Parte 25

Elias passeggiava da mezza giornata. Era stato costretto a guadare il fiume un paio di volte, poiché non sempre la riva in cui si trovava era percorribile. Fuggito nudo dalla spiaggia dopo la carica delle foche si era prima accertato di non essere più seguito, quindi si era fermato in prossimità del bivio che lo avrebbe potuto riportare al suo villaggio.

Alla sua destra si apriva un sentiero abbastanza agevole, percorso così tante volte con la nonna fin dalle sue prime stagioni. La tentazione di imboccarlo non era forte; la sua vita ormai non sarebbe continuata a Nuova Calagon, non aveva ragione di indugiare. Soprattutto non voleva permettere a se stesso di abbandonarsi alla malinconia.

Esercitarsi con le pietre gli aveva insegnato a gestire le intenzioni, le intensità in una maniera minuziosa, con un controllo che non credeva possibile. Funzionava anche con le sue emozioni.

Si era vestito e aperta la borsa, aveva sistemato il bronzo e le pietre nel sacchetto; poi lo aveva riposto nella tasca destra dei pantaloni. Sentiva che doveva tenere l'amuleto più vicino possibile a sé, sia per protezione che per facilitarne la presa in caso di esigenza. Rivolgendosi di nuovo in direzione del fiume aveva ripreso il sentiero che costeggiava la riva, risalendo a monte, verso ovest.

Era giunto su un piccolo altopiano dal quale poteva ammirare le montagne tutto intorno a sé: non era mai arrivato così distante da Nuova Calagon. Di fronte a lui iniziava la catena dei grandi Monti Bianchi, alla sua sinistra la strada riprendeva la discesa verso il mare.

Intravedeva un villaggio a valle, lungo la costa. Doveva trattarsi di Porto Tàlana, quindi quello doveva essere il golfo di Ogliastra. Aveva sentito parlare di Porto Tàlana da un venditore ambulante che a volte raggiungeva il suo villaggio per vendere oggetti saccheggiati dalle città fantasma, dei quali nemmeno lui conosceva l'utilizzo. Capitava che proponesse anche variopinti tessuti dalle epoche andate. La nonna ne comprava volentieri per cucire vestiti per entrambi, com'era successo con la mantella che indossava. Era il regalo per il suo diciottesimo ciclo: una cappa, con il cappuccio e alcune tasche interne, grigia con raffinate finiture sui bordi. Alla sua destra vedeva le montagne che costeggiavano il fiordo. Riconobbe in fondo a esse il Monte Tulu dalla caratteristica forma a punta che svettava sui monti intorno. Se avesse camminato lungo la loro cresta, in direzione nord, sarebbe ritornato a casa. Dando le spalle al sentiero da cui era arrivato e spostando lo sguardo a destra poteva ammirare la grande crepa della montagna, il canyon di Gorropu.

Era la prossima meta del suo viaggio; lì avrebbe trovato la terza pietra del talismano. La gola non sembrava distante, ma era esausto dalla camminata. Era già l'imbrunire, decise quindi di ristorarsi un po'.

Mangiò qualcosa dalle provviste e accese un piccolo fuoco. Si mise a osservare le stelle, cercando di immaginare cosa fossero tutti quei puntini. Si divertì a riconoscere gli strani disegni nella volta celeste che si ripresentavano con regolarità ogni ciclo.

Quando una nuvola si dileguò, vide per la prima volta nella sua vita una manifestazione celeste incredibile: una stella che si muoveva lentamente nel cielo, seguita da una scia. Somigliava a una delle stelle cadenti che si osservavano in grande numero nella stagione calda, ma questa si muoveva al rallentatore. Era una delle cose più incredibili alla quale avesse mai assistito nella sua vita. Si sedette sotto un leccio e in un attimo si assopì, stremato.

Nel sonno percepiva una sensazione di angoscia, soffocamento, come un'oppressione. Quando arrivò a sentirsi strangolare, le pietre vibrarono ed emisero calore nella tasca dei suoi pantaloni. Destatosi di colpo, si era ritrovato con un uomo di bassa statura, barba molto lunga e incolta, sopracciglia unite, occhietti vispi e un berretto in testa che lo stava tenendo per la gola. Emanava una puzza sulfurea insopportabile e tentava di strozzarlo nel sonno, premendo con le manine tozze. Se Elias non si fosse svegliato con l'aiuto delle pietre, l'ometto forse sarebbe riuscito nel suo intento.

Con un agile movimento Elias riuscì a divincolarsi. L'assalitore si lanciò in fuga, ma il giovane con un balzo lo atterrò e lo immobilizzò col peso del suo corpo.

«Chi sei? Che vuoi da me?», chiese il ragazzo, strizzando il viso per non morire dal fetore.

«Lasciami, lasciami, lasciami, lasciami, lasciami...» prese a piagnucolare l'ometto. «Io no cattivo, no male, io fame, borsa ricca, roba buona, lasciami, tu fa male a Dori, Dori no cattivo».

«Quindi ti chiami Dori?»

«Ammutadori nome me, ma luuuuuuuuuungo, lungo, lungo. Io preferisce Dori».

«E ti sembra gentile aggredire un viandante stanco e addormentato, strangolandolo solo per un po' di cibo?»

«Dori molta fame, no molto cibo qui».

