Parte 20

Riveriamo la Dea, la più somma delle dee
Che ognuno onori la signora dei popoli, la più grande degli Igigi.
Madre di saggezza, signora di maestà,
alla regina degli dèi, nelle cui mani sono consegnati i poteri.

Signora di Ninive, il fato di ogni cosa lei tiene nella sua mano.
Colei che stabilisce i decreti, dea dell'universo,
signora del cielo e della terra, che riceve le preghiere,
che ascolta le suppliche e i sospiri,
dea misericordiosa che ama la giustizia,
Ishtar, tutto ciò che è corrotto l'addolora!

Al suo sguardo si crea la gioia,
potere, magnificenza, la divinità protettrice e gli spiriti guardiani.
Che sia schiava, ragazza, sposa o madre, lei preserva
colei che la chiama, colei fra le donne che nomina il suo nome.

Coi suoi ordini lei ha assoggettato Anu.
Le quattro regioni del mondo ai suoi piedi
e tutte le genti
ha deciso di attaccare al suo giogo.

Guardami, o signora, Io sono tua servitrice,
volgiti lieta al cuore supplice,
che senza sosta offre sacrifici,
che ha fondato il tuo culto e adorna il tuo santuario.

Mia dea, signora della gioia, tu brilli. La forza scorre dal tuo cuore perfetto.
Mia dea, regina degli amori, i tuoi occhi sono incantevoli.
Lascia che il tuo vigore e la tua passione emergano dal tuo sguardo,
e che tutti i popoli, amata Ishtar,
vedano il tuo amore eterno e così si rallegrino.

Terminato l'inno Rianna chiuse gli occhi e ascoltò il respiro. Era pronta ad affrontare le prove, pronunciare il voto e conquistare il suo brandistocco. Accanto a lei osservava i volti delle consorelle, alcune concentrate, altre trepidanti o intimorite. Anzùla era fuoco liquido, fremeva e i suoi muscoli erano tirati. Rianna al contrario stava cercando di conservare la quiete della meditazione notturna. Intorno al cerchio delle iniziate, altrettante sacerdotesse. Fecero un passo avanti e ciascuna di loro sussurrò qualcosa all'orecchio della novizia che spalleggiava.

«Recati alla valle delle formiche volanti».

Il momento era giunto. La prima prova aveva inizio. Rianna osservò le altre: alcune si avviarono correndo, altre camminando, ognuna verso una diversa direzione. Decise che non aveva fretta, non era richiesto un limite di tempo per affrontare le prove, non otteneva ricompense se le portava a termine per prima. Si incamminò nella direzione che reputava corretta. Non esisteva un luogo noto come "Valle delle Formiche Volanti", ma Rianna sospettava di conoscerne l'ubicazione.

Mesi prima, durante una delle sue fughe nella natura, era giunta in una magnifica radura verdeggiante. Il sole del tramonto la illuminava di colori caldi, i fiori di papavero e lavanda coloravano il prato verde. Nel momento in cui gli zoccoli del suo destriero erano partiti al galoppo nella vallata, l'aria si era riempita di minuscoli esseri volanti, troppo grandi per essere moscerini, troppo piccoli per essere mosche. La sua cavalcatura, infastidita dagli insetti, aveva puntato le zampe al terreno per bloccarsi. Rianna aveva smontato da cavallo e nell'istante in cui i suoi piedi avevano toccato terra, gli animaletti avevano smesso di volare ed erano tornati a terra. Osservandoli da vicino riconobbe in loro formiche dotate di ali. Decise di dirigersi verso quella vallata, che distava un'ora circa di cammino da Tamuli.

Giunta a destinazione stentò a riconoscere il luogo. Adesso rigogliosi cespugli di cisto bianco e rosa coloravano il paesaggio, ma la radura era avvolta da una leggera foschia mattutina. Attraversandola, nessuna formica prese a volare e Rianna fu presa dal dubbio di non aver seguito la giusta intuizione. Al termine della radura scoprì un ruscello che non aveva scorto la volta precedente. I cisti ora si alternavano a cespugli di rovi e di oleandri. Fece un bel respiro, chiuse gli occhi e si lasciò guidare dall'istinto.

Si avviò su un piccolo sentiero che risaliva il torrente verso la sorgente. Gli alberi sembravano fantasmi. Presto gli oleandri formarono un tunnel con i rami; la bruma si infittiva e nel momento in cui giunse alla fine del corridoio di piante era così infittita che sollevando la mano di fronte a lei non riusciva a vederla, celata dalla nebbia. Doveva trovarsi dentro una nuvola scesa in terra.

Udì un lamento di bambino e vide un bagliore nella caligine nella stessa direzione da cui proveniva il suono. Si avviò a tentoni, non riuscendo a vedere dove poggiava i piedi e raggiunse una capanna. L'uscio era aperto, la luce proveniva da un caminetto acceso, la nebbia fluiva all'interno dalla porta spalancata.

Seduta a un telaio una donna enorme, come non ne aveva mai viste, stava tessendo... i suoi capelli?!

La donna si voltò a guardarla, il suo sguardo era affascinante, i lunghi capelli biondi attraversavano il telaio e ne fuoriuscivano tessuti dorati.

«Buongiorno bambina, entra», la invitò la donna, proseguendo a pigiare col piede il pedale del telaio cigolante. Rianna era inquieta, non capiva perché si trovasse lì.

