Parte 43 🔞

Tomasu aveva desiderato il potere tutta la vita ed era quasi arrivato a ottenerlo. Gli era stata data la stanza degli ospiti al castello Betzu, in giardino era tutto allestito e pronto per il suo matrimonio che stava per essere celebrato. La sorella della sua promessa sposa aveva dato alla luce pochi giorni prima una femmina. Se lui e Arianna avessero giocato bene le loro carte, il loro primogenito sarebbe diventato il nuovo Conte del Marghine e lui, in quanto tutore fino all'età idonea del figlio, avrebbe raggiunto la massima carica, superando anche quella di Antine. La contea sarebbe stata sua, tutti sotto il suo comando, soprattutto la flotta navale. Aprirono la porta senza bussare, era Antine.

«Quindi stiamo per diventare cognati, barone di Sindia», esordì il suo comandante.

«Per me è un onore, vice duca di Montresta, cognato», ammiccò lui, mentre cercava di sottomettere il bavero ribelle.

«Notizie dal porto?».

«Hanno setacciato le isole Poseidonie, ma nessuna traccia del pirata Giordi e dei suoi gonzi. Crediamo che possano nascondersi tra i fiordi della Contea di Anglona. Non mi meraviglierei di scoprire che siano al soldo del Conte di Chiaramonti. Se invece arrivano dal nord, temo sia improbabile riuscire a prevedere le nuove razzie, cugino. Dobbiamo riuscire a mettere le mani su uno di loro, uno soltanto, e non lo lascerò morire, finché non avrà rivelato tutto quello che ha da dire».

«Cognato, cugino, comandante, vice duca...» disse Antine, avvicinandosi a lui e sistemandogli il bavero. Poi riprese a parlare massaggiandogli con vigore la patta dei pantaloni e guardandolo negli occhi.

«Credo che abbiamo un po' di tempo per divertirci per l'ultima volta da amici. La prossima volta saremo legati da un vincolo familiare», intanto aveva aperto la patta e gli aveva estratto il membro dai pantaloni. Si inginocchiò e lo prese in bocca ancora flaccido. Tomasu sentì il sangue fluire all'istante raggiungendo l'erezione. Lo eccitava in maniera incredibile vedere il proprio fallo entrare e uscire dalla bocca del suo comandante, sottomesso a lui.

«Vacci piano ingordo, non vorrai vomitarmi sul vestito di nozze». Ogni volta arrivava il momento in cui, durante i loro rapporti sessuali, percepiva che poteva prendere il sopravvento; Antine gli cedeva il testimone a tempo determinato, giusto per la durata dell'atto. Parlare al suo superiore in quei modi, in qualunque altra occasione, sarebbe stato impensabile, ma negli anni aveva scoperto che Antine si eccitava quando era sottomesso. Tra loro vigeva il tacito accordo che in quei momenti i ruoli di comando potessero invertirsi.

Tomasu aveva iniziato a soddisfare i desideri sessuali di Antine quando erano ancora fanciulli. Un giorno gli aveva ordinato di spogliarsi nudo e lo aveva intimato di obbedirgli e fare tutto quello che avrebbe chiesto, altrimenti lo avrebbe fatto diseredare dal padre. Tomasu, di poco più giovane, aveva ubbidito, impaurito. Anni dopo, quando aveva capito che non avrebbe rischiato nulla, che Antine non avrebbe mai rivelato il loro segreto a nessuno dei genitori, perché sarebbe stato molto più sconveniente per lui che per Tomasu, ormai si era abituato a soddisfare i desideri del figlio del duca e ne provava piacere. Non aveva avuto esperienze simili con altri uomini, ma se fosse capitato non avrebbe disdegnato, purché fosse lui al comando. Comunque, preferiva di gran lunga le donne, e non vedeva l'ora di cavalcare e sottomettere la futura moglie.

«Non sperare che Arianna te lo sappia succhiare meglio di me», gli disse Antine con sua sorpresa, quasi gli avesse letto nella mente. Tomasu lo afferrò per la nuca e glielo rispinse in gola a forza.

«Abbassati i pantaloni, puttanella, ti faccio vedere cosa farò ad Arianna stasera».

Antine non se lo fece ripetere due volte, calò le braghe, fece in tempo a mettere poca saliva nelle parti intime, che Tomasu lo afferrò, lo sbatté sul comò e lo penetrò.

«Dimmi che sei la mia Arianna».

«Sono io, la tua Arianna, non quella sgualdrina, solo io».

«Chi è il tuo padrone?». Lo afferrò per i capelli e tirò all'indietro la testa di Antine mentre aumentava il ritmo dei fianchi.

«Tu sei il mio padrone, cosa vuoi che faccia, padrone?».

«Preparati a bere quello che sto per offrirti, servetta». Aveva quasi raggiunto l'orgasmo. Sul comò c'era un coltello, si immaginò di afferrarlo e graffiare la schiena di Antine, deturpare quel suo bel visino. Non avevano mai avuto screzi, ma Antine era sempre stato autoritario con tutti e Tomasu lo disprezzava per questo. Era un debole ed era ingiusto che dovesse ricoprire una posizione di comando soltanto per diritto di nascita. Si immaginava cosa avrebbero pensato tutti, vedendolo sottomesso in quel modo, implorando di essere sbattuto come una lavandaia. Presto le cose sarebbero cambiate e lui sarebbe stato al comando per davvero. Quel pensiero gli fece raggiungere il massimo godimento, estrasse il membro dall'orifizio di Antine, gli afferrò la testa per i capelli, lo voltò a forza e mentre il seme usciva glielo spinse in gola.

«Le ho portato il vino, la porta era...»

La cameriera si ammutolì, il vassoio le cadde di mano. Antine doveva aver lasciato la porta aperta. Tomasu si voltò, afferrò il coltello dal comò e lo lanciò con precisione chirurgica sulla giugulare della sventurata.

«Non bussate mai in questo posto prima di entrare nelle stanze altrui?» chiese ad Antine, che era rimasto pietrificato sul pavimento col suo seme in bocca. Lo vide deglutire, poi si alzò, si rivestì e si avvicinò alla cameriera.

«Potevi dirmelo che avevi ordinato il vino».

«E chi se lo ricordava?» Richiuse la patta e si guardò intorno. «Dobbiamo sistemare questo casino, adesso».

«Dobbiamo? Devi, vorrai dire. Ma prima hai un matrimonio da celebrare. Mettiti in ordine gli abiti, nascondila sotto al letto per ora, dopo ti occuperai del cadavere. Falla sparire o inscena un incidente, come ti pare, ma fallo appena la celebrazione sarà terminata». Antine aveva già ripreso il ruolo di comando, come al solito.

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