Parte 40

Era trascorsa l'intera mattina, Titione lo aveva portato in un luogo appartato, lontano dai rumori della festa. L'atterraggio aveva scombussolato nuovamente Elias, convinto che di lì a poco, avrebbe riproposto ai suoi occhi e a quelli di Titione, tutte le novità culinarie che aveva appena conosciuto. Titione gli aveva insegnato con pazienza i primi rudimenti del suonatore di launeddas ed Elias era stato un allievo appassionato. Aveva scoperto che suonare, non solo era un passatempo eccezionale, ma gli permetteva di schiarirsi la mente e liberarla da ogni pensiero. 

Titione raccontò che, quando aveva dovuto scegliere il suo elemento distintivo di fata, aveva optato per quello strumento d'impulso. La scelta lo aveva entusiasmato, ma si era rivelata un po' ingombrante, perché un orecchino, o un ciondolo, o un fiore sui capelli si possono portare sempre con sé; al contrario, le launeddas doveva ogni volta riporle, prima di trasformarsi in cavallo, altrimenti le avrebbe distrutte. «Questo comporta che, se la mutazione avviene in un momento improvviso, poi devo ricordarmi dove le ho lasciate. Non è proprio il mio forte».

«Beh da oggi, quando siamo insieme puoi lasciarle a me, le trasporto io per te».

«Non so quanto questo sarà possibile, il tempo che abbiamo ancora da trascorrere insieme sta terminando. Stasera dovrai prepararti, domani partirai per proseguire la tua ricerca e completare il Bronzo».

Elias riprese a suonare le launeddas, questa volta per quanto il suono fosse armonioso, aveva un retrogusto malinconico. Maimone li raggiunse, non trovandoli più alla festa, era venuta a cercarli. Si era fermata un attimo a sentire Elias suonare, poi aveva chiesto loro di seguirla. Stavano per iniziare il pasto principale e tutti insieme dovevano rendere grazie per il cibo a Madre Terra.

Dalla Terra offriamo nel Fuoco.
Divino è ciò che deve essere raggiunto
Da chi compie azioni relative al divino.
Diventando il fuoco vitale
nei corpi degli esseri viventi,
mescolandosi ai respiri sottili,
l'offerta è accolta e la Madre ringrazio.

Tutti mangiarono con calma, ringraziando, con un gesto di portare il cibo che stavano per ingerire verso la fronte, a mani giunte e occhi chiusi. Sembrava un rituale, Elias tentò di imitare i gesti delle fate; dopo qualche impaccio e imbarazzo iniziali, aveva sentito la potenza del ringraziamento dietro a quel piccolo gesto. Si accorse che Gologon lo osservava con tenerezza, sorridendo. Anch'egli le sorrise e la fata socchiuse gli occhi in cenno di assenso. Percepì una nuova sensazione, come se per la prima volta avesse la consapevolezza totale di sentirsi vivo e distinguesse lo scorrere della vita stessa. Maimone che sedeva accanto a lui, doveva aver intercettato il suo flusso di pensieri, perché prese a parlargli:

«Quando avevi creduto di saper gestire le emozioni, dopo esserti allenato con la pietra azzurra, hai in realtà imparato a gestire una emotività. La sensazione nuova che provi in questo istante, quella è un'emozione. Quella è la gioia. Non sono molte le emozioni che voi esseri umani potete provare, e quando arrivano, sono così intense e immediate che il vostro sistema deve mettersi a lavoro per poterle gestire. È qualcosa che non è controllabile da un punto di vista logico. Non puoi decidere di non provare schifo, se vedi qualcosa ripugnante; lo stesso vale per rabbia, paura, o tristezza.

Una volta che l'evento, causa di quell'emozione, ormai è trascorso, se tu continui a pensarci, a rifletterci, a rimuginarci sopra, ecco che puoi entrare in una miriade sfaccettata di emotività. Non puoi gestire le emozioni, devi accoglierle ogni volta che arrivano, come un dono. Sono le emozioni che ci fanno sentire vivi. Quello che puoi e devi imparare a gestire sono le emotività, quei ragionamenti furiosi che il tuo cervello mette in atto, in conseguenza all'azione che ti ha procurato l'emozione oppure per la mancanza di quell'emozione stessa. Solo uno sciocco o un avventato non avrebbe paura di un pericolo. Ma quando ti ritroverai di fronte a Marduk, saper gestire i tuoi pensieri e avere la mente lucida, viva, grazie a quella paura, ti permetterà di reagire con consapevolezza. Altrimenti potresti cedere a un'emotività come il panico, che potrebbe immobilizzarti; o come l'aggressività violenta e vendicativa, che ti porterebbe a fare mosse false di cui potresti pentirti o che potrebbero esserti fatali. Insegui le emozioni, ma cura la pace della mente».

