Uno sguardo al Palantir
"Figlio mio, è giunto il momento nel quale saranno poste alla prova per la prima volta le tue capacità di giudizio, e i tuoi desideri inconsci troveranno modo di sembrare reali ai tuoi occhi. Sono la tua mente e il tuo cuore pronte ad affrontare tutto questo? Non agirò se il tuo parere sarà contrario".
Erfea, all'epoca capitano della cavalleria di Tar-Palantir, nonostante la giovane età, chinò il capo e rispose adoperando tali parole: "L'uomo che teme il confronto con la sua parte oscura dovrà sempre temere sé stesso più di ogni altro nemico, fosse esso anche il Signore di Mordor".
"Sagge sono le tue parole, figlio di Numenor, ma ancora non conosci la forza del tuo animo e molto temo tale prova".
Erfea, intuito il disagio del padre, si premurò di rassicurarlo: "Che io lo voglia o meno, tuttavia la prova del confronto avverrebbe comunque; sarebbe meglio per me affrontarla adesso, ché il mio animo non è ancora provato dalle tensioni e dalle fatiche."
Gilnar lo stette ad ascoltare, quindi severo gli rispose: "Non credi dunque che quelle stesse fatiche potrebbero fortificarti, piuttosto che indebolirti? Non ritieni più opportuno attendere che esse ti forgino, piuttosto che ardire di superare la prova, pur privo di sufficiente maturità? Se tu così facessi, ti comporteresti come un guerriero che si rechi in battaglia senza la sua spada, come un marinaio che si avventura in mare aperto privo della sua bussola e del suo sestante.
Non rifletti sull'eventualità che nulla di quello che ti apparirà possa esserti palese? Oscuri sono i disegni del fato e ben poco possono gli uomini contro di esso."
"Ma la dignità dell'uomo, padre, consiste nel saper dominare e accettare le proprie debolezze: solo in tal modo è possibile infatti arrestarne la forza subdola" ribatté Erfea.
Quali fossero i timori di Gilnar, e perché si opponesse con tanta veemenza a suo figlio, non è dato sapere; tuttavia egli prese con sé il giovane erede degli Hyarrostar e lo condusse nella sala ove era riposto il Palantir.
Dopo aver fissato per alcuni attimi l'imponente colonna sulla cui sommità troneggiava la sfera, Gilnar alzò lo scuro drappo di velluto che la occultava, impedendone l'uso: repentinamente il Palantir si illuminò di luce propria, rischiarando per breve tempo l'intera sala; tosto, quindi, il barlume si affievolì e solo un barlume continuò a splendere nella fitta oscurità. Dopo aver atteso che la luce della sfera si fosse attenuata, Gilnar sospirò: "Questo, figlio mio, è il più potente fra gli artefatti con cui gli Eldar di Valinor hanno ricompensato i nostri padri, perché potessimo sorvegliare la Terra di Mezzo di cui gli dei ci proclamarono paladini. Queste furono le parole che pronunciò Eonwe, l'araldo di Manwe: "Elenna, l'isola sorta dal Belagaer, sarà da questo momento in avanti la dimora delle tre case degli Edain; tuttavia gli dei non desiderano che nel vostro cuore i ricordi del passato vengano obliati e di essi non si tramandi più memoria alcuna.
A voi, secondogeniti, è affidato il compito gravoso di custodire la memoria dei Tempi Remoti, affinché possa essere evitato in futuro il gran male che è stato ora sconfitto.
Vigilate attentamente, uomini di Numenor, ché il seme avvizzito di Morgoth la terra oscura cela ancora e i suoi frutti non tarderanno a maturare: le Palantiri che il popolo degli Eldar realizzarono in tempi lontani vi saranno d'aiuto in questo gravoso compito. Possa la luce di Aman diffondersi tra voi e da voi essere onorata e amata".
Tacque allora Gilnar, come se la sua memoria andasse a quei tempi ormai obliati. "Un palantir – proseguì – fu affidato alla nostra casata, affinché la conoscenza degli eventi passati, presenti e futuri, fosse adoperata per un giusto scopo. Osserva ora, giovane Numenoreano, e sii libero di scorgere quanto la tua mente e il tuo cuore desiderano".
Silenzio si fece allora in tutta la sala e parve che solo le stelle brillassero nell'oscurità che su tutto si estendeva: dapprima opache, in seguito chiare e splendenti, infinite luci presero a vorticare all'interno della sfera, quasi che fossero un riflesso delle loro remote sorelle che illuminavano la volta del cielo; eppure così non era ed esse si fusero, finché una candida luce invase tutta la superficie del globo. Infine Erfea sfiorò l'antica superficie del Palantir, con le dita intirizzite dal freddo gelo che sembrava regnare sovrano in quella sala, e diverse immagini dapprima lentamente poi repentinamente, presero a vorticare all'interno del globo, rivelando storie dei Tempi Remoti ; il principe Dunadan osservò in tal modo la cattura di uno dei Silmaril dalla corona ferrea di Morgoth ad opera di Beren e Luthien, la caduta di Gondolin, l'arrivo di Earendil durante la guerra d'Ira e numerosi altri eventi che le leggende non hanno tramandato.
In seguito, Erfea mirò la rovina del Belagaer, il ritorno degli eserciti degli elfi e dei Maiar a Valinor e la creazione dell'isola del Dono. Numerose immagini si susseguirono ed Erfea credette di riconoscere finanche la sua figura tra quelle che il suo sguardo aveva osservato; infine il Palantir gli mostrò quello che sarebbe accaduto in tempi futuri. Molto, Erfea detto il Morluin, apprese da quanto scorse nella sfera, ma di tali visioni non è stato tramandato ricordo, affinché quello che il globo aveva mostrato non potesse influenzare il libero arbitrio dei Popoli Liberi. È stato detto che quanto il Palantir mostri, corrisponda a verità; tuttavia, le sue immagini potevano essere confuse e fraintese da coloro che non avessero avuto sufficiente sapienza per comprendere quali eventi volessero rappresentare: la sfera, infatti, non narrava alcunché su quanto mostrava e l'incauto osservatore avrebbe potuto ricavare anche indicazioni errate dalle visioni che gli si offrivano.
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