Una breve Primavera

La mattina seguente, svegliatosi all'alba, Erfëa si diresse con passo incerto, ché contrastanti erano in lui i pensieri, verso il bianco cancello, con la speranza che il Sole gli rivelasse quella risposta che da tempo cercava. Splendente gli parve il maestoso spettacolo dell'aurora, che tingeva le mura e le torri di una luce tenue, nascosta dalla fitta nebbia.

Nessuna creatura era sveglia, ché il creato era ancora immerso in una profonda veglia; tuttavia non trascorse molto tempo che il giovane Dúnadan avvertisse la sensazione di non essere più solo. Infine, desideroso di scoprire quali sembianze si muovessero nell'ombra, scorse tra le brume che il Sole andava allontanando, un'esile figura, immobile come il primo raggio di Luna in una notte senza nubi. Per lunghissimi attimi, nessuna delle due figure accennò a muoversi, cercando invano di sondare la mente altrui. Infine, cedendo alla stanchezza di quella lunga attesa, la seconda figura si mosse, leggera foglia nell'Autunno incipiente: "Possente invero è la mente dei mortali, capitano dei Númenóreani, se immutato ne esci da tale sfida, mossa da una signora degli Eldar".

"Così è, infatti, Elwen; tuttavia, stupito sono dinanzi alla tua affermazione, essendo tu per metà della mia stessa stirpe: hai dunque rinunciato alla tua mortalità?" le chiese Erfëa, certo della risposta.

"Invero, mio signore, diversi sono ora i nostri destini, ché sono destinata al bianco mare e alle immortali terre che al di là di esso si ergono, fanali nel vasto oceano".

Impetuoso il vento soffiava in quella ora, ed entrambi si mossero, camminando lungo il viale che dal castello conduceva al tempestoso mare: "Qual è dunque il motivo per cui tu ora giungi innanzi a me? È forse un altro inganno ordito dalla tua mente distorta?". "Mio signore, animo gelido può avere mente distorta, è vero, eppure ora solo mi avvedo di quanto abbia errato senza alcuna giustificazione. Riuscirai a obliare le mie dure parole? Non voglio più essere la bianca signora degli Eldar, ma la sposa del mare, ruggente sul mio triste viso" concluse distogliendo il suo malinconico sguardo dal bel viso di Erfëa.

"Dure parole furono invero e mai vi sarà una scusa degna di tal nome per porre rimedio a esse. Sanguinanti sono ora i nostri cuori, e il fosco oceano rigetta coloro che tradiscono la parola data. Tuttavia, ora entrambi siamo stati esiliati, io dall'amata Númenor, lontana nell'occidente profumato, e tu da Valinor la Beata. Invero dura è l'esistenza degli esuli e mai Vala potrà ricondurre i nostri spiriti al primigenio desiderio; eppure, guarda! Luminosi siano ora i tuoi grigi occhi e tali rimangano per sempre!". Ed Elwen, che ritta innanzi a lui, ne aveva ascoltato le parole, spinse lo sguardo oltre il velo malinconico di una pioggia benedetta. E meraviglia! Ogni cosa le parve di nuova luce avvolta e più la sua mente vagabondò per sentieri lastricati dal dolore. Eppure, sebbene una possente felicità le inondasse il cuore, sicché le parve Primavera anche il freddo Inverno, tuttavia parole non trovò, ché non le pareva più possibile parlare e ignorava con quale lingua potesse esprimere il suo sentimento: muta, dunque, come una stella cadente sull'orizzonte, ella si rifugiò tra le braccia di Erfëa, e il vento dell'Ovest scompigliò i suoi lunghi capelli; allora il Sole sorse sul mondo illuminando le creature errabonde, insegnando un linguaggio nuovo a Elwen, liberandola dalle sue pesanti catene. Allegra trascorse dunque la giornata, tale che parve simile alla Primavera di Arda, sebbene l'Inverno fosse ormai alle porte, gravando sui destini degli Uomini e degli Elfi. Lieti trascorsero i giorni successivi, e mai i loro cuori furono turbati dalle oscurità del mondo esterno, ché chiare splendevano ora le stelle sulle forti torri di Edhellond.


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