Parte 39 🔞

«Se doveste catturarne altri, lasciateli a noi, Tomasu saprà come farli parlare». Antine aveva convocato tutti i comandanti delle navi sotto la sua autorità. Erano sul ponte della Alguier, dovevano decidere una strategia per mettere fine ai saccheggi da parte delle navi guidate dal pirata Giordi.

«Anche i nostri uomini sanno come far parlare un corsaro». Era stato Antonistene a rispondere, svalutando il suo comando.

«Vieni, seguimi» gli ordinò Antine, «anche tu Tomasu».

«Mi perdoni sua signoria, non volevo contraddire sua...»

«Non preoccuparti, comandante, voglio farti ammirare il lavoro di Tomasu, così non ti permetterai di controbattere a un mio ordine la prossima volta». Il comandante della Aristanis aveva deglutito terrorizzato e senza proferire altra parola lo aveva seguito. Gli altri presero a parlottare, ma nessuno si azzardò a tallonarli. Antonistene avrebbe raccontato loro quello a cui stava per assistere e sarebbe bastato come monito per tutti. Dal boccaporto scesero sottocoperta, in una piccola cabina. Quando Antine spalancò la porticina un tanfo di carogna ne fuoriuscì. Entrarono e con le mani coprirono naso e bocca. Tomasu si avvicinò al tavolo dove si trovava qualcosa di simile a un animale squartato.

«Ti è venuto in mente qualcosa che vuoi raccontarci, oggi?», chiese Tomasu.

Nell'istante in cui Antonistene aveva compreso, un conato gli era salito e aveva vomitato, schizzando fin sulle calzature di Antine.

«Mi scusi, non volevo, mi scusi, le pulirò io stesso», aveva piagnucolato pallido. Poi, come incantato, era tornato a guardare nella direzione di Tomasu.

Sul tavolo c'era un corpo senza un braccio né genitali. Era rivolto a pancia in giù e Tomasu stava iniziando a graffiargli la schiena con un punteruolo, per poi passare subito un ferro rovente per fermare l'emorragia.

«Vi prego uccidetemi, ve l'ho detto non so niente di pirati», frignò quello.

«La tipa con cui te la stavi spassando in mezzo alla strada, fuori alla taverna chi era?», Tomasu gli avvicinò la punta rovente all'occhio destro.

Antine aveva capito che non avrebbe cavato nulla da quel poveretto, che si era trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con la compagnia sbagliata. Dimenava la testa sul tavolo per sfuggire al ferro incandescente. Colto da tremori convulsivi stava rispondendo:
«Non posso dirvi quello che non so, non avevo idea che fosse una piratessa. Potevate catturare lei al mio posto. Pietà, Uccidetemi».

No che non lo avrebbe fatto uccidere. Si stava dimostrando comunque utile, a modo suo, per far sfogare un po' Tomasu e per dare un esempio definitivo al suo sottoposto dalla lingua lunga.
«Se non può dircelo, allora non se ne fa nulla della bocca. Cucila, ma lascia un foro per nutrirlo. Tra qualche mese potrebbe essergli venuta voglia di parlare». Antine si rivolgeva a Tomasu, ma osservava le reazioni di Antonistene.

Tomasu iniziò a cucire tra loro le labbra della vittima, tra le urla soffocate del prigioniero. Antonistene fuggì via per vomitare all'esterno. Era il momento che raccontasse agli altri cosa aveva visto, cosicché nessuno dubitasse più del suo comando.

Antine guardava ammirato Tomasu che con perizia infilava e toglieva l'ago. La sua attenzione fu distratta quando la vittima, dal dolore, iniziò a perdere urina dall'orifizio che aveva al posto dei genitali strappati.

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