                              *****

Stava per raggiungere il ragazzo che aveva notato in lontananza, alla fine della canzone, per chiedergli cosa sapesse del luogo in cui si trovavano e degli esseri che lo abitavano; ma lui aveva trangugiato qualcosa dal tavolo della colazione ed era sparito con quella specie di elfo che aveva suonato lo strano piffero. Così, ancora insonnolita, Thalàna, aveva fatto cenno al cugino di dirigersi con lei presso la tavola, per mangiare qualcosa.

Si era appena destata, non si ricordava molto di come fosse finita lì, ma si sentiva rigenerata. Era stata lavata, profumata, riposta su un giaciglio caldo e soffice. Si era svegliata sola e i suoi vestiti erano stati puliti, rammendati e riposti per lei su una sedia. Uscendo dalla camera aveva visto subito Jacu che doveva essere uscito da un'altra stanza poco prima di lei. Anche lui si guardava intorno, incerto, cercando di capire dove fosse e dove andare. Avevano seguito i suoni, assistito all'apertura della festa, guardato danzare quelle creature dai corpi flessuosi e seminudi. Dopodiché avevano consumato la loro colazione.

«La creatura che ha cantato, ho un vago ricordo di lei», disse Thalàna al cugino.

«È lei che ci ha trovati e ci ha salvati, portandoci qui. Si chiama Coarba».

«Coda Bianca. Se non fosse per quelle orecchie a punta e quei peli orripilanti dietro la schiena, direi che è bellissima».

«A me piace anche così, non mi tirerei indietro per i peli o le orecchie, se volesse fare due salti con me», disse Jacu mentre Coarba si avvicinava loro.

«Ma sentilo, lui!» Lo schernì Thalàna, «Lo so che "due salti" ancora non li hai mai fatti con nessuno, sbruffone».

«Il fatto che non l'abbia fatto con te, non significa che non l'abbia mai fatto.» e le fece vedere scherzosamente la lingua.

«Vi sentite meglio? Avete riposato bene?»

«Molto grazie», rispose Thalàna, «mio cugino mi ha appena detto che ci hai salvati tu. Non so come ringraziarti, credevo saremmo morti lì, di fame o di freddo».

«Ora mangiate ancora un po', ma senza esagerare. Riabituate il corpo al cibo. Mangiate l'indispensabile, le tavole saranno imbandite tutto il giorno. Stiamo festeggiando l'autunno, per noi fate è una ricorrenza molto importante, la festa durerà fino a stanotte. A più tardi». Andando via si era girata verso il cugino, gli aveva fatto un occhiolino e aveva detto «Se ancora nessuno te lo avesse detto, sappi che noi fate leggiamo nella mente». Si era voltata e sorridendo aveva proseguito per la sua strada.

Thalàna vide il viso di Jacu diventare paonazzo.

«Cosa intendeva?».

«Nulla, non credo di aver capito».

«Certo che hai capito, sei diventato rosso come i tuoi capelli».

«Quando Coarba ha detto che la festa sarebbe proseguita fino a notte, ho pensato che la notte l'avrei trascorsa volentieri con lei».

Thalàna avrebbe voluto scoppiare a ridere di lui, invece aveva strabuzzato gli occhi e se ne era andata camminando in maniera scattosa, con le braccia tese, le spalle sollevate e i pugni serrati. Si meravigliò di sé e della sua reazione, era gelosa del cugino? Di certo era infastidita dalla facilità con cui la fata esibiva le sue mezze nudità. Lei e Jacu erano sempre stati ottimi amici, la loro complicità non era stata eguagliabile in paese; ma dopo la furia che aveva invaso le loro vite, la fuga e il tentativo di sopravvivenza, la paura di perdere anche lui, di non poterlo proteggere come avrebbe voluto, stava forse trasformato il loro affetto in qualcosa di più profondo, senza che lei se ne rendesse conto? Lui sembrava il solito simpaticone, sbruffone, spensierato Jacu di sempre. Lei invece sentiva come se qualcosa l'avesse messa di fronte all'effimerità della vita. Come se non potesse più permettersi di perdere tempo; come se due giorni l'avessero maturata di dieci cicli. Doveva ammettere che la reazione istintiva appena avuta, andando via indignata e gelosa, aveva riportato la sua maturità a quella di una bambinetta.

«Buongiorno Thalàna» le disse un ragazzone dalla chioma e peli arancioni, che indossava un ciondolo a forma di fiore di corbezzolo.

«Buongiorno, scusami io non so il tuo nome».

«Sono Balidone. Ieri sera mi sono preso cura di Jacu, mentre mia sorella si prendeva cura di te».

«Grazie mille, mi spiace, non mi ricordo nulla, avevo perso i sensi, ma avrete sempre la mia riconoscenza e la mia gratitudine».