«Scusate signora, credo di essermi persa per colpa di questa foschia. Ho udito il suono di un bambino e seguendolo sono giunta a voi».

«Chi è stato a farsi sentire dalla bella signorina?» Con un gesto della mano della donna, la nebbia scomparve all'istane dall'abitazione. Tra le meraviglie di gioielli, tessuti dorati, monete e stoviglie preziose Rianna vide una gabbia con due bambini all'interno.

«Sei stata tu, piccina?» chiese la donna mentre il suo naso diveniva più grande, pieno di verruche. «Oppure tu?», e intanto la sua pelle prese a raggrinzirsi.

Rianna si ritrovò paralizzata, non capiva cosa stesse succedendo davanti ai suoi occhi. Concentrazione!

Fece un profondo respiro e si diresse nella direzione dei bambini, tenendo lo sguardo fisso sulla donna col volto ormai deturpato. Era calma e all'apparenza innocua, impossibilitata a spostarsi dalla capigliatura incastrata nel telaio. I capelli ora crescevano argentati e il telaio stava intrecciando una specie di maglia d'argento.

«Chi siete? State bene? Da quanto vi tiene qui?»

«Ti prego aiutaci, uccidi Mangrova e salvaci», implorò la piccina.

«Guardate che sono qui, vi sento anche io», disse la megera.

Rianna si guardò intorno in cerca di qualcosa da utilizzare come arma per mettere la strega fuori gioco. L'altra incurante seguitava a tessere.

«Cosa cerchi bambina?» le domandò.

«Posso prendere un bicchiere d'acqua», chiese Rianna, augurandosi che facendola conversare potesse distrarla. Intanto sperava che avvicinandosi al lavello avrebbe trovato un coltello o qualcos'altro da utilizzare per attaccare.

Gli eventi stavano prendendo il sopravvento, non riusciva più a ragionare, si lanciò verso il lavello, afferro un bicchiere, lo ruppe e col vetro tagliente si avvicinò al telaio.

«Sei sicura della tua decisione, bambina?», disse la donna tornando alle sue fattezze iniziali. «Oppure hai perduto la tua concentrazione?»

Quella parola... Rianna stava affrontando le sue prove, il nemico aveva scelto di dire proprio "concentrazione" o era un caso? Si bloccò, un profondo respiro e riprese a osservare la stanza.

Nulla le sembrava differente dalle prime impressioni. Poi spostò l'attenzione sui bambini imprigionati. Il maschietto nel momento in cui lei si era voltata a guardarlo aveva tolto un ghigno dalla faccia e aveva assunto un'espressione affranta, ma Rianna aveva fatto in tempo a notarlo.

Si avvicinò alla gabbia e osservò meglio i bambini. Orecchie larghe e pelose uscivano dai loro capelli, la bambina tentò di nasconderle, ma quando si sentì rivelata, tolse lo sguardo contrito dal volto e le sorrise. I suoi denti erano quattro file acuminate di spunzoni. Rianna si ritrasse di scatto inorridita. «Esatto bambina, concentrarti è alla base delle tue mansioni. Mai fermarsi alle apparenze o alle prime impressioni, concentrati sempre e raccogli tutte le informazioni possibili prima di agire».

«Chi sono queste creature?».

«Sono Pundacci, si nutrono di cadaveri e non li vorresti come amici».

«Nelle storie di nonno Fine era una vecchia strega che rispondeva al nome di Mangrofa che si cibava di cadaveri», rispose Rianna confusa.

«Ho trascorso la mia vita a cacciare Pundacci, sono stata ricompensata con tutte queste ricchezze di cui non mi faccio nulla. Le accumulo, nascondo tesori nelle grotte quando non ho più spazio all'interno della mia capanna. È capitato che cacciando questi esseri abominevoli sia stata scorta nei pressi di alcuni cadaveri e la gente ha creduto che fossi io a cibarmene. Adesso hai superato la tua prima prova, hai usato la concentrazione e hai scelto di non uccidermi. Per ringraziarti puoi scegliere qualunque cosa tra i miei tesori».

«Non è necessario, grazie, non ho bisogno di nulla. Se supererò tutte le prove farò voto di povertà e non potrò possedere ricchezze».

«Sei sicura?», insistette Mangrofa.

Rianna guardò ancora una volta intorno a sé. Solo allora notò che sul telaio era impressa la stella a otto punte, simbolo della Dea Ishtar. Spostò lo sguardo sulla sua ospite che sorrise alla sua presa di coscienza. La stella era impressa anche su un candelabro, una coppa, alcune monete, era ricamata su alcune vesti dorate; ma Rianna non aveva bisogno di quei beni. Poi in un angolo intravide un bastone di betulla. Si avvicinò, lo prese tra le mani. Sulla base era scavato il simbolo della Dea con un taglio al centro.

«Forse potrei avere bisogno di questo», disse Rianna, scambiando un sorriso di ringraziamento e riconoscenza con Mangrofa.

«Forse...», rispose restituendole il sorriso. «Buona fortuna bambina, quando sarai di nuovo alla valle delle formiche, segui gli orecchioni. Non posso dirti altro, benevola sia la Dea con te».

«Grazie ancora, benevola sia la Madre», le rispose Rianna, con la formula delle sacerdotesse di Ishtar.

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