Parte 13 🔞
Marianna era profondamente arrabbiata con se stessa. Mai avrebbe dovuto permettere che la sorella intercettasse la sua debolezza, scoprendo i lividi che il marito le aveva procurato durante la notte.
La realtà era che tra lei e quell'uomo meschino non esisteva nessun tipo di affetto, né rispetto. Anzi lo odiava, non ne desiderava la morte, solo perché non sarebbe dovuta avvenire prima della nascita di loro figlio, ma i progetti a riguardo erano già concepiti. Lo avrebbe avvelenato attraverso il vino che tanto amava. Avrebbe svuotato qualsiasi coppa senza farsi lo scrupolo di assicurarsi di non incorrere in qualche tipo di pericolo.
Marianna non avrebbe agito in casa, non era così ingenua. Aveva già adocchiato un capitano che accompagnava sempre il marito nei suoi viaggi. Lo avrebbe sedotto senza difficoltà e avrebbe commissionato a lui l'omicidio.
La notte delle nozze aveva bevuto così tanto da non reggersi in piedi. Era crollato a dormire, senza riuscire neanche a togliersi i vestiti, Marianna ne era stata sollevata. Poi durante la notte si era svegliato, l'aveva violentata, picchiandola e premendole la testa contro il cuscino, tanto che lei aveva creduto che la stesse soffocando. Era sopravvissuta perché nel giro di qualche instante il marito aveva concluso l'atto; non aveva grandi doti amatorie e non resisteva molto prima dell'orgasmo.
Marianna era riuscita a riprendere fiato all'ultimo momento, annaspando e non aveva ceduto a lamentele o piagnucolii, non gli avrebbe mai dato quella soddisfazione. Mentre lui giaceva esausto, si era alzata dal letto, aveva deterso il corpo in maniera accurata. Poi aveva preso il coltello da frutta da sopra la madia e si era avvicinata al corpo nudo del marito dormiente, puntando il coltello ai genitali. Nel sonno ebbro lui aveva gemuto, Marianna aveva voltato la testa, fredda in volto, per controllare che non si fosse svegliato. Vedendo la vena pulsare nel collo, aveva poggiato la punta della lama sul rigonfiamento e premuto leggermente.
Dopo un attimo di esitazione, aveva ritirato la mano, riposto il coltello sul mobile ed era tornata a coricarsi accanto al marito. Non era ancora il momento di liberarsi di lui, doveva fornirle un figlio maschio.
Il giorno dopo la prima notte di nozze era livida ovunque, aveva preferito non uscire per quasi una settimana dalla stanza per non farsi vedere. Si era annunciata malata; solo la cameriera che le portava da mangiare aveva saputo. Marianna l'aveva minacciata di morte in caso avesse aperto bocca con chiunque. Il marito era sparito per giorni.
Quando tornava, si tratteneva sempre per una notte o due al massimo. Lei aveva saputo di essere in attesa; quando glielo aveva comunicato, aveva festeggiato prendendola da dietro, versandole vino sulla schiena e picchiandole gambe e natiche.
Da allora ogni volta che tornava, si ripeteva lo stesso rito. Non riusciva a capire perché un uomo così affascinante necessitasse tutto quel vino e quella violenza per giacere con sua moglie; ma in fondo Marianna non se ne preoccupava, non avrebbe dovuto sopportare ancora per molto quella situazione. Considerando il risultato che aveva previsto, valeva la pena resistere ancora un po'.
Appena il figlio fosse nato, avrebbe fatto fuori prima il marito, poi senza aspettare troppo avrebbe tolto di mezzo anche il suocero. A seguire avrebbe rispedito quell'arpia della suocera al suo paesello, doveva sopravvivere per soffrire della sua sorte e vedere il governo della contea passare nelle mani della nuora, come reggente e tutrice del piccolo erede. Con l'aiuto della madre, avrebbe governato fino a che il bambino avesse raggiunto la maggiore età.
Aveva già anche deciso il nome, l'avrebbe chiamato Mariano, come il conte del passato dalla quale la famiglia di sua madre discendeva. Lei si chiamava Marianna in suo onore. Per le altre figlie i genitori non si erano ingegnati troppo: avevano semplicemente pensato di eliminare la lettera iniziale dal nome della figlia precedente. Quando era nata Rianna, Arianna parlava a mala pena. Marianna era ancora una bambina e si ricordava di aver detto alla madre:
«Mamma quando nascerà la prossima non la chiamerete Ianna, vero? Significa "porta"».
La madre aveva risposto che non sarebbe stato un brutto nome, perché significa anche "fata". Il padre invece era stato incisivo dicendo che il successivo sarebbe stato senza dubbio un maschio. La madre tuttavia non era mai più riuscita a terminare un'altra gravidanza.
«E invece di maschi non ne avete più fatti. Come hai osato morire e abbandonarci? Non ti sei preoccupato della condizione a cui ci avresti destinato? Senza un figlio a prendere il tuo posto, quale poteva essere il nostro futuro? Tocca a me occuparmi delle sorti della famiglia, sopportando quel mostro e i suoi genitori, mentre tu non sei altro che polvere».
Marianna era scesa nella cripta a sfogarsi con la statua del padre di quello che aveva subito durante la notte, come faceva ogni volta che Antine rientrava al castello. Quelle orecchie di pietra erano le uniche a cui concedeva il privilegio di ascoltare le sue lamentele. Solo al padre imputava la colpa della sua sorte, solo la sua statua poteva udire la sua infelicità.
«Non dovevi morire. Il grande Conte, che non è riuscito a fare un maschio e si metteva i fiori sui vestiti» lo accusò con astio «ci hai lasciate in balia di quegli zotici marinai, ma ti giuro che cambierò tutto. Riporterò questo castello sotto il nostro comando, non per te, non per la tua stirpe. Lo farò per me e per mio figlio». Dicendo quello l'occhio le cadde su un rametto di mughetto appena reciso e deposto sulle mani della statua. Lo afferrò, lo strappò, lo gettò a terra e lo calpestò. Poi andò in giardino, con le mani nude strappò dei rami di rovo. Non si accorse del sangue che prese a scorrerle sulle mani. Tornata nella cripta mise i rovi intorno al collo della statua.
«Eccoli i fiori che ti meriti».
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