«Dentro la borsa, a parte un po' di pane, è rimasta solo frutta che ho raccolto oggi dagli alberi e acqua nella borraccia riempita poco fa al fiume. Potresti raccoglierti il cibo dagli alberi invece di andare in giro a uccidere la povera gente?»

«Dori moooooolto corto, no arriva alberi, frutta caduta sempre marcia, fichi guasti, corbezzoli schiacciati. Arrampicare mooooolta fatica per silvano come Dori. Albero pere basso ma spine zack. Uccidere te facile. Dori poi mangia, silvano felice».

«Quindi tu sei un... silvano?»

«Si certo, Dori silvano, qui tu Genna Silvana».

Elias si guardò intorno, quel nome gli era familiare, ma quando ne aveva sentito parlare dagli uomini alla taverna del villaggio, si era fatto un'idea tutta sua a riguardo: "genna" era un modo diverso di dire "porta", quindi lui si era immaginato una grande entrata in legno per accedere alle "selve", tipo "la porta per le foreste". A quanto pareva invece era l'ingresso per il piccolo regno dei silvani. Mentre ragionava, scorse un albero di pere selvatiche, sembrava non ci fosse nessun altro in zona, a parte loro due.

«Allora Dori, facciamo un patto: io ti raccolgo delle pere. Tu non solo non mi uccidi mentre dormo, ma rimani a guardia e controlli che non mi aggredisca nessun altro. Che ne dici?».

«Sì, sì, sì a Dori piace patto, Dori moooolto contento, affare fatto, Dori mangia Dori protegge».

Elias raccolse tutte le pere a portata di mano e le diede a Dori. Il silvano iniziò a trangugiare come se non avesse visto cibo da giorni.

«Dori, io mi chiamo Elias. Allora abbiamo un accordo». Detto ciò gli porse la mano che però Dori non strinse, era troppo impegnato a mangiare e tenere strette a sé tutte le pere guardandosi intorno, come se qualcuno potesse arrivare e rubargliele.

Elias tornò a dormire non prima di assicurarsi che Dori avrebbe mantenuto la promessa. Non si fidava un granché, ma almeno era sicuro che l'ometto non fosse più affamato.

Si mise la borsa come guanciale per essere sicuro che non gliela portasse via nel sonno e osservando la stella con la lunga scia, cadde in un sonno profondo.

Quando l'aurora giunse e con essa il mattino seguente, non fu la luce a svegliarlo, ma un vocio fastidioso, come di qualcuno che stesse litigando sottovoce. Ci mise un po' a ricordarsi dove fosse e di Dori, finché riconobbe la sua voce.

«No pere mie».

«Tu da pere a noi».

«No, pere mie».

«Noi uccide lui».

«No, io promesso lui protegge».

«Allora tu da pere a noi».

«No pere mie».

Chissà da quanto proseguiva quella diatriba. Attorno a Dori c'era una cricca di omuncoli, evidentemente tutti silvani. Forse una era una silvana, ma Elias non poteva esserne sicuro, tanto fosse brutta e barbuta; preferiva non indagare. Litigavano con Dori per le pere. Elias sbadigliò, si stiracchiò, poi si avvicinò al gruppetto. In un attimo si dileguarono tutti nei cespugli di lentischi, tutti a parte Dori.

«Buongiorno Ammutadori, che succede?»

«Dori bravo, mantenuto promessa, tu no morto», disse l'ometto. Poi si girò a guardare tra i cespugli in direzione dei compagni digrignando i denti. Elias sorrise, tornò al pero e raccolse tutti i frutti rimasti sull'albero. Ne diede alcuni a Dori.

«Questi per la tua fedeltà».

Le altre pere le avvicinò al cespuglio, le mise a terra e disse «Se vi decidete a venire fuori, queste sono per voi».

Occhietti vispi con sopracciglia folte e unite in un'unica striscia iniziarono a sbucare tra i rami delle fronde; poi tutti accorsero verso le pere e iniziarono ad abbuffarsi. A quella vista Elias sentì un po' di acquolina in bocca. Andò alla sua bisaccia, prese dei fichi che aveva raccolto alla spiaggia delle Foche e li divorò con l'ultimo pezzo di pane che gli aveva dato la nonna. Sorrideva divertito guardando quegli esserini, gioiosi come se ci fosse una festa.

La sua attenzione fu distolta, del fumo saliva da sud-est. Si avvicinò alla cengia per guardare la baia sotto di lui. Il fumo proveniva dal villaggio sul mare. Porto Tàlana andava a fuoco, al molo erano ferme due imbarcazioni, una delle quali salpava in quel momento.

Richiamò l'attenzione della comitiva di silvani, sperando che potessero dargli una spiegazione, ma quando fece loro cenno di guardare in basso, alla vista del villaggio in quelle condizioni, cominciarono a urlare e disperdersi.

«Fuoco, pericolo, pericolo...» In un battito di ciglia svanirono tutti tra gli arbusti.

Elias era costernato. La curiosità lo assaliva, ma non poteva approfondire la questione. La sua missione lo portava nella direzione opposta. Così diede un ultimo sguardo al villaggio in fiamme e, accompagnato da un senso di impotenza che gli aveva provocato un po' di malumore, si avviò verso il canyon.

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