschile, usato come in italiano "uccello".
⁵ Lo stregone ha parlato. In realtà questa è una mia libertà linguistica, perché in sardo la parola si usa soltanto nella forma femminile.
⁶ Non gonfiarti (Non agitarti). Che ti possa vedere i piedi uscendo. Augurio di morte, quando si è sdraiati e si viene portati via, se la vista fosse ancora in uso ci si guarderebbe i piedi.
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