«I peli dietro alla schiena sono in corrispondenza del centro della nostra groppa, quando siamo cavalli e, visto che ti stai chiedendo anche questo, sì, ci trasformiamo in cavalli, siamo esseri fatati. Voi umani ci conoscete come Caddos Birdes anche se non siamo tutti verdi. Quando abbiamo la forma di cavallo, la nostra criniera e la striscia orizzontale sul dorso creano una croce. Hanno lo stesso colore dei capelli e della riga dorsale di quando siamo in forma di fata. E grazie, anche io ti trovo molto bella, Thalàna. A più tardi».

E con un inchino proseguì per la sua strada. Thalàna non aveva fatto in tempo a rispondere nulla. Lo seguì con lo sguardo; appena lui la superò, lei a disagio tornò a girarsi e sentì uno strano calore salire sul viso, come se si fosse riempito di sangue. La veste che copriva Balidone davanti, ornata da una lunga collana di corda con il ciondolo a forma di fiore di corbezzolo, non lo copriva altrettanto dietro. Era completamente nudo. Aveva visto altre fate durante la danza, maschi e femmine, praticamente nudi, ma i glutei e le spalle larghe di Balidone, dopo la conversazione, l'avevano imbarazzata.

Era tornata da Jacu e avevano trascorso il tempo a conoscere meglio il mondo delle fate, le loro abilità, il loro scopo. Thalàna aveva chiesto informazioni sul ragazzo di cui tutti parlavano, Elias. Aveva saputo che era destinato a scontrarsi e combattere contro chi aveva massacrato tutti al suo villaggio. Le sembrava impossibile che un ragazzo poco più grande di lei potesse affrontare degli uomini così forti e violenti, ma le avevano risposto che era l'erede della stirpe di Eleonora, il portatore del Bronzo e altri appellativi altisonanti, che solo lui avrebbe potuto farcela, era il predestinato. C'erano volute molte altre ore, prima che riuscisse a mettere insieme i pezzi e capire cosa tutto ciò significasse. 

Era giunta l'ora del pranzo quando rivide Elias. Afferrò Jacu e lo trascinò per andare a sedersi accanto a Elias, ma Balidone e Coarba avevano accompagnato lei e il cugino verso una tavola distante. Dovette armarsi ancora di pazienza e attendere, prima di poter parlare con lui. Era stata recitata una specie di preghiera, poi tutti iniziarono a mangiare. Osservò le fate ringraziare il cibo con dei gesti strani, anche Elias li imitava. Sembrava ben integrato, doveva conoscerli da molto tempo. Quando si accorse che lei lo osservava, Elias alzò per un attimo le sopracciglia e poi le sorrise. Aveva scambiato qualche parola con Maimone che gli sedeva accanto. A quanto Thalàna aveva capito, era lei che prendeva le decisioni in quel posto; poi si era alzato e si era avviato verso di lei e Jacu.

«Ciao, io sono Elias, come state?».

«Considerando tutto, non possiamo proprio lamentarci», aveva subito risposto il cugino. «Certo, se ci fosse da mangiare anche un bel cinghiale, un coniglio, una lepre, un tordo, una pavoncella, mi accontenterei anche di un colombaccio... ma niente, solo frutta e verdura. Questa roba proprio non me la riempie la pancia». Thalàna non sapeva se la causa fosse stata la sua faccia sbigottita per quanto il cugino mancasse di tatto e riconoscenza, oppure fossero state le parole stesse di Jacu, ma tutti, proprio tutti scoppiarono a ridere fragorosamente.

Elias spiegò loro che le fate rispettano la scelta degli esseri umani di nutrirsi di animali, ma finché la Terra, con generosità, offre frutti di cui posso nutrirsi, preferiscono non cibarsi di animali. Restituivano poi i semi alla terra, per permettere alle piante di proliferare, senza togliere la vita ad altri esseri viventi.

A Thalàna sembrò che ci fosse qualcosa di sensato in quel ragionamento, ma da come Jacu aveva storto il naso, non doveva pensarla allo stesso modo.

«Ho tirato con l'arco tutta la vita per cacciare, cosa dovrei fare ora secondo loro?» chiese Thalàna.

Balidone, che le sedeva accanto, aveva ascoltato la conversazione. Le rispose che non doveva sentirsi obbligata a smettere di cacciare, soltanto perché loro avevano scelto di vivere in quel modo. Allo stesso tempo non era obbligata a continuare a fare una cosa, solo perché l'aveva sempre fatta, per abitudine.

«Fino a oggi per te è stato utile cacciare, ti ha fatta arrivare dove sei, ti ha permesso di sfamare te e le persone care; oppure di commerciare con quella cacciagione. Se ora sentissi la necessità di cambiare, se il nostro stile di vita e le nostre motivazioni avessero fatto scattare in te una scintilla, dovresti permetterti di farlo; non restare radicata al passato. Al contrario, potresti aver compreso noi e i nostri modi, ma non condividerli, in quel caso non saremo noi a vietarti di continuare a cacciare. Ma ricordati di ringraziare l'essere vivente al quale togli la vita per nutrirti, prima di cibartene».

Elias aggiunse: «Per rispetto di queste creature che ci ospitano, mi sento di sconsigliarti di cacciare qui, nelle terre che abitano e proteggono; ricorda che anche le fate in alcuni momenti sono animali. Non sarebbe molto appropriato e rispettoso nei loro confronti».

«Non preoccuparti, non c'è rischio. Quando il nostro villaggio è stato distrutto e siamo riusciti a metterci in salvo, non ho avuto di certo il tempo di tornare a casa e prendere l'arco e le frecce».

«Anche tu sei un cacciatore?», chiese Elias al cugino.

«Io sono un pescatore, caccio in mare e nei fiumi», rispose Jacu.

«Diciamo che lui è un furfante», disse Thalàna ritrovando il buonumore, dopo quel breve momento di sconforto, ripensando alla sorte del suo villaggio.

Continuò a stuzzicare il cugino, «non gli piace perdere tempo a pescare, come gli altri pescatori, in barca. Lui se ne va a nuotare con i delfini e torna sempre con una rete piena di pesci, che ruba alle foche che vivono sull'isola di Lozzorai».

«Intanto prendo più pesci io di quanti mestoloni, pernici, ghiandaie, folaghe, frullini, gallinelle o tordi riesca a prendere tu». Rispose il cugino con fare burlone «E comunque io ho ancora voglia di cinghiale».

«Tu li hai visti in forma di cavallo?» chiese Thalàna a Elias.

«Certo, ho anche cavalcato con Thomes, quello laggiù seduto accanto a Maimone. Sembra di volare. Se vi dovesse capitare di volare con qualcuno di loro, attenti all'atterraggio e soprattutto fatelo lontano dai pasti». Balidone, Coarba e altre fate che ascoltavano la conversazione si misero a ridere di cuore, Elias si unì a loro. Titione si avvicinò e prese parte alla compagnia.

«Vi invidio molto, sarebbe bello poter correre liberi, come un cavallo», disse Jacu, «come vorrei essere anche io uno di voi, potermi trasformare in cavallo e correre via ogni volta che lo desidero».

«Beh, io potrei dirti che vorrei poter nuotare insieme a te con i delfini, invece ho paura di entrare nell'acqua dove non tocco con i piedi. Nessuno mi ha mai insegnato e da solo non sono mai riuscito a prendere coraggio», confessò Elias.

«Allora sta' sicuro che ti aiuterò, sono molto bravo a insegnare a nuotare agli altri. Imparerai in un battibaleno».

Detto ciò, diede una pacca sulla spalla a Elias, come per suggellare un accordo preso. Coarba in quell'istante aveva sorriso verso Jacu. Il cugino l'aveva notata e con un cenno di incertezza con il capo, spostando il mento da un lato, aveva risposto anche lui al sorriso. Thalana si ritrovò ancora una volta rósa dalla gelosia. Mangiando, conversando, giocando, danzando, si era fatto buio. La cena, simile al pranzo, con la differenza della presenza di alcune bevande calde, li aveva ristorati. Thalàna, Jacu ed Elias erano rimasti a conversare. Elias aveva raccontato loro i suoi ultimi giorni, come era arrivato lì, cosa ci si aspettasse da lui e perché. Lei e il cugino avevano ascoltato, riportato a loro volta le loro vicende. Il cielo si era riempito di lucciole e stelle, la cometa era comparsa. Poi era sorta una Luna piena gigantesca, come raramente si vedeva. Gologon aveva portato loro tre piccole sfere luminose, tutti insieme le avevano accompagnate con le mani verso il cielo e le avevano lasciate andare. Centinaia di piccole luci salivano al cielo, era uno spettacolo emozionante.

Quando avevano distolto gli occhi dal cielo ed erano tornati a guardarsi intorno, le fate erano unite, alcune a coppia, alcune in gruppi, alcuni in forma di fata, altri di cavallo, maschi con femmine, maschi con maschi, femmine con femmine, maschi con puledre, femmine con stalloni. Si accarezzavano ogni angolo del corpo, ogni parte con la stessa attenzione, si coccolavano, si baciavano, si penetravano. Un'alternanza di gentilezza e passione sfrenata. Jacu ed Elias erano esterrefatti come lei. Thalàna abbassò lo sguardo, vide che entrambi manifestavano un ingombrante rigonfiamento nei pantaloni.

«Credo sia arrivata l'ora per noi tre di andare a dormire. A domani».

Detto questo si voltò e, senza aspettare la loro risposta, andò a cercare la stanza in cui aveva dormito la notte precedente